Il conflitto Russia-Ucraina e il Malware che non c’è. Da alcuni giorni il mondo è sprofondato nell’angoscia più cupa, quella che solo la guerra può generare. Vladimir Putin, unico e incontrastato decisore della Russia, ha ritenuto che fosse ora di “riprendersi” l’Ucraina, e dopo aver ammassato le sue truppe al confine, minacciando azioni militari se la stessa Ucraina non avesse rinunciato alle sue aspirazioni “atlantiste” ed europeiste, ha dato l’ordine di oltrepassare il confine, dopo aver firmato un atto di riconoscimento delle Repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk, nel Donbass, filorusso.
In pochi giorni l’invasione delle truppe russe ha scatenato la guerra, che tuttavia non si è conclusa in poche ore o giorni, come forse auspicava e prevedeva lo Stato Maggiore Russo, anche per la resistenza del popolo ruteno che, seppur in condizioni di inferiorità in termini di strumento militare a disposizione, è riuscito ad infrenare l’avanzata dell’Armata Rossa, o quanto meno a rallentarla.
I Media di tutto il mondo hanno ovviamente iniziato a seguire le vicende del conflitto per la gravità delle conseguenze ad esso connesse e per la tragicità degli eventi. Militari, studiosi di geopolitica, giornalisti, esperti di diritto internazionale e professionisti della sicurezza a vario titolo hanno elaborato teorie, azzardato previsioni, analizzato i fatti e, nel mondo globalizzato e interconnesso nel quale viviamo, non è stato difficile documentarsi, informarsi e farsi delle idee al riguardo.
In effetti ci sono veramente pochi fenomeni al mondo vasti come la guerra, anzi, potremmo dire che non c’è nessun popolo al mondo che non la conosca. Anche per i bambini è una sorta di istinto: la imitano, ci giocano, si procurano delle armi giocattolo.
Pierre-Joseph Proudhon, in una delle sue Opere, La Guerre et la Paix del 1861, dice a proposito della guerra che “tutti ne hanno un’idea certa, alcuni per esserne stati testimoni, altri per avver letto molte relazioni, parecchi per averla fatta”.
La guerra però è qualcosa di più e di diverso dalla “semplice” idea della lotta universale che si trova in natura: se la guerra si definisse “solo” lotta, si finirebbe col generalizzare e apporre l’etichetta di lotta alle azioni più diverse; come per il concetto di “lotta per la sopravvivenza” di cui parlava Enrico Ferri nel suo trattato sul Socialismo e la scienza positiva del 1894, per cui “la lotta per l’esistenza è una legge inerente all’umanità e a tutti gli esseri viventi”. Orbene la guerra è qualcosa di diverso dalla lotta, dal superamento di un ostacolo, dalla risoluzione di un problema; è qualcosa di più complesso.
Innanzitutto la guerra è un fenomeno collettivo, pertanto non è nemmeno paragonabile agli atti di violenza individuali. E che la guerra sia un fenomeno collettivo, lo si evince non tanto dal numero degli “sfidanti” coinvolti, uno contro uno, due contro due, cento contro cento, ma dall’individuazione di una collettività che combatte intenzionalmente, o, per dirla meglio ancora, dalle finalità e dagli scopi che quelle collettività perseguono attraverso le azioni belliche, cioè l’annientamento parziale o totale dell’avversario. Inoltre la guerra ha per così dire un carattere “giuridico”, cioè ogni guerra è goverrnata da regole, quelle del diritto bellico per l’appunto, ma anche da formalità dettate dal diritto internazionale o dalla consuetudine. La guerra è un fatto umano, con un princìpio e una fine, momenti questi che, normalmente, sono accompagnati se non proprio da cerimonie o solennità, certamente da protocolli, firma di trattati, approvazioni dei decisori, che hanno lo scopo di dare risalto al momento di passaggio: dalla pace alla guerra e viceversa. La guerra, in sintesi, è un periodo durante il quale le collettivtà belligeranti applicano delle regole e delle consuetudini che altrimenti non avrebbero applicato.
