Mes: Bce, inquinamento del sistema bancario franco-tedesco…e le esigenze Usa.
Il presente scritto ha preso casualmente le mosse molto tempo fa da un quesito postomi da un amico commentando il grafico in foto con le seguenti parole: “L’Indice FTSE MIB ha recuperato dallo scorso hanno. Ma, è ancora ben lontano dai 28.000 bps per poter parlare di recupero totale. Raggiungerà 26.000 da supporto in settimana?”. Nel 2018 il Sole24ORE titolava “Banche, bomba da 6.800 Mld di titoli tossici nei bilanci degli istituti tedeschi e francesi” con riferimento a quel complesso insieme di titoli illiquidi, che in gergo tecnico vengono definiti di “Livello 1 e 2” caratterizzati da una opacità conferente un rischio potenziale ed imponderabile all’intero sistema bancario in quanto, poiché di essi non esiste un mercato di riferimento che stabilisca un prezzo, le banche li iscrivono nel bilancio a un prezzo ricavato o dal confronto con titoli simili (nel caso del «Livello 2») oppure da complessi calcoli matematici (nel caso del «Livello 3») cosicché in qualche modo si è giunti a stimare pari a ben 6.800 Mld di € il presunto controvalore con cui essi erano iscritti nei bilanci a valori opinabili e quindi non verificabili da parte della Vigilanza. La notizia bomba divulgata a suo tempo non era frutto di uno scoop ma il risultato di una analisi fatta e licenziata a partire da report emersi nel corso di un convegno del 2 dicembre 2018 organizzato dall’Università Cattolica con Crif e Credit Risk Club.
Una cifra enorme pari, all’epoca, al 75% dell’intero comparto presente in Europa concentrato nelle banche di due soli Paesi: quelli ritenuti più solidi e, per certi versi, ben posizionati (la Germania in primo
luogo) tra quelli in cui il tasso di inconsapevolezza pare essere stato, allora come oggi, tra i più elevati dell’area UE come, sempre a suo tempo, ben testimoniato dalla poca lungimiranza con cui Berlino nel
marzo 2020 ripropose vincoli nazionalisti di stampo MES per dare il via libera alla manovra finanziaria della UE rischiando di spaccare il fronte comune. La preoccupazione per i debiti sovrani da parte di Berlino non tenne conto del fatto che eravamo ad una svolta, che se la strada intrapresa dalla UE fosse stata quella della chiusura ad ogni forma di rinnovamento normativo in grado di portare la BCE ad assumere il
ruolo di Banca Centrale di una realtà statale sovranazionale integrata dei Paesi del vecchio continente, non solo questo avrebbe prima o poi segnato la fine del sogno europeo, ma pure generato i presupposti di
una crisi epocale che in breve avrebbe potuto portare al tracollo dell’Euro e di tutte le economie continentali, non ultima proprio quella tedesca già in affanno.
Le ragioni, a mio avviso, erano -ed ancora permangono- piuttosto semplici in quanto diretta conseguenza di quel perdurante prevalere delle visioni nazionaliste ed opportuniste che da un momento all’altro si sarebbero potute tradurre in una diminuzione della fiducia accordata dai mercati all’Euro come tale (non dimentichiamo che le monete attuali hanno un valore fiduciario fissato proprio da questi ) e,
di fatto, in primis ad una sua perdita di valore rispetto al dollaro che, nonostante qualche resistenza extraeuropea, restava la moneta di riferimento per eccellenza utilizzata per l’acquisizione delle
commodities: un qualcosa che difficilmente avrebbe potuto essere compensato da una migliorata competitività dei prodotti e servizi europei in quanto questi, volenti o nolenti, si sarebbero trovati
comunque a dover fare i conti tanto con una diminuita domanda interna, quanto con la spietata concorrenza della macchina produttiva cinese e con i dazi doganali statunitensi che in breve, è legittimo
ipotizzare, sarebbero stati applicati anche ai prodotti di provenienza comunitaria in misura maggiore di quanto già non fosse. Ora questa consapevolezza non deve e non può venire meno allo stesso modo in cui non può venire meno quella relativa al fatto che la percezione da parte dei mercati dell’aumentato rischio di una debacle della UE per effetto dell’aumentato rischio di una uscita dall’Euro non solo dell’Italia ma pure di altri Paesi del Sud Europa, ovvero di criticità elevate in uno o più Paesi della medesima area,
determinerebbe una poco piacevole spinta inflativa sicuramente contrastata da un rialzo del tasso base BCE che a sua volta porterebbe ad una contrazione del credito e ad un rialzo dei tassi di interessi sui
finanziamenti a famiglie ed imprese che non poco contribuirebbe a ridurre ulteriormente i consumi e a pressoché bloccare qualsivoglia prospettiva di ripresa.
