La faccenda è alquanto semplice: gli Usa sono in crisi, la società Usa è in crisi, il predominio Usa nel mondo è in crisi. Crisi che parte da lontano e non può essere scollegata dal declino economico americano rispetto alla potenza emergente (Pechino). Dovremmo forse dire a partire dall’accumulo di debito eccessivo di una società che ormai deve la sua prosperità al dollaro quale valuta di scambio globale, che permette a Washington di accumulare enormi deficit di bilancio impunemente, semplicemente stampando carta verde. Fino ad arrivare allo spartiacque chiamato Bill Clinton, che si azzardò a cancellare la barriera contro gli eccessi della finanza introdotta ai tempi della grande depressione per evitare un nuovo ’29, l’abrogazione nel 1998 del famoso Glass-Steagall Act (che poi causò la crisi subprime 10 anni dopo). E concludendo con una presidenza Obama assolutamente fallimentare, per lo meno in relazione alle aspettative che egli stesso aveva creato.
Giungiamo, dunque, ai giorni nostri con le manipolazioni delle borse tramite acquisti delle banche centrali, su tutte la banca nazionale svizzere e quella giapponese, che ormai acquistano direttamente azioni per sostenere i mercati, parossismo avallato dagli Usa per il solo motivo di supportare (via euforia borsistica) la continuità Dem alla Casa Bianca, come nel 2000 con Bill Clinton e Al Gore. Visti i trascorsi, il prossimo anno penso non basterà incrociare le dita.
Uniamo il fatto che i disastri di Obama in politica estera in Medio Oriente hanno plasmato un’inedita alleanza tra Cina, Russia e Iran in grado di far perdere il controllo dei petrodollari a Washington e possibilmente anche del dollaro globale; rammentiamo i disastri dell’Obamacare prossimo al fallimento; stigmatizziamo l’incremento record di debito pubblico in una semplice amministrazione da parte del primo presidente nero. La conclusione è che – a rigor di logica – vincere le prossime elezioni Usa da parte di un Repubblicano rischia di essere molto più facile di quanto si pensi.
A maggior ragione ricordando cosa accadde nel 2008 in Italia dove, con Berlusconi presidente odiato dai dem italiani e dai media liberal left, sembrava che nessuno lo avesse votato mentre invece aveva la maggioranza assoluta in parlamento. Se i votanti, anche quelli americani, si sentono dire qualcosa che oltre a piacere è anche universalmente riconosciuto come corretto nella sostanza – ricordando l’anti comunismo di Berlusconi o la promessa trumpiana di far ritornare grande un’America certamente decadente – si rischia di spingerli a votare con la pancia dimenticandosi dell’ideologia e dell’appartenenza partitica. A maggior ragione se il candidato è ricco e di successo, ossia non ha in teoria bisogno di vivere di politica. La stessa strategia del Cavaliere.
Poi vengono i dibattiti Tv e i sondaggi, con qualche scandalo a breve, che possono travisare o cambiare radicalmente la situazione. Alla luce di tutto ciò, interpretando il mix di pancia e pragmatismo/interessi spiccioli degli americani al voto (sempre che le elezioni non vengano sospese da Obama per il ritiro di un candidato) i fondamentali stiano sostenendo Trump più di quanto la sua rissosa personalità lo consenta. Che poi Donald Trump possa governare veramente a seguito di una “inaspettata” vittoria (come nel Brexit) passando indenne i circa 2 mesi tra la votazione di novembre 2016 e la presa di potere nel gennaio successivo, è tutta un’altra storia.