Abbiamo già scritto in passato su come Trump abbia enormi probabilità di essere eletto presidente degli Stati Uniti: oggi la minoranza bianca Wasp di fatto è ancora al timone degli Usa e non vedo come possa cedere il comando secolare senza combattere un cambiamento tutt’altro che ineluttabile (visto che dipende in larga parte del voto degli immigrati, spesso non integrati nella società Usa). Andate nel Mid West, andate semplicemente nel New Hampshire o in Georgia, anche in Pennsylvania, sulla costa: la visibilità del fenomeno trumpiano è evidente. Nelle case sventolano molte più effigie pro Trump che pro Clinton. In più il tycoon newyorkese sta cogliendo nel segno, echeggia che gli Usa sono in declino e bisogna che tornino grandi: sappiate che questo messaggio è assimilato da tutti Oltreoceano, senza distinzione tra Democratici o Repubblicani.
Se poi aggiungiamo che la fazione Clinton è ormai universalmente percepita come corrotta – a maggior ragione dopo l’indagine dell’Fbi, cosa mai successa nella storia Usa a un candidato a 10 giorni dal voto – allora capirete come Trump può davvero sperare in un voto segreto a suo favore veramente super partes. Ovvero una vittoria schiacciante. In tale contesto, a cui lo scrivente crede con convinzione, quale sarebbe la politica economica del candidato repubblicano? Molto semplicemente si tratterebbe di far svalutare il dollaro per far ripartire l’economia industriale Usa. Il primo step sarebbe il tentativo di un nuovo Accordo del Plaza, ossia svalutare il dollaro in modo concordato con i partners globali pur in presenza di un aumento (limitato) dei tassi americani. Il problema è che oggi gli Usa non possono promettere aperture al proprio mercato come negli anni ’80, ma solo evitare una guerra delle valute. Anche perché sarebbe un prendere o lasciare. La cosa interessante è che tale approccio (svalutare il dollaro e conseguentemente inflazionare) troverebbe il pieno supporto delle grandi potenze, Cina e Russia in primis, ma anche Gran Bretagna – che post Brexit sta facendo lo stesso gioco – oltre ai mercati emergenti.
Tra chi sarebbe totalmente contrario troviamo l’asse franco-tedesco, che vedrebbe travolto il progetto della moneta unica. Infatti, con un dollaro svalutato l’Ue vedrebbe letteralmente saltare le economie dei paesi periferici che, dunque, sarebbero costrette ad uscire dall’euro per far anche loro ripartire le rispettive economie svalutando. In questo contesto la Germania imploderebbe. Aggiungiamo il fatto che la difesa in veste Nato, oggi quasi gratuita, verrebbe fornita dagli Usa solo dietro qualche forma di compenso ai paesi che hanno cercato attivamente l’emancipazione dal dominus statunitense in Europa (encore, Berlino e Parigi): fa pensare l’enormità del cambiamento che ci aspetta. Chiaramente, in tale contesto ci si potrebbe attendere una riduzione delle sfere di influenza Usa, soprattutto a ridosso di Cina e Russia, con cui scoppierebbe una pace di convenienza con relativo – sebbene solo iniziale – dividendo per i principali attori.
È dunque facile prevedere, post elezione di Trump, un crollo delle borse a partire da quella franco-tedesca, oltre ad un iniziale ridimensionamento di quella americana, oggi sostenuta dalla FED e dagli acquisti delle banche centrali con lo scopo coordinato dalla Casa Bianca di sostenere i corsi per far rieleggere un Dem alla presidenza. In più le materie prime decollerebbero, soprattutto oro e argento, ma anche petrolio (in dollari). L’Italia tornerebbe al suo ruolo naturale di miglior alleato Usa non anglosassone in Europa, con un avvicinamento alla posizione di Londra: nel medio termine – molto probabilmente fuori dall’euro – vedremmo ripartire l’economia nazionale.