Sulla protezione del quinto dominio cibernetico si torna alla decretazione d’urgenza. Verrà infatti presentato al Consiglio dei Ministri il nuovo Decreto-Legge che disciplinerà il perimetro di sicurezza cibernetico del nostro paese. Eppure, lo scorso 11 luglio entrava in vigore il Decreto-Legge n. 64 recante “modifiche al decreto-legge 15 marzo 2012 n.21, convertito con modificazioni dalla legge 11 maggio 2012, n. 56” pubblicato nella GU n.161 del 11-7-2019” che ha introdotto in via d’urgenza la regolamentazione integrativa della disciplina in materia di “golden power”.
Il provvedimento, nella vigenza del primo Governo Conte, veniva definito come “una misura che delimita ancora più efficacemente le verifiche spettanti al Governo in caso di autorizzazioni di atti e operazioni societarie riguardanti le nuove reti di infrastrutture tecnologiche”.
Tuttavia, a pochi giorni dalla promulgazione del superiore Decreto-Legge, il Governo cambiava inspiegabilmente direzione, come veniva reso noto dal Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio, Vincenzo Santangelo, che nel suo intervento in Commissione Finanze del Senato dichiarava che “il Governo non avrebbe intenso insistere per la conversione in legge del decreto integrativo sul Golden Power” e nel contempo rendeva noto che era in corso di definizione un disegno di legge per una più organica e strutturata disciplina della cybersecurity del perimetro nazionale, che a breve sarebbe stato sottoposto all’esame del Consiglio dei Ministri.
La dichiarazione politica appariva già controversa e, per certi versi, anche contraddittoria
Perché, infatti, rinunciare ad un decreto che in via d’urgenza andava a disciplinare una delicata materia ritenuta di strategico interesse per la sicurezza nazionale? E, soprattutto, perché non emendare in sede di conversione se si riteneva migliorabile il testo del Decreto-Legge in nome di una più organica e strutturata disciplina del Golden Power?
Huawei si lamenta e il governo cambia strategia
Certo è che Huawei si è vigorosamente opposta al decreto legge su Golden Power denunciando che “il quadro normativo delineato rischiava di mettere l’azienda in una posizione di difficoltà tale da essere discriminata per quanto riguarda lo sviluppo delle reti di tlc e del 5G” in quanto, applicandosi la norma esclusivamente ai fornitori extra-Ue, sarebbe piuttosto più legato a valutazioni geopolitiche che alla opportunità di una considerazione neutrale della tecnologia con disposizioni normative da rivolgersi più opportunamente alla generalità di fornitori.
E così, il Governo cambiava strategia, annunciando inaspettatamente un nuovo Disegno di Legge preordinato ad assicurare un elevato livello di sicurezza delle reti, dei sistemi informativi e dei servizi informatici delle amministrazioni pubbliche, degli enti e degli operatori nazionali, pubblici e privati, da cui dipende una funzione essenziale dello Stato dal cui malfunzionamento o interruzione, anche parziali, ovvero utilizzo improprio, possa derivare un pregiudizio per la sicurezza nazionale.
La scelta politica appariva adesso chiara
Nello schema di disegno di legge in materia di perimetro di sicurezza nazionale cibernetica andava a confluire anche la disciplina sul golden power. La nuova disciplina nella prospettazione del DDL introduceva un coordinamento con il Codice delle comunicazioni elettroniche e le disposizioni del D.lgs. 65/2018 attuativo in Italia della Direttiva Europea “NIS” sulla protezione delle reti e dei sistemi informativi. In particolare, si prevedeva che con un primo Dpcm su proposta del Comitato Interministeriale per la Sicurezza della Repubblica si sarebbero individuati i soggetti rientranti nel perimetro e i criteri per la formazione degli elenchi delle reti, dei sistemi e dei servizi rilevanti, la cui elaborazione sarebbe stata affidata ad una composizione tecnica del CISR integrata dalla partecipazione di un rappresentante dell’Agenzia per l’Italia Digitale (Agid). Con un ulteriore Dpcm sarebbe poi stata indicata la previsione di termini e modalità attuative relative alle procedure di notifica degli incidenti, delle misure volte garantire un elevato livello di sicurezza delle reti e dei servizi rilevanti. Infine, si rimandava ad uno specifico regolamento la disciplina delle comunicazioni al Centro di valutazione e certificazione nazionale (CVCN) e relative all’affidamento di forniture di beni e servizi ICT destinati a essere impiegati sulle reti, sui sistemi e per i servizi rilevanti e delle eventuali condizioni, prescrizioni e valutazioni del rischio, specie per la componentistica più critica.
