In Italia se ne parla poco, ma negli Stati Uniti sempre più aziende stanno prendendo sul serio Bitcoin, la criptovaluta inventata nel 2008 da un gruppo anonimo di programmatori. Il motivo deriva dal fatto che questa moneta elettronica o meglio, questa criptovaluta, ha una caratteristica monetaria che fa inorridire i più blasonati economisti del mondo: l’inflazione “al contrario”, cioè la deflazione. Bitcoin infatti ha nel software un meccanismo che ne diminuisce l’emissione man mano che passa il tempo finché, arrivati a 21 milioni, non ne saranno emessi più di nuovi e ci si dovrà far bastare quelli in circolazione.
Un meccanismo che è l’esatto contrario delle valute che emettono gli Stati tramite le proprie Banche Centrali, cioè quelle che abbiamo in portafoglio, valute che tendono sempre ad aumentare in quantità perdendo, di conseguenza, il proprio valore: in una parola, inflazione.
Ma il problema nel paese a stelle e strisce è molto più sentito che in Europa, perché è di dimensioni veramente importanti. Come è stato spiegato recentemente nel blog di economia di Francesco Simoncelli, “Ci sono voluti cento anni, dal 1913 al 2013, affinché la FED accumulasse i suoi primi 3.000 miliardi di attivi. Poi, in soli tre mesi, da marzo a maggio di quest’anno, ha aggiunto altri 3.000 miliardi. E ora ne promette quasi 5.000 miliardi in più! “. Praticamente il governatore della Banca Centrale americana, Jerome Powell, per calmierare le preoccupazioni sia dei politici di Washington che dei cittadini (negli Usa giocano in borsa quasi tutte le famiglie!) ha promesso stampa illimitata e conseguente svalutazione del dollaro in grande stile.
Erosione dei capitali
Con la crisi sanitaria del 2020 sempre più esperti americani di finanza si sono resi conto di quanto necessario sia trovare strumenti che difendano i capitali dallo spettro dell’inflazione, visto che c’è già la maledizione dei rendimenti negativi nei titoli di Stato e nei conti correnti bancari. Ecco quindi che a parlare di Bitcoin come bene rifugio sono apparsi personaggi del calibro di Robert Kiyosaki e Nassim Nicholas Taleb, ma anche noti esperti del mondo finanziario come Paul Tudor Jones, e Raoul Pal.
Ma come se non bastasse, di recente si è aggiunta anche la multinazionale dei fondi di investimento Fidelity, che in uno studio pubblicato il 12 ottobre scorso (qui il link) ha mostrato come si possono comporre i panieri di investimento non solo in azioni ed obbligazioni, ma anche in Bitcoin.
Tutto grazie alla curva “inversa” dell’inflazione di bitcoin, che il suo anonimo creatore ha delineato quasi d’istinto nel momento in cui ha messo in funzione il primo programma.
Le aziende si mettono al riparo
Eccoci quindi arrivati ad ottobre 2020 e scopriamo che la caratteristica deflazionaria di Bitcoin sta interessando non poche aziende americane, soprattutto aziende non proprio piccole!
Una di queste è Stone Ridge Asset Management, che ha dichiarato di avere in custodia ben 10.000 bitcoin, per un controvalore di circa 115 milioni di dollari. Stone Ridge è stata quasi costretta ad entrare nel settore delle criptovalute quando la direzione si è resa conto che molti dei propri dipendenti detenevano bitcoin personalmente, oltre ad essere una richiesta dei loro stessi clienti, come ha spiegato questo articolo su Forbes.
Un’altra azienda che è arrivata alle luci della ribalta in questi giorni è Square, che si occupa di pagamenti tramite carte di credito. Square ha deciso di trasformare in Bitcoin parte del proprio capitale, ben 50 milioni di dollari, tanto che la notizia è andata a finire anche nel portale di news finanziarie CNBC. Del resto Square è stata fondata dallo stesso creatore di Twitter, Jack Dorsey, che non ha mai nascosto le sue simpatie per il mondo Bitcoin.
Ma Bitcoin, per la sua promessa di essere una riserva di valore, non interessa solamente alle società del mondo finanziario, ma anche altre aziende che hanno la preoccupazione di avere troppa liquidità ferma in banca. Una di questi è Microstrategy, colosso internazionale dei software di business intelligence e servizi basati su cloud per le aziende. Il suo amministratore delegato, Michael Saylor, era preoccupato su come mettere al sicuro i dollari parcheggiati nel conto corrente dell’azienda dalla futura ed incombente inflazione, così aveva iniziato seriamente a considerare di convertirne una parte in oro. Poi però, quando ha scoperto Bitcoin Saylor ha iniziato un’opera di persuasione su tutto il suo staff e soprattutto sui soci per cercare di ottenere il benestare all’operazione. Alla fine, dopo lunghe ed estenuanti trattative, inclusa la visione di video di personaggi famosi nel mondo Bitcoin come il programmatore Andreas Antonopoulos, c’è riuscito ed ha convertito in bitcoin oltre 400 milioni di dollari (qui la notizia), circa metà del patrimonio aziendale.
Per il governo americano un segnale di allarme: stampando troppi dollari si accontentano gli elettori ma si fanno fuggire le aziende.