Non è questa la sede per sintetizzare con quali strumenti l’Uomo nel corso della storia abbia fatto la guerra nel modo più efficace possibile, ma è del tutto evidente che con il passare del tempo le armi utilizzate per vincere i conflitti sono diventate sempre più sofisticate. La storia dell’armamento è strettamente connessa alle rivoluzioni industriali e in generale al progresso della tecnica. Al princìpio dominavano le armi da urto o impatto, cioè quelle che prevedevano il contatto fisico dei guerrieri, il così detto corpo a corpo: spade, coltelli, asce, clave, lance; poi si è passati alle armi da lancio: fionde, frecce, catapulte, etc. Ma il momento di passaggio cruciale nella storia dei conflitti è stata l’invenzione della polvere da sparo: pistole, fucili, mitragliatori, fino ad arrivare ai missili.
Oggi la guerra si combatte invero anche sul piano economico, con le sanzioni che gli Stati impongono ad altri, al fine di stritolare l’economia del nemico, fiaccare la resistenza di quei cittadini, indebolire le finanze avversarie, svalutarne la moneta.
Si diceva all’inzio degli esperti che si sono interessati al conflitto in corso tra Russia e Ucraina, i quali non hanno tralasciato di analizzare anche la prospettiva della così detta Cyberwar, la guerra elettronica o cibernetica. Le infrastrutture critiche, tra cui le centrali energetiche, gli acquedotti, le reti ferroviarie, i porti e gli aeroporti, le telecomunicazioni, nonchè tutte le istituzioni economiche e finanziarie, sono “connesse” alla Rete ed altamente informatizzate. Studiosi di informatica e qualificati esperti di cybersecurity, si sono recentemente affannati (e affollati), a spiegare che Cyber attacchi devastanti fossero prossimi e che da un momento all’altro Aziende e Istituzioni avrebbero potuto patire infiltrazioni malevole dei più moderni e sofisticati virus informatici. La stessa Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale in Italia, ha diramato di recente un Alert su possibili attacchi di questo genere e di innalzare pertanto il livello di protezione. Lo stesso Anonymous, il più grande gruppo hacker al mondo, ha colpito i siti web di Duma e Cremlino rendendoli irraggiungibili per qualche ora. Si è letto di ondate di attacchi DDoS e defacement contro i siti più disparati soprattutto in Russia.
Ma nessun attacco cibernetico “devastante” ha colpito i cittadini russi, ucraini e nemmeno italiani ed europei. Nessuno la mattina ha provato ad aprire l’acqua del rubinetto senza che uscisse regolarmente, nessuno ha patìto interruzioni di rifornimento di energia elettrica, nessuno ha avuto il conto corrente criptato da qualche attaccante russo che sia riuscito a cifrare le nostre password, nessuno che abbia acceso il proprio PC e lo abbia trovato infettato in modo irreparabile.
E allora? La guerra cibernetica non era la nuova frontiera su cui confrontarsi? E la Nato, che nell’elaborazione e nell’aggiornamento della propria Dottrina accanto ad aria, spazio, terra e mare aveva aggiunto il cyberspazio? Il quinto dominio di guerra che, non contemplando limiti e confini giuridici, ha un campo di battaglia tanto esteso e i cui player godono di un anonimato quasi assoluto?
E infine, gli allarmi degli esperti, non erano giustificati?
Chiariamo subito che il conflitto cibernetico è già realtà e sarà sempre di più in futuro al centro delle Operazioni militari degli Stati, ma la Guerra per ora è un’altra cosa.
E’ ancora fango, lacrime, sangue e morte; dove i mortai fanno vittime e feriti, dove i carri armati avanzano distruggendo ogni ostacolo, gli aerei bombardano, i fanti avanzano metro dopo metro nel caldo asfissiante del deserto così come nel gelo della tundra…e dove una scheggia uccide il piccolo Kirill Yatsko, di 18 mesi, nella martoriata città di Mariupol.
La Guerra porta con sé un carico di dolore insopportabile, quello della morte degli innocenti, che più innocenti non si può… aspettando il malware che non c’è e che per ora, non fa paura.