News sul dossier ex Ilva giungono sul fronte giudiziario dove il Tribunale del Riesame di Taranto, in accoglimento del ricorso dell’Ilva in amministrazione straordinaria, con proprio provvedimento ha disposto la proroga del funzionamento dell’altoforno 2 per il tempo necessario all’esecuzione dei lavori di messa in sicurezza e sino ad un massimo di 14 mesi, con tappe intermedie di 9 e 10 mesi, ovvero nei maggiori o minori tempi stabiliti da Ilva per installare le sei nuove macchine già ordinate per i due campi di colata dell’impianto.
Il provvedimento di riesame segna un passaggio importante per la vertenza Ilva perché crea le condizioni per una sollecita riapertura della trattativa tra il Governo e ArcelorMittal, la multinazionale indiana che, smaltito il panettone natalizio, dovrà adesso entrare in una fase di concretezza e, soprattutto, credibilità per i tanti lavoratori coinvolti nel piano di esuberi.
Non convince, invero, il memorandum d’intesa dello scorso dicembre in nessuno dei tre principali focus prospettati.
L’impegno sulla decarbonizzazione appare molto debole soprattutto perché l’ArcelorMittal ha dato chiari segnali verso un disimpegno da un settore ritenuto non più strategico. Ne è prova anche il manifestato recesso dal contratto di affitto dell’ex Ilva, peraltro chiaramente strumentale all’abrogazione dello scudo penale. Inoltre, non vi è nessuna garanzia su un drastico ridimensionamento del piano di esuberi prospettato dagli indiani per la salvaguardia dei livelli occupazionali, né vi è alcuna certezza circa il commitment verso un investimento dell’ArcelorMittal nel nostro Paese e, tanto meno, su una ipotesi di una eventuale sostenibilità del medesimo, sul piano produttivo ed economico-finanziario.
E poi vi è da superare la netta contrapposizione dei sindacati Fim, Fiom e Uilm in ordine al più volte censurato piano industriale presentato dall’ArcelorMittal, espressamente etichettato come un “ricatto” dalla multinazionale a discapito dei lavoratori e del territorio, ormai stanchi di subire continui rinvii. Il dossier si fa ancora più critico sul fronte ambientale, laddove l’eventuale spegnimento degli impianti o, peggio, disimpegno della ArcelorMittal, nel produrre una verosimile desertificazione industriale del Mezzogiorno, non prevede comunque una pianificazione certa e concreta degli interventi di risanamento e riqualificazione delle aree della provincia ionica.
Era iniziata già male la giornata di ieri con un folto gruppo di lavoratori dell’ex Ilva che ha invaso ed occupato per larga parte della mattinata la strada antistante il polo siderurgico ArcelorMittal e la Raffineria Eni di Taranto. Si tratta di lavoratori in stato di cassa integrazione che hanno manifestato a lungo in segno di protesta contro il mancato rifinanziamento della integrazione salariale per gli oltre duemila lavoratori in regime di ammortizzazione sociale. Notevoli i disagi arrecati, soprattutto all’impianto di raffinazione per via del blocco dei varchi di accesso ai mezzi pesanti. Il sindacato di base Usb, a cui aderiscono gli oltre duemila lavoratori manifestanti, ha rivendicato il rifinanziamento dell’integrazione salariale al 10% per i cassintegrati nonché l’apertura di un tavolo di concertazione contro la desertificazione sociale del distretto industriale di Taranto. Situazione molto delicata per i lavoratori in cassa integrazione, sia ordinaria per quelli attualmente in forza all’Ilva in amministrazione straordinaria, quanto per quelli in cassa integrazione ordinaria dell’ArcelorMittal.
La situazione è resa ancor più grave sia dalla recente passerella natalizia del Premier Conte sia dalla ulteriore circostanza che la multinazionale indiana ArcelorMittal sembra proiettata a ristrutturarsi finanziariamente e riposizionarsi nel più florido settore dell’industria del trasporto marittimo internazionale, alla luce del recente accordo sulla cessione della metà della filiale Global Chartering Limited (GCL) a DryLog. In questo scenario il governo mantiene il controllo del dossier e lo gestisce con le caratteristiche modalità di gestione delle crisi, ossia con un assordante silenzio.
Eppure, urge raggiungere al più presto un accordo vincolante per evitare l’ulteriore macelleria sociale attraverso un serio, concreto e sostenibile rilancio del polo siderurgico.