In un tale contesto i crediti vantati, nello specifico, dalle banche tedesche in qualità di detentrici di quote del debito sovrano dei Paesi maggiormente a rischio sarebbe un ulteriore fattore di instabilità dalle
conseguenze catastrofiche per un sistema finanziario come quello tedesco già inquinato in modo spaventoso da titoli tossici. La situazione di debolezza in cui la Germania si verrebbe a trovata sarebbe per certo una ghiotta occasione per quegli Stati Uniti -che già poco hanno visto di buon occhio la firma del Patto di Aquisgrana- che dubito fortemente mancherebbero di cogliere l’occasione, in un tale frangente, per mettere la parola fine a qualsiasi progetto di leadership autonomista in ambito europeo a guida Franco-Tedesca. Nulla di quanto ipotizzabile -e da me ipotizzato anche in passato- pare essere
stato preso preso in debita considerazione sicché non stupisce la situazione attuale in cui versano attualmente la Germania e la UE nel suo complesso.
In particolare va notato che tutto è di fatto avvenuto ed ancora sembra continuare ad accadere alla pressoché totale insaputa del popolo tedesco (come del resto dei cittadini della UE in generale) che è stato,
ed ancora è sistematicamente tenuto per lo più all’oscuro del suo poco piacevole essere stato accomodato su un vulcano solo apparentemente addormentato pronto a scoppiare!
Comunque sia, la Germania (che già nel 2020 non godeva di tutta la buona salute che millantava visto che la crescita stimata del suo PIL era in negativo -un secco -5%- e per somma gravata pure dai rischi
derivanti dallo stato di salute del suo sistema bancario reso incerto dal suo essere annoverabili tra i piú inquinati al mondo da titoli tossici pare ancora alquanto pronta ad andare all’attacco degli altri Stati
dell’Unione Europea, con un occhio di riguardo per l’Italia impegnata ancora oggi in una poco nota ai più feroce discussione sulla riforma del Mes (che ancora appare tanto caro a Christina Lagarde).
Dispiace dover notare, pur senza con questo voler passare sotto silenzio le responsabilità altrui e dell’Italia in particolare, come ancora oggi ci troviamo in presenza di una Germania sempre pronta a puntare
gli occhi su di noi, quegli stessi occhi che è sempre pronta a chiudere quando c’è da guardare all’interno dei propri confini dove, oltre alle inefficienze sistemiche, drammaticamente emerse a causa del recente
conflitto, si annidavano ed ancora si annidano ben altre mine vaganti a cominciare da quei derivati tossici che credo spaventino oggi più di ieri Bruxelles e non ultima la BCE.
Già all’epoca la cecità (o la vera e propria malafede? In realtà credo che si sia trattato di una conseguenza imprevista dell’allargamento della UE verso Est -che ha fatto seguito al crollo del muro di Berlino-
malamente gestito tanto dal Governo tedesco quanto dal suo obsoleto sistema bancario: un tema interessante che affronterò in seguito) tutta germanica ha impedito al Governo tedesco di capire che un tale modo di agire rischiava di far crollare l’Euro sui mercati ed il non averlo capito ancora oggi
appare quanto mai sciocco. Il default, ma anche solo la messa in crisi, di un Paese come l’Italia creerebbe problemi enormi a livello comunitario e perfino globale in primis di tipo monetario. È facile capire che la prima voce penalizzata sarebbe la liquidità in quanto in caso di un default i Titoli di Stato emessi dai Paesi ad economia più debole presenti nei portafogli delle istituzioni bancarie tedesche non essendo quotabili ai valori di mercato registrati ai tempi del loro caricamento determinerebbero una crisi di liquidità che avrebbe sicuri riflessi tanto sui tassi di interessi bancari, quanto su quelli dei loro stessi bond statali che dovrebbero giocoforza essere collocati prevedendo un tasso di interesse corrisposto pesando l’accresciuto rischio assunto dagli investitori (rischio che per quelli non appartenenti all’area Euro sarebbe
accresciuto dalle prevedibili problematiche derivanti dai rapporti di cambio dell’Euro con le altre divise).
