La strada che porta all’uscita dalla crisi passa sempre più dalla “green economy”. In Italia gli investimenti fatti nel settore hanno permesso che più di un’impresa su quattro abbia scommesso proprio in questo settore. La ricetta all’italiana, che unisce ingredienti come ricerca e innovazione al design e alla qualità, ha portato dal 2010 a oggi ad un considerevole aumento delle aziende green nel nostro Paese. Sono 385mila le società impegnate in vari campi, dall’industria manifatturiera alle costruzioni sino ai servizi, per ridurre l’impatto ambientale dei loro processi produttivi. Risparmio energetico e contenimento delle emissioni di CO2 sono le chiavi di volta che hanno portato quasi tre milioni di occupati nel settore della green economy: il 13% rispetto al dato complessivo, con un contributo al Pil di 190,5 miliardi di euro.
Il quadro che emerge dal rapporto GreenItaly 2016, a cura della Fondazione Symbola e Unioncamere, che misura da sette anni lo stato dell’arte della green economy nazionale, rilancia le aspettative delle molte imprese italiane che attendono nuove prospettive di investimento del settore green, anche rispetto agli incentivi statali già elargiti negli anni passati.
Le aziende che investono nell’economia verde, secondo i dati riportati nel dossier, dimostrerebbero infatti una maggiore presenza internazionale: 18,7% contro il 10,9% di quelle non investitrici. Solo nel manifatturiero il dato sale sino al 46% contro il 27,7%. Sforzi che si traducono in innovazione. Infatti lo scorso anno il 22% delle aziende investitrici ha introdotto novità a livello tecnologico e produttivo, raddoppiando quanto fatto dalle altre concorrenti. Con in testa sempre il manifatturiero, che dimostra una propensione all’innovazione ancora più elevata: 33,1% contro 18,7%.
Un giro di affari che, secondo i dati forniti da Cresme e Servizio studi della Camera dei Deputati, porteranno nel 2016 investimenti privati per 29 miliardi di euro, interessando 436mila posti di lavoro, fra diretto e indotto. Risorse che si stimano possano rafforzare le politiche di risparmio energetico e di prevenzione antisismica anche alla luce del varo da parte del Governo del progetto Casa Italia. Risultati che quindi porteranno quest’anno, rivelano i curatori del rapporto, 249.000 assunzioni fra green jobs e figure ibride con competenze green: pari al 44,5% della domanda di lavoro non occasionale.
A livello regionale la maggior parte delle imprese green si colloca al Nord. Lombardia al primo posto con 70.000 aziende, quasi un quinto del totale. A seguire Veneto, Emilia-Romagna e Lazio. Il sud tiene con Campania, Sicilia e Puglia: dal settimo posto a scendere. Ma se si considera l’incidenza rispetto alle effettive unità produttive dell’area regionale, è il Trentino-Alto Adige con il 31,3% a detenere il primato dell’eco-efficienza. Come province guida la graduatoria Roma con oltre 25.000 imprese investitrici, quasi affiancata da Milano a quota 22.000.
Quello che emerge a livello macroeconomico dal rapporto, è che il cosiddetto made in Italy nel settore della green economy sarebbe addirittura al primo posto in Europa per bassa produzione di rifiuti e riciclo industriale. Dietro la Germania per il recupero degli imballaggi (66,9% contro il 71,8%) e al Regno Unito per emissioni energetiche e input di materia per unità di prodotto, l’Italia è passata tra il 2004 e il 2014 dal 6,3% al 17,1% per quanto riguarda il consumo di energia da fonti rinnovabili. Appare quasi sorprendente trovare così il nostro paese sul podio della graduatoria Ue per indice di eco-efficienza: secondi dietro al Lussemburgo e davanti Francia, Germania e Olanda. L’investimento nel verde sembra dare i suoi frutti.