In Italia, vivono in uno stato di povertà assoluta 1 milione e 582 mila famiglie, ovvero più di 4,5 milioni di individui. E’ quanto emerso sia dagli ultimi dati Istat che dall’ultimo rapporto per il 2016, “Vasi comunicanti”, pubblicato negli scorsi giorni dalla Caritas Italiana. Come per le precedenti edizioni – questa è la quindicesima – il rapporto è frutto dell’analisi dei dati e delle esperienze quotidiane delle oltre 200 Caritas diocesane operanti su tutto il territorio nazionale.
Dal 2005 a oggi si tratta del numero più alto della forma di indigenza mai registrata. Quella di chi, per capirsi, non riesce ad accedere a quel paniere di beni e servizi necessari per condurre una vita dignitosa. Un problema, quello della povertà, che non colpisce più solo anziani, disoccupati o famiglie numerose. Ora a dover fare i conti con estreme ristrettezze economiche ci sono anche i giovani, i lavoratori e anche quelle famiglie composte da solo tre persone: madre, padre e un figlio.
L’incidenza della povertà assoluta viene calcolata sulla base di una soglia corrispondente alla spesa mensile minima per acquisire un paniere di beni e di servizi che nel contesto italiano e per una determinata famiglia è considerato essenziale a uno standard di vita minimamente accettabile. Sono classificate come assolutamente povere le famiglie con una spesa mensile pari o inferiore della soglia (che si differenzia per dimensione e composizione per età della famiglia, per ripartizione geografica e per ampiezza demografica del comune di residenza).
Nel report un dato spicca più degli altri: l’avanzata dei giovani poveri (18-34enni) che risultano il 10,2% , superiori quindi rispetto la fascia dei (34-44enni) che cala all’8,1% fino ad arrivare agli over 65. Dal 2007 (anno che di fatto ha anticipato lo scoppio della crisi economica) ad oggi, la percentuale di persone indigenti è oltremodo raddoppiata, passando dal 3,1% al 7,6%.
A vivere la situazione più difficile, oggi come ieri, è sempre il Mezzogiorno. In queste aree, infatti, si registra l’incidenza più alta misurata sia sugli individui (10%) che sulle famiglie (9,1%) . E non a caso anche quest’anno, è sempre al sud, che si concentra il 45,3% dei poveri di tutta la nazione.
Per questo la Svimez, l’Associazione per lo sviluppo industriale del Mezzogiorno, ha richiamato con il suo consueto rapporto annuale, l’attenzione sullo stato di criticità in cui versano queste regioni penalizzate soprattutto dal lavoro. Ad oggi, nel Meridione, sono andati persi 576 mila posti di lavoro, pari al 70% delle perdite di tutta Italia. Per non parlare dei livelli occupazionali che risultano i più bassi registrati dal 1977.
La nuova piaga che colpisce tutti, nessuno escluso, comprende anche le aree del centro e del nord. Anche in queste zone si è registrato un vistoso peggioramento dei propri livelli di benessere. In soli 8 anni, infatti, qui è raddoppiata la percentuale dei poveri.
Come evidenziato dalla Caritas in questi ultimi rapporti, ma anche in quelli precedenti, accanto ad alcune situazioni di indigenza che da sempre sono rimaste stabili, si evidenziano ora alcuni elementi inediti e in controtendenza. Per esempio le famiglie maggiormente sfavorite sul fronte dell’occupazione sono quelle la cui persona di riferimento è in cerca di un’ occupazione. Tra loro la percentuale di poveri è salita al 19,8%. Accanto a queste situazioni poi si aggiungono quelle dei cosiddetti working poor, magari sotto-occupati e/o a bassa remunerazione. Preoccupante la situazione anche delle famiglie di operai. Qui la povertà sale all’ 11,7%.
Sono invece 7.770 i profughi e richiedenti asilo che si sono rivolti ai Centri di ascolto della Caritas nel corso del 2015. Si tratta per lo più di uomini (92,4%), con un’età compresa tra i 18 e i 34 anni (79,2%), provenienti soprattutto da Stati africani e dell’Asia centro-meridionale. Queste persone sono spesso analfabeti (26,0%) o di modesta scolarità. In termini di bisogno prevalgono le situazioni di povertà economica (61,2%), ma è alto anche il disagio abitativo, sperimentato da oltre la metà dei profughi intercettati (55,8%). Tra loro è proprio la “mancanza di casa” la necessità più comune; seguono le situazioni di precarietà o inadeguatezza abitativa e di sovraffollamento. In terza posizione i problemi di istruzione, che si traducono per lo più in problemi linguistici e di analfabetismo.