Il nervosismo mostrato nel 2020 dai futures sulle principali borse europee (mi riferisco all’epoca delle prime discussioni sul MES) credo debba essere tenuto in debito conto a maggior ragione ora in quanto
credo sia agevole per chiunque immaginare lo scenario che potremmo essere costretti a contemplare di qui a poco come conseguenza delle recenti scellerate scelte di politica monetaria adottate della BCE.
Urge una correzione tempestiva che non vedo nelle corde della Governatrice Christina Lagarde e del suo entourage che ha ripreso a battere sul tasto del MES.
Detto per inciso credo che il MES sia stato tanto caldeggiato dalla Germania per una ragione che forse pochi ricordano -o hanno a suo tempo notato- e che rivela quel clima di disonestà e miopia intellettuale tutto franco-germanico -e dei loro accoliti- che ancora oggi vedo, con legittimo sospetto da parte mia, permeare la politica monetaria continentale. Nel 2020 la Germania scontava previsioni di crescita pesantemente negative valutate un -5%, cui, come detto, andava affiancato l’inquinamento da derivati tossici di cui sopra sicché il vero motivo del tanto amore mostrato a suo tempo da Berlino (ma pure dalla
Francia, nonostante i suoi distinguo di maniera) per il MES è da ricercare nelle clausole relative alla prevista obbligatoria diversificazione portafogli titoli delle banche di tutti i Paesi aderenti al
MES per quanto concerne i Titoli di Stato in essi contenuti.
Ai sensi dell’accordo, infatti, gli Stati firmatari si impegnano a far sí che le riserve di titoli di stato presenti nei portafogli delle banche di casa dovranno essere diversificati accogliendo quelli emessi da tutti i
Paesi firmatari. Perché questo aspetto è fondamentale? Semplice. Qualora nei portafogli titoli della banche dello Stato A vi fossero consistenti quantitativi di Titoli di Stato emessi dallo Stato B, ecco
che, ad esempio, l’esplosione di una bolla finanziaria dalle conseguenze penalizzanti il rating delle emissioni dello Stato B comporterebbe una flessione delle quotazioni dei Titoli di Stato di B
detenuti dallo Stato A. A questo punto ecco che, giocoforza, lo Stato A, per evitare che tale stato di cose penalizzi il proprio sistema bancario -e quindi per somma pure il suo rating- dovrebbe intervenire per sostenere con lo Stato B anche sé stesso a causa di quello che di fatto si chiama: delocalizzazione del rischio!
Un qualcosa di analogo a quanto avvenne nel 1971 allorché la dichiarata non convertibilità dello Dollaro USA impose, de facto, a tutti i Paesi Occidentali di accorrere in soccorso della divisa statunitense effettuando massicci acquisti della stessa per sostenerne il valore in quanto il non farlo avrebbe condotto ad una svalutazione pure delle proprie monete nazionali a causa del diminuito valore delle riserve di dollari USA detenute, al pari dell’oro, a garanzia del valore delle proprie monete.
Per somma, il MES per la Germania -ma pure per la Francia- si configura non solo come un comodo modo per scaricare, sia pure parzialmente, per legge sugli altri Paesi aderenti al Patto i rischi derivanti dall’inquinamento da derivati del proprio sistema bancario, ma anche un comodo sistema per poter acquistare a basso costo, quindi speculandoci sopra, i Titoli di Stato dei Paesi terzi aderenti al MES per effetto, ancora una volta, della normativa del MES.
Quest’ultima, infatti, imponendo ai Paesi aderenti al Patto una diversificazione dei portafogli titoli per quanto attiene ai Titoli di Stato detenuti, comporta -per un riequilibrio dei pesi percentuali- la
dismissione obbligatoria di consistenti partite degli stessi da loro detenuti a prezzi di gran lunga inferiori a quelli correnti per effetto della più che prevedibile flessione delle loro quotazioni per eccesso di
offerta.
