Trasformazione digitale! Detto così sembra quasi una minaccia. Per molti ha il significato di informatizzare, automatizzare alcune funzioni, usare programmi informatici per fare ciò che un tempo si faceva con carta e penna. Ma cosa significa realmente? Qual è l’essenza? A cosa serve? Come si digitalizza un processo?
Come sempre è bene partire dalla definizione
Con il termine digitalizzazione si intendono diverse cose, infatti spesso si traducono termini inglesi differenti (digitization, digitalization), vediamone alcuni:
– Treccani online: Nella tecnica, conversione di grandezze analogiche in informazioni digitali, effettuata mediante un dispositivo, detto digitalizzatore o convertitore analogico-digitale. Si usa in particolare nei servosistemi per convertire determinate grandezze di ingresso (per es. l’assetto di un certo organo), in numeri, atti a essere inviati in un elaboratore elettronico numerico facente parte del sistema.
– Gartner: “Digitization is the process of changing from analog to digital form, also known as digital enablement. Said another way, digitization takes an analog process and changes it to a digital form without any different-in-kind changes to the process itself”.
– Brookings Institute: “Digitalization is the process of employing digital technologies and information to transform business operations”.
Chi dava per scontato che vi fosse una definizione chiarificatrice può ora disilludersi, come in tutte le cose della vita, di semplici non ve ne sono.
In ogni caso, trattandosi di organizzazioni e di lavoro, l’ultima definizione sembrerebbe più appropriata, per cui la utilizziamo combinata alle precedenti: trasformazione digitale per noi significa ripensare ai processi interni di lavoro e impiegare le tecnologie digitali disponibili per migliorarli allo scopo di ottenere un vantaggio competitivo, di qualunque genere esso sia.
Purtroppo spesso, se non sempre, si prende una scorciatoia, informatizzando (e non digitalizzando) parti di un processo senza ripensare al processo nella sua interezza. Questo tipo di scorciatoia è pericolosa in quanto non tiene realmente conto delle possibilità tecnologiche esistenti e spesso non ottiene neanche vantaggi di alcun genere.
Ma per essere chiari facciamo un esempio. Supponiamo di voler digitalizzare il processo di rilascio di un documento di riconoscimento. Il nostro processo interno prevede la compilazione di una domanda in carta semplice, la presentazione contestuale di un documento di riconoscimento, la verifica dei dati sui database dell’organizzazione, la produzione del documento se la verifica è andata a buon fine, l’avviso di presentarsi per il ritiro, la possibilità di scegliere la data di ritiro. Supponiamo che inizialmente il documento in esame sia cartaceo e tutte le fasi del processo originario debbano essere svolte in presenza ad uno sportello.
L’informatizzazione del processo, nei primi tempi, si è limitata a guardare un aspetto di questo processo e sostituirlo con una automatizzazione parziale. Per esempio, nell’era del web, la prima parte del processo potrebbe essere sostituita con l’uso di un sito web. Per cui il processo verrebbe in parte modificato in questo modo: compilazione di una domanda sul sito web, presentazione contestuale di un documento di riconoscimento in formato pdf, verifica dei dati sui database dell’organizzazione, la produzione del documento se la verifica è andata a buon fine, l’avviso di presentarsi per il ritiro, la possibilità di scegliere la data di ritiro. Il documento da ritirare è sempre cartaceo. Ciò che abbiamo modificato riguarda solo la fase di richiesta.
Naturalmente in questo processo vi sono tanti aspetti nascosti, che però potrebbero influire notevolmente, per esempio l’accesso al sito web per fare la richiesta. Fino a pochi anni fa l’accesso era fatto con una semplice registrazione al servizio, oggi probabilmente per accedere al sito l’utente utilizza SPID o qualcosa di simile. Se non si tiene conto di ciò si rischia di appesantire il processo facendo delle attività già fatte in precedenza o svolte da altri soggetti.
Se analizziamo bene la parte iniziale, infatti, ci potremmo accorgere che l’accesso avviene per mezzo dello SPID per cui la presentazione del documento di riconoscimento, prevista inizialmente nel nostro processo interno, non è più necessaria in quanto compiuta da chi rilascia lo SPID. Il processo deve dunque essere modificato eliminando la fase di presentazione contestuale del documento di riconoscimento.
Questo era solo un semplice esempio di analisi dei processi e di come questa analisi, se effettuata, possa apportare dei benefici all’interno della nostra organizzazione. Naturalmente questo tipo di analisi è solo una parte di quanto occorre fare per la trasformazione digitale internamente ad una organizzazione.
Nelle grosse organizzazioni è necessario avere dei documenti guida che aiutino a capire cosa si deve fare, come lo si deve fare, in quali tempi e perchè. Tali documenti definiti talvolta di strategia, altre volte di policy o anche direttive, sono la guida per tutti i membri dell’organizzazione nel processo di trasformazione digitale.
Ma chi guida? Chi detta i tempi della trasformazione? Chi seleziona i prodotti e le tecnologie idonei alla trasformazione? Chi si occupa degli aspetti di sicurezza?
Ultimamente, in ambito aziendale, si parla di Chief Digital Officer che è principalmente orientato verso la trasformazione digitale aziendale, ma non tutte le aziende si possono permettere una figura specifica per cui generalmente chi si occupa di transizione è il Chief Information Officer (CIO) assieme al Chief Information Security Officer (CISO). Queste due figure, non sempre distinte, sono chiamate a lavorare assieme per consentire la trasformazione digitale. In aziende più piccole tutto il lavoro è devoluto al Responsabile IT che non sempre ha all’interno del suo staff personale competente per svolgere anche questa funzione.
In ambito pubblico si parla invece di Responsabile per la Transizione Digitale (RTD), che ha tra le principali funzioni ha quella di garantire operativamente la trasformazione digitale della Pubblica Amministrazione, coordinandola nello sviluppo dei servizi pubblici digitali e nell’adozione di modelli di relazione trasparenti e aperti con i cittadini.
Naturalmente, tra pubblico e privato vi sono tantissime differenze per cui anche il personale deve avere competenze e conoscenze talvolta differenti. Ciò che sicuramente deve accomunarli è la passione per le tecnologie e la voglia di studiare senza sosta, requisiti ormai indispensabili per il nostro mondo del lavoro.