Scampato il pericolo dell’arresto stile Arcipelago Gulag nell’ultimo Dpcm. Un rigurgito di ragione del nostro presidente del Consiglio. O forse qualcuno gli ha fatto notare che non era cosa, che anche a farla fuori dal vaso ci vuole misura. Non lo sapremo mai. Ma tant’è. La polizia non busserà all’uscio delle nostre case. Neanche se chiamata dagli spioni. Massimo sei persone nelle riunioni familiari o nelle feste private. Non è un obbligo, ma una raccomandazione. Nero su bianco nel decreto.
Ci deve esser rimasto male, male assai, il ministro Roberto Speranza che giorni fa in TV da compare Fazio esortava gli italiani alla delazione. Un’uscita infelice, per usare un eufemismo, che pare abbia infastidito anche lo stesso Conte.
Non brindare, il vicino ti ascolta. Ci aveva sperato il ministro della Salute. Già pronto a sostituire la divisa del nostro portiere con quella del kapò. Ci aveva provato a metterci tutti contro tutti, con quella faccetta emaciata, con quel tono pacato, subdolo. Gli ha detto male.
E sì, che avrebbe trovato terreno fertile. Perché gli italiani, che sono brava gente come si dice, in fondo in fondo soffrono della sindrome della zitella invidiosa.
Quelli sempre pronti a dispensare “buoni consigli, non potendo più dare cattivo esempio”, come cantava l’indimenticabile Fabrizio De André. Anche lì, infatti, fu una spiata delle comari del paesino a tradire “Bocca di Rosa”.
Italiani, bisogna dirlo, comunque spaventati, terrorizzati, soggiogati da media e giornaloni di regime che ripetono ogni giorno come un mantra che aver paura è cosa buona e giusta. Che il buonsenso e la ragione sulla gestione del virus siano ragionamenti fascisti, ormai è cosa nota.
Il virus c’è e negarlo è da imbecilli. Ma incutere il terrore brandendo cifre come fossero una clava è da pazzi.
Pazzi che forse tentano di mettere una pezza a ritardi organizzativi evidenti in vista della cosiddetta “seconda ondata” che potrebbe cogliere ancora impreparato il Paese. L’allarme amplificato per celare le loro negligenze. Per nascondere l’incapacità di un esecutivo allo sbando.
E intanto snocciolano, come prefiche che recitano il rosario, il numero dei contagiati, perlopiù positivi asintomatici, ma tacciono su questo “dettaglio” come anche sul numero dei morti che, per fortuna, sono pochi. E si guardano bene anche dal divulgare le percentuali dei decessi, dei ricoveri e delle terapie intensive in relazione ai contagi perché il loro castello del terrore crollerebbe come fosse di carta.
Come farebbero poi a giustificare le chiusure anticipate di bar e ristoranti, le mascherine consigliate anche in casa e tutto l’ambaradan messo in piedi dal governo?
Ed è tutto un susseguirsi di esperti, di virologi, di infettivologi capitanati dall’onnipresente professor Galli, ormai in onda a reti unificate. Ogni posto occupato in più nelle terapie intensive, per lui, un orgasmo.
Salvo poi balbettare e trincerarsi dietro un ipocrita “no comment” di fronte a una domandina semplice semplice di Nicola Porro, ospiti entrambi di Barbara Palombelli.
Il giornalista chiedeva al professore quanti malati Covid ci fossero nel suo reparto.
Era una settimana fa.
Ma ancora non ci è dato sapere. Tace. Curioso, proprio lui che è tanto ciarliero.