Per inquadrare l’argomento Brexit dobbiamo spostare il cervello ed il cuore in Inghilterra. Saranno i britannici a decidere se l’Ue sopravviverà e questo avverrà in base a valori e ragioni tipicamente british. Va ricordato che i decisori di oggi furono impero fino a pochi decenni fa e quindi l’orgoglio giocherà un ruolo importante. In aggiunta non possiamo dimenticare che Londra ha per definizione legami, relazioni, interessi con il mondo intero: basti pensare che la Regina è ancora oggi il capo di Stato di Paesi come Australia, Canada, Nuova Zelanda, mentre l’inglese gioca un ruolo cardine nei rapporti commerciali globali (assieme a gran parte delle logge massoniche che rispondono al Britannia). Va infatti evidenziato che Londra fuori dall’Ue potrebbe giocare un ruolo rilevante in future camere di conciliazione commerciale di diritto e lingua anglosassone, senza coinvolgere l’attore principale, gli Usa, attorno a cui ruotano gran parte dei consumi planetari.
In questo contesto, oggi Usa e Inghilterra rappresentano in aggregato gran parte del deficit della bilancia commerciale mondiale: visto che il simmetrico surplus è in larga parte concentrato in Europa (Germania, Olanda e Svizzera giocano un ruolo importante) i vantaggi del Brexit vanno connotati anche prendendo in considerazione i danni che tale evento causerebbe ai principali attori europei, soprattutto Berlino e parzialmente Parigi (con il Leave la sterlina si svaluterà pesantemente).
Ossia non possiamo negare la ruggine competitiva/egemonica sempre esistita con Berlino e Parigi: oggi che l‘Ue è riassunta nell’asse franco-tedesco ed è inevitabile che Londra stia dall’altra parte della barricata. Guardando avanti, anche solo porsi in contrapposizione con questa europa a trazione tedesca – ovvero denunciarne i tanti e gravi vizi – può essere un posizionamento strategico in vista di inevitabili tensioni future intra Ue: ad esempio la Grecia non si potrà salvare salvo condonandone il debito (e quindi creando un precedente valido per tutti). Questo vuol dire che Atene sarà candidata ad abbandonare l’Ue in presenza della liquidità ponte a cui non ha avuto accesso in passato. È questo vale per tutti i periferici, Italia inclusa.
Si, perché non va dimenticato che la sterlina è valuta di riserva globale – ancora per poco, nel 2017-18 andrà rivisto il paniere – per cui ha le potenzialità di supportare una eventuale richiesta di liquidità emergenziale da parte di paesi terzi; così facendo negherebbe la futura l’elisione della sterlina dal gotha valutario.
Finalmente non va negato che questa Europa austera non funziona. E se non funziona dipende dal fatto che lo schema eurocentrico basato sulla moneta unica – a cui inevitabilmente Londra è legata – è scientemente a vantaggio di Berlino ed a danno dei periferici come ad esempio l’Italia (Roma è il principale competitor manifatturiero della Germania). Le colpe di tale asimmetria interessata sono tutte tedesche, riassunte nell’essere sommamente recalcitrante – per propri interessi – a correggere le chiare storture di questa europa austera. Quindi essere fuori dall’Ue inevitabilmente significherà guidare la sempre più folta compagine degli “euroscettici” europei ovvero esserne a capo, guarda a caso – come sempre – in contrapposizione con i poteri centrali.
In conclusione, cercare vantaggi materiali di breve temine nel Brexit sarebbe un errore. La ragione dipende dal fatto che Oltremanica hanno ben chiaro che, per come l’Ue è stata costruita, restare significherebbe vassallaggio a Berlino nel medio-lungo termine, le complesse ed assai limitative regolamentazioni finanziarie europee hanno già fatto capire quale sarà la direzione (a danno ad esempio della piazza finanziaria londinese, vedasi anche la volontà Ue di desecretazione dei trust di diritto anglosassone ossia dove si conservano i patrimoni privati alla base del benessere britannico). Per cui l’emancipazione non è questione di maggiore interesse materiale ma di mera sopravvivenza dell’autonomia interessata di Londra, incentrata su un mondo autoreferenziale ancora profondamente (e commercialmente) anglofono.