Il primo atto del governo Conte – bis
Frattanto, dopo la breve crisi di governo e l’insediamento del Governo Conte-bis, il primo atto ufficiale risale al 5 settembre con l’esercizio dei poteri speciali in ordine alle notifiche informative ricevute dalle Società di Telecomunicazioni Linkem, Vodafone, Tim, Wind e TRE con ricadute anche su Huawei e ZTE per la conclusione di alcuni contratti per beni e tecnologie recanti vulnerabilità dal punto di vista dell’interesse strategico-nazionale. Da lì a poco, ancora una volta il Governo giallo-rosso, dopo l’innovativa istituzione del Dipartimento per la trasformazione digitale, interviene sul perimetro nazionale della cybersecurity e, questa volta, la fa con uno nuovo schema di Decreto-Legge, palesando delle straordinarie necessità di urgenza.
Nel testo del nuovo decreto, che sostituisce l’originario schema di DDL, la Presidenza del Consiglio dei Ministri avoca a se le attività di ispezione e verifica della compliance da parte dei soggetti pubblici, mantenendo in capo al Mise la vigilanza sui soggetti privati. Pertanto, pur nella sua declinata centralità, la Presidenza del Consiglio potrà avvalersi dell’Agenzia per l’Italia digitale che, intanto, viene “svuotata” del capitale umano previsto in copertura finanziaria, che viene dirottato alla Presidenza del Consiglio.
Sul golden power nel 5G, viene evidenziata la facoltà di esercizio dei poteri speciali da parte del Governo, attraverso specifiche prescrizioni per la sostituzione di apparati e prodotti che risultano gravemente inadeguati sul piano della sicurezza, secondo le valutazioni del Centro di valutazione e certificazione nazionale (Cvcn) istituito presso il Mise e sulla base della disciplina regolamentare di successiva emanazione, a cui l’art. 3 espressamente rinvia.
È fissata a quattro mesi la deadline per individuare le amministrazioni pubbliche, gli enti e gli operatori pubblici e privati che devono entrare a far parte del cosiddetto perimetro cibernetico, a garanzia della sicurezza di reti e servizi considerati “strategici”. Aggiornamento annuale dell’elenco delle reti, dei sistemi informativi e dei servizi informatici. Dieci mesi di tempo per definire le procedure secondo cui i soggetti che fanno capo al perimetro notificano gli incidenti che hanno impatto su reti, sistemi e servizi.
Al Mise saranno attribuiti poteri ispettivi e sanzionatori per i settori dell’energia, delle infrastrutture digitali e dei servizi digitali e competerà inoltre la tenuta dell’elenco degli operatori dei servizi essenziali (OSE), rappresentando anche l’autorità di riferimento per i fornitori di servizi di comunicazione elettronica e l’organismo di certificazione e sicurezza informativa, presso cui è stato istituito il CVNC.
Sul piano sanzionatorio, il Decreto introduce la pena della reclusione da uno a cinque anni e, per l’Ente, una sanzione pecuniaria fino a 400 quote, per il caso in cui si forniscano volutamente informazioni false. Verranno altresì introdotte ulteriori sanzioni pecuniarie proporzionate alla gravità delle condotte con previsione di scaglioni che variano da duecento mila euro a 1,8 milioni di euro.
Decreto legge su disposizioni urgenti in materia di perimetro di sicurezza nazionale cibernetica