a cura di Daniele Piccinin
In Italia tre adolescenti su dieci sono vittime di bullismo e l’8,5% è finito preda dei cosiddetti cyberbulli. Dati fotografati recentemente dall’Osservatorio nazionale adolescenza che monitora le problematiche degli adolescenti italiani. Comparando i dati degli ultimi due studi a destare preoccupazione è l’abbassamento progressivo dell’età dei minori coinvolti. Giovani, quindi, sempre più vittime del web, senza il controllo dei genitori ma soprattutto privi di norme di condotta a cui adeguarsi quando ci si imbatte sui social network. Di questi temi si è parlato nel corso del convegno dal titolo “Cyberbullismo e web reputation: regole di comportamento sociale e strumenti di prevezione”, organizzato nella sede del Consiglio di Stato.
L’incontro ha acceso l’attenzione sulla necessità di una diffusione della cultura dell’importanza del dato personale sul web. Quello della consapevolezza è senz’altro un tema prioritario sul quale in Italia si stanno facendo passi importanti, come dimostra il recente studio Global Advisor di Ipsos, condotto in 28 Paesi che rileva come la consapevolezza del cyberbullismo nel nostro Paese è passata dal 57% del 2011 al 91% del 2017.
Ad allarmare è anche il fatto che nella galassia del cyberbullismo vittime e carnefici sono sempre più giovani. Ne è dimostrazione che il 4% degli adolescenti dai 14 ai 19 anni e il 5% dagli 11 ai 13 anni dichiara di aver filmato o fotografato un coetaneo nel mentre che qualcuno gli faceva del male, senza intervenire, pur di immortalare il momento e renderlo poi virale. Consapevolezza che tuttavia non si traduce automaticamente in denuncia della volenza subita, visto che il 74% delle vittime non ha il coraggio di parlare con la famiglia o gli insegnanti.
“Vogliamo dimostrare che soltanto diffondendo una cultura dell’importanza della propria ed altrui reputazione online ed una cultura del dato personale sul web si combatte il cyberbullismo”, ha detto nel suo intervento Simona Petrozzi, Web Reputation Specialist e titolare di SIRO Consulting Social Intelligence & Reputation Online.
“Tutto parte quindi dal concetto di rispetto dell’altra e dell’altro, chiunque esso sia, che è imprescindibile. Gli studenti di ogni età devono essere sensibilizzati ad un uso responsabile della rete e resi capaci di gestire le relazioni digitali in un campo libero e non protetto. Ed è per questo che diventa indispensabile la maturazione della consapevolezza che internet può diventare, se non usato in maniera opportuna, un pericolo serio. Ciò che si posta online è un tatuaggio indelebile e genera l’hate speech”. Divulgare una cultura che dia importanza alla web reputation, ha aggiunto la dottoressa Petrozzi, “significa insegnare ai ragazzi a stare sui social pensando al loro futuro, alla loro collocazione professionale, al loro ruolo nella società della quale saranno protagonisti. Le informazioni che si trovano sul web di ognuno di noi debbono essere quindi monitorate, gestite, ed implementate nella corretta maniera”.
Più complesso, invece, nella normativa vigente, il ruolo degli insegnanti: “la legge, che ha il difetto di fondo di essere troppo poliziesca, dice che bisogna istituire nelle scuole il referente contro il cyberbullismo”, ha sottolineato Francesco Gambato Spisani, consigliere di Stato della sesta sezione giurisdizionale. “Il referente deve essere un docente, cioè un pubblico ufficiale che risponde al suo dirigente scolastico che, se viene a conoscenza di un reato, ha l’obbligo di denunciarlo. Per contrastare il fenomeno però ci vorrebbero informazione e dialogo. Per questo, sotto il profilo legislativo, occorrerebbe una modifica, per dare la possibilità al referente sul cyberbullismo, non in veste di pubblico ufficiale, di osservare un segreto professionale; ai ragazzi, di chiedere aiuto e potersi confidare; e al dirigente scolastico, di intervenire, anche e soprattutto quando c’è di mezzo un reato”.
Cruciale, per Isabella Corradini, psicologa sociale e presidente di Themis, è la consapevolezza che il web e i social rappresentano “uno scenario virtuale in cui avvengono azioni reali” e che “tutto ciò che scriviamo e condividiamo online lascia una scia”. Per questo, il 73,1% di un campione di 2.422 insegnanti di ogni ordine e scuola (ascoltato da Themis nel corso di una ricerca), crede che per l’uso consapevole delle tecnologie digitali sia necessario essere a conoscenza dei rischi. A fare il punto sugli illeciti agiti dai cyberbulli è Caterina Flick, penalista specializzata in Diritto dell’informazione e privacy: “i cyberbulli possono violare la privacy, creare una lesione ingiustificata della reputazione, commettere atti di estorsione, razzismo e stalking”, spiega Flick. “Il cyberbullismo è di fatto una prepotenza online fatta in rete in modo continuato da una persona o da un gruppo contro una vittima”.
Prevenzione è anche e soprattutto educazione, come ha spiegato Raffaele Focaroli, Pedagogista e Giudice Onorario del Tribunale dei Minorenni di Roma. “Affrontare la problematica del cyberbullismo ed in particolar modo dell’orientamento dei giovani di fronte a nuovi canali comunicativi, come quelli informatici, sta a significare l’adozione di azioni educative volte ad arginare le problematiche connesse al web. È pertanto importante – ha sottolineato il pedagogista – affrontare certamente le tematiche sotto il profilo legale e giuridico ma è fondamentale, se non prioritario, considerare gli aspetti più propriamente pedagogici e sociali. Oltretutto il ruolo del genitore assume una valenza prioritaria nell’approccio al nuovo linguaggio informatico come guida per i soggetti più giovani”.