Vivendo da anni all’estero con la famiglia mi trovo a dover puntualmente meditare sull’Italia vista da fuori. L‘Italia è carissima in proporzione a quanto offre in termini di servizi, almeno in rapporto ad altri Paesi. La radice certamente è da ricercare nella sedimentazione di costi di struttura, soprattutto di tasse e tariffe, oltre che in tutte quelle prestazioni e servizi privati a cui non si può fare a meno (energia, assicurazioni, trasporti, sanità ecc.). La base di partenza, oltre alle esperienze diciamo “personali”, può certamente essere la pubblicazione Prices&Earnings di Ubs 2015, aggiornata ogni due anni, dove si comparano i costi della vita nelle principali capitali mondiali. Per l’Italia due riferimenti: Milano e Roma.
Quanto emerge è che i costi della vita in Italia nelle due città citate sono decisamente elevati, mentre gli stipendi sono nella parte bassa della forchetta, almeno considerando le città occidentali. Di esempi ce ne sono molti, dagli stipendi degli insegnanti insulsamente bassi a quello degli impiegati, alle pigioni. Insomma, una lettura di tale interessantissimo studio chiarisce bene i costi del vivere italico. Il vero problema della mancata crescita italiana è tutto lì, si guadagna poco e si spende tanto con costi (elevati) più o meno imposti: come si fa a non usare un’auto, o non avere un appartamento, a non avere un’assicurazione, a non usare riscaldamento (almeno al nord)?
Ecco che emerge preponderante come i costi italici sono, in proporzione ai guadagni, eccessivamente elevati. La prova? Nello studio citato (pg. 18), la spesa totale in beni e servizi di Milano come misura del costo della vita è la Prima dell’Eurozona.
A dire il vero il documento proposto fa un po’ di confusione tra la tassazione lorda e netta, senza ben spiegare gli effetti del cuneo fiscale italiano. In breve, per dare un’idea, la differenza tra il lordo percepito dai dipendenti italiani ed il netto sta nella tassazione Irpef, che come minimo è del 23%, a cui però vanno sommate anche le addizionali e sottratti gli oneri più meno imposti, assicurazioni, oneri sindacali se presenti ecc.. A tale tranche di costo va sommata quella pagata dal datore di lavoro (e che il dipendente non vede), pari a circa il 30% del lordo: sono i contributi previdenziali/sanitari. In breve, fatto 100 quanto un soggetto medio riceve netto in busta paga, il costo complessivo per il datore di lavoro assomma a circa 210. Troppo. La soluzione (stupida) trovata dai governanti sembra essere quella di ridurre gli stipendi pagati in modo da ridurre i costi produttivi e restare aziendalmente competitivi; questo può andare bene ma cozza con la necessità di fare crescita. Anche perchè se si riducono gli stipendi calano anche gli oneri previdenziali pagati; dunque non deve stupire se – anche a fronte di altissima disoccupazione – l’Inps vada verso il fallimento (a meno di ridurre gli anziani percettori di pensioni).
A ciò si aggiunga il fatto che le pensioni in Italia sono tassate come gli stipendi (ad es. in Germania sono praticamente esenti, ma anche in Bulgaria, Slovacchia, Ungheria, Lituania o in varie forme anche in Spagna e Portogallo) e si capisce come la mancata crescita derivi in larga parte dall’eccessiva tassazione che elimina i consumi. In aggiunta a quanto sopra abbiano i costi diciamo insopprimibili, carburanti, riscaldamento ed energia ecc.: anche qui la parte del leone la fanno i costi sistemici, dalle accise sulla benzina agli oneri sul trasporto dell’energia, alle componenti speciali sul gas. Alla fine 1 litro di benzina, 1 metro cubo di gas o 1 megawattora di energia diventano i più cari d’Europa o quasi. O le assicurazioni auto, tra le più care del mondo.
E che dire dell’Iva, tra le più alte del continente, contribuendo ad alzare ancora di più i costi del vivere. E con la futura riforma del catasto si attende un costo per gli immobili di circa l’1% del valore commerciale, fatte salve (per ora) le prime case. Ma attenzione, tali costi di per sé elevatissimi vanno rapportati agli stipendi: e qui il quadro (tragico) si completa, a fronte di costi elevati per i servizi irrinunciabili gli stipendi sono insufficienti. Da qui i consumi asfittici.
Il motivo di tutto questo? Soprattutto le tasse, a maggior ragione oggi che l’Ue impone inflessibile ed anzi nefasta austerity e rientro del debito, inutili per il fine di tornare a crescere (anzi il contrario, quando lo capiranno a Roma?).
Continuando così non c’è dubbio che il paese si strangolerà da solo. Il sottoscritto può solo osservare dall’esterno la follia italica di voler restare all’interno di una moneta unica che lentamente sta annichilendo il tessuto economico, imprenditoriale e sociale italiano (invece di inflazionare i costi interni con una svalutazione della moneta nazionale uscendo dall’euro, ndr); l’emigrazione di massa è una normale conseguenza, impossibile ad oggi pensare ad un’inversione del trend.