Nel caso di adesione del nostro Paese al MES, ad esempio, l’elevata presenza nei portafogli delle nostre banche di titoli di Stato nostrani imporrebbe la forzosa dismissione da parte delle nostre banche di una
considerevole percentuale degli stessi: l’eccesso di offerta,
comportando necessariamente, come detto, una flessione dei prezzi di
vendita, favorirebbe non poco i compratori (che in aggiunta a questo
beneficerebbero pure del fatto che nelle nostre banche trovano posto
ben 5.300 Mld di € di risparmi delle famiglie italiane)
causando a noi una consistente perdita pari al differenziale tra il
vecchio prezzo di carico ed il prezzo di vendita.
Fantasie? Non credo proprio!
Nel 2016 si faceva un gran parlare dei 270 miliardi di crediti
deteriorati italiani, ma nessuno parlava dei 25 bilioni di euro di
esposizione in derivati della sola Deutsche Bank: un paio di volte il Pil
dell’eurozona di quegli anni. Un calo del valore di questi asset anche
solo del 5% e i soldi sborsati per ricapitalizzare il Monte Paschi Siena
(o Unicredit) diventerebbero una inezia.
Visto il vento che all’epoca spirava in Europa maturai la convinzione
che alla luce dei fatti, Cina, USA –e a quel punto pure la Russia–
dovevano solo decidere come spartirsi le nostre spoglie.
Non molto tempo è passato e la situazione si è ulteriormente aggravata
per via della guerra, ma anche grazie ad una gestione della politica
monetaria posta in essere dalla BCE a dir poco allucinante: sempre
che non sia dettata dalla volontà della Lagarde di agire in nome e per
conto delle necessità degli Stati Uniti (cosa che per altro già fece ai
tempi della crisi greca).
Che la FED punti costantemente ad un rialzo del tasso base potrebbe
avere una sua logica in quanto un apprezzamento dello USD in un
contesto in cui la divisa statunitense è ancora la moneta per eccellenza
per le contrattazioni di commodities e prodotti energetici nel mondo,
potrebbe fare sì che si possa sia ridurre il circolate in USD a livello
globale (misura antînflattiva), che far registrare un miglioramento
della bilancia commerciale USA in quanto la mole di dollari
necessaria per acquistare beni e servizi all’estero non può che
contrarsi nel caso di un rapporto di cambio costantemente favorevole
allo USD.
Sul fronte opposto un cambio EUR-USD sfavorevole ai Paesi della
UE comporterebbe un maggiore esborso di Euro per fare provvista dI
USD nella misura necessaria per operare sui mercati energetici e delle
materie prime: un qualcosa che palesemente va solo a sostenere la
quotazione della moneta di quegli Stati Uniti che in tal modo
finiscono per poter beneficiare dell’incremento delle proprie riserve in
divisa estera (EUR) in un contesto sicuramente favorito dal continuo
rialzo del tasso base posto in essere da una BCE surrettiziamente
consapevole di poter contare sul tesoretto bancario dei più virtuosi ed
inclini al risparmio cittadini europei (primi tra tutti gli Italiani).
In questo la politica dei tassi della BCE risulterebbe essere qualcosa
che di fatto finirebbe per favorire gli Stati Uniti penalizzando le
famiglie europee.
Ed ecco spiegata la ripresa delle pressioni esercitate dalla BCE
sull’Italia affinché la stessa sottoscriva il MES consentendo di fatto a
Francia e Germania di iniziare a mettere le mani sul tesoretto degli
Italiani non solo per le stesse ragioni già illustrate, ma pure per
favorire i nostri ‘alleati’.
In un tale contesto il perdurare della guerra in corso risulterebbe
oltremodo utile agli USA anche da questo punto di vista, oltre che per
tutto quanto correlato alla necessità di incremento della spesa annua
per la ‘difesa’.
La domanda più logica, a questo punto, da porci è: perché non
svincolarsi dallo USD incominciando a trattare sui mercati
internazionali commodities e prodotti energetici in altra divisa?
Sarebbe interessante, a questo punto, porre la domanda alla
Governatrice della BCE, Lagarde .