Il governo cinese vieta la tecnologia straniera. Mentre l’Italia mette a punto il framework normativo e regolamentare per disegnare il perimetro di sicurezza cibernetica nazionale e per partecipare attivamente alla costruzione del sistema europeo di certificazione nell’European digital single market, il governo cinese mostra i muscoli e ordina a tutti gli uffici governativi e agli enti pubblici di provvedere, entro tre anni, all’integrale rimozione di tutte le risorse hardware e software di origine “extra China” .
Ebbene sì, mentre il governo italiano si protegge, salvaguardando tuttavia gli interessi economici del colosso cinese Huawei (che ha pure recentemente inaugurato una nuova sede romana), laddove non emergano chiare evidenze di rischi per la sicurezza nazionale, la Cina erge il muro del protezionismo estremo ed impone agli acquirenti cinesi di fruire e dotarsi esclusivamente di prodotti hardware e software prodotti da fornitori del mercato domestico.
Evidente la rappresaglia cinese alla recente dichiarazione del presidente americano, Donald Trump, in ordine ad una riduzione del ricorso negli States alla tecnologia Made in Cina. A questo si aggiunga anche che la posizione di Trump è stata dal medesimo estesa ed attribuita agli alleati in occasione del recente vertice Nato di Londra, sebbene il premier italiano, Giuseppe Conte, si sia subito premurato di replicare che la questione cinese non avrebbe costituito oggetto di discussione con Trump. Strana situazione, invero resa ancora più nebulosa dalla rigida posizione di Washington nei confronti dei fornitori cinesi. Di contro il governo cinese non mostra alcuna esitazione a sostituire circa 30 milioni di componenti ICT e software, come stimato dagli analisti. La direttiva cinese rientra, invero, nella più ampia strategia governativa sul fronte della sicurezza cibernetica, adottata nel 2017 per la protezione delle infrastrutture critiche nazionali.
La guerra commerciale contro i colossi americani
La posizione del governo cinese è un ulteriore e significativo tassello di una guerra commerciale e geo-politica senza esclusione di colpi che, tuttavia, impatta principalmente sui colossi dell’informatica americana come HP e Microsoft che sono tra i principali produttori di software largamente in uso in Cina. E del resto, proprio questo scenario porta gli analisti a considerare molto sfidante la direttiva proibizionista del governo cinese, per via di una non troppo scontata alternativa di software sostitutivi che possano ritenersi compatibili. Dunque, prosegue la “guerra dei nervi” tra Usa e Cina che vede l’alleata Italia totalmente assorta nella difesa del dominio cibernetico attraverso valutazioni dei rischi che mantengono comunque un approccio inclusivo verso la tecnologia extra UE, laddove non ponga criticità tali da giustificare l’esercizio dei poteri speciali del nostro Premier. Non sfuggirà che la posizione italiana rimane prudente e tuttavia non esattamente coincidente con quella del nostro storico alleato transatlantico. Vedremo adesso quali saranno le reazioni del “blocco europeo” .