Diritti verso la Brexit. Ormai manca davvero poco, dopo che la Camera alta di Londra ha approvato la legge per la ratifica dell’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea. I lord hanno quindi dovuto accettare il testo rimandato indietro dai Comuni, che ne avevano bocciato proprio gli emendamenti sulle garanzie dei diritti dei cittadini Ue che vivono nel Paese e sulla proposta di un diritto di veto del Parlamento sull’esito del negoziato. A questo punto il premier inglese, Theresa May, che ha parlato dal palazzo di Westminster di “un momento storico per il Paese”, non ha alcun vincolo normativo che le impedisca di invocare l’articolo 50 del Trattato di Lisbona, dando il via ai negoziati con l’Ue – come già annunciato con ampio anticipo – entro il mese di marzo.
Scontata, infatti, la ratifica del Withdrwal Bill – il pacchetto legislativo che formalizza l’avvio della Brexit – da parte della Regina (il cosiddetto “Royal Assent”), mentre sui tempi utili per fare partire l’iter di divorzio si dovrà aspettare la fine del mese. L’attesa del governo di Londra sembra dovuta al recente annuncio da parte della premier scozzese, Nicola Sturgeon, di voler convocare un nuovo referendum sull’indipendenza dal Regno Unito, da celebrarsi tra la primavera del 2018 e l’autunno del 2019. Un modo quindi per prendere tempo e stemperare i toni accesi sul fronte politico interno.
La procedura per uscire dall’Unione Europea, del resto, ha un meccanismo complesso dal momento in cui viene messa in moto dal Paese che ne chiede l’attivazione. Da Bruxelles in ogni caso si dicono pronti per l’inizio dei negoziati, come riferito nelle scorse ore dal portavoce della Commissione Margaritis Schinas, sottolineando come per prima cosa sarà necessario adottare delle linee guida politiche da parte del Consiglio europeo in un vertice che sarà convocato dal presidente Donald Tusk. L’incontro dovrebbe tenersi il 6 di aprile ma la data potrebbe slittare nel caso in cui, come appare probabile, la decisione della May di avvalersi dell’articolo 50 dovesse arrivare a fine marzo.
Le linee guida sono le posizioni generali e i principi adottati dai 27 Paesi dell’Ue, ma che potranno subire modifiche, se necessario, nel corso dei negoziati. Arrivati a questo punto, la Commissione presenterà una “raccomandazione” per poter dare il via ai tavoli con il Regno Unito, un’operazione che dovrà essere autorizzata dal gruppo dei 27. Nei fatti sarà la Commissione a negoziare con il governo della May, mentre il Consiglio sarà un organo di supervisione e di controllo politico del processo. Il capo negoziatore è stato già individuato nel politico francese, Michel Barnier, che riferirà “periodicamente e con precisione” durante tutta la fase dei negoziati che dureranno due anni ma potranno essere estendibili.
Il frammentato scacchiere politico britannico sembra scollarsi sempre più anche per via della questione scozzese. Il primo ministro di Edimburgo, Nicola Sturgeon, ha detto di voler convocare un nuovo referendum sulla secessione dal Regno Unito tra il 2018 e il 2019. Una misura già annunciata all’indomani del Brexit, dato che l’elettorato scozzese aveva votato con oltre il 62% per rimanere nell’Unione. Il nuovo annuncio della leader nazionalista ha provocato vari sussulti a Downing Street, che per il momento ha respinto al mittente la proposta della consultazione referendaria, visto che si tratterebbe della seconda nel giro di pochi anni.
Nel 2014 i no alla secessione dal Regno Unito rappresentarono il 55% dei voti, continuando a rimanere maggioranza nell’opinione pubblica in questi anni. “Ma adesso le condizioni sono cambiate”, ha spiegato la Sturgeon che ha sottolineato la portata storica della “Hard Brexit”, con la quale i cittadini scozzesi vengono costretti a uscire non solo dall’Ue ma anche dal mercato unico europeo.
Un muro contro muro, ma anche un gioco di specchi tra i due Paesi e tra le due donne premier, che rischia di produrre una situazione di stallo e di lacerazione con riverberi non solo nazionali ma anche europei. D’altra parte il governo e il Parlamento inglese hanno la facoltà di non convalidare il referendum in Scozia ma ciò provocherebbe una maggiore frattura nei rapporti istituzionali. Non concederlo, inoltre, significherebbe confermare una posizione accentratrice da parte di Londra, alla luce anche del voto sulla Brexit.
La Scozia in ogni caso, pur uscendo dal Regno Unito, non potrebbe formalmente chiedere di rimanere nella Ue ma dovrebbe avviare una nuova procedura di adesione all’Unione. Molto dipenderà dal governo May che, come appare probabile, dovrebbe decidere di chiudere prima i giochi sulla Brexit e dopo concedere un eventuale referendum secessionista agli scozzesi, nella speranza che il clima politico nel frattempo sia mutato. Ma in caso contrario a rischio a quel punto, dopo secoli di storia, sarà l’unità e l’integrità del Regno Unito.