L’Isis si finanzia anche con l’arte trafugata e contrabbandata. Il contrabbando di opere e reperti dal Medio oriente ha avuto un impennata dell’86% in questi anni, secondo la US International Trade Commission. Basta Facebook per acquistare un frammento di stele babilonese: il milione di euro, dato in cambio, arriverà dritto nelle mani dell’Isis.
Questa nuova frontiera del finanziamento al terrorismo rende lecite alcune domande: le missioni internazionali e segrete che coinvolgono anche il nostro Paese riguardano anche questo immenso mercato internazionale?
C’è un collegamento con le operazioni militari internazionali di questi ultimi mesi? Esiste un intrigo tra superpotenze che cercano di mettere mano anche su questo vasto mercato che sta depauperando i siti culturali mediorientali controllati e conquistati dai terroristi?
Ofcs Report punta la sua attenzione su un fenomeno già di vaste proporzioni. Solo alcuni mesi fa, in alcuni video apparsi in rete, sono state distrutte opere d’arte di inestimabile valore. Ora l’Isis mostra l’altra faccia, alimentando il contrabbando di beni archeologici e artistici, trafugati e rubati nell’area medio-orientale per finanziare le diverse attività terroristiche. Beni artistici venduti anche online sui social network o portali dedicati e smistati utilizzando sistemi di traffico illegale e piazzisti senza scrupoli in piena Europa, come accertato alcune settimane fa per il centro di Losanna in Svizzera. Non pare dunque destare clamore la notizia del ritrovamento avvenuto nel marzo scorso, da parte del Dipartimento dell’Antichità del Louvre, ma reso noto solo la scorsa settimana, di due bassorilievi del XIV-XVI secolo scolpiti con foglie, uccelli e grappoli d’uva che probabilmente ornavano la balaustra del coro di una chiesa paleocristiana e che stavano transitando nell’aeroporto Charles De Gaulle di Parigi. Si tratta probabilmente di uno dei più importanti sequestri di beni culturali in Europa degli ultimi tempi. Il loro valore è stimato intorno ai 250mila euro. Gli esperti del Louvre sono sicuri della loro provenienza: la regione della valle dell’Eufrate tra la Siria e l’Iraq, attualmente occupata dall’Isis. I due oggetti viaggiavano in una massiccia cassa di legno, in arrivo dal Libano e diretta in Thailandia, di ben 108 kg, che secondo i documenti avrebbe dovuto contenere banali «pannelli decorativi da giardino». La cosa ha insospettito gli agenti. Secondo le autorità doganali, sentite da “Le Parisien” che ha rivelato la notizia, questo episodio è il segno che l’Isis è a corto di finanziamenti: “L’Isis si libera della mercanzia più frettolosamente di prima, hanno fatto notare. Prima questo tipo di oggetti transitavano via terra e su circuiti paralleli complessi, ora prendono tragitti molto più sorvegliati”. Ma come ci confermano le agenzie di intelligence di mezzo mondo e diverse inchieste basta avere un profilo Facebook , scegliendo nickname in arabo ed entrare in dialogo con i loro rispettivi contatti. Basta un clic, dunque, per entrare in contatto con i contrabbandieri che smerciano bassorilievi, statue, monili e addirittura sarcofagi egizi, con tanto di foto postate e catalogate per consentire agli utenti di scegliere e pagare mediante i moderni sistemi di money transfer o su carte ricaricabili.
Come funziona la trattativa sui social. Basta davvero poco, un breve messaggio postato sotto il video di “promozione” del bene in vendita sulle pagine Facebook, che vengono aperte quotidianamente e chiuse in brevissimo tempo, utilizzando sempre gli stessi nickname in diverse variabili. Poi la diffidenza iniziale lascia spazio alla trattativa e la disponibilità del “venditore” di mostrare su skype l’opera direttamente da una telecamera online. Alla fine l’acquirente avrà l’opera, e i terroristi i soldi. Lo scambio ovviamente non avviene per posta, ma in centri di smistamento del traffico illegale, come a Losanna in Svizzera, dove l’opera arriva grazie a rivenditori amici. Difficile intercettare questo enorme traffico, le leggi sono nazionali, nessun drone o satellite è in grado di sorvegliare.
Opere di inestimabile valore che provengono dal saccheggio ormai sistematico e incontrollato dei siti archeologici e dei musei che gli integralisti islamici stanno attuando in molti Paesi (almeno 18) tra cui Siria, Iraq, Libia, Egitto, Libano. Aree in pericolo pressoché inaccessibili e pericolose per gli operatori a terra, ma ben evidenziate dalle recenti missioni di archeologi incaricati di rilevare immagini satellitari e riprese aeree per catalogare un immenso e spesso non ancora documentato patrimonio archeologico. Resti in pietra e terra sono ben visibili dall’alto. Si tratta di insediamenti, tombe, fortezze, città, sistemi di irrigazione che coprono tutte le epoche, dalla Preistoria ai giorni nostri. La missione è guidata dai professori David Kennedy e Robert Bewley che hanno già sperimentato questa metodologia su larga scala in Giordania, ottenendo ottimi risultati, ma sembra ben poca cosa e inefficace, limitarsi alla catalogazione rispetto all’enorme contrabbando e vendita di beni ed opere. Secondo fonti intelligence si può prendere in considerazione questo commercio solo se viene documentato il filo diretto tra la vendita delle opere e l’acquisto delle armi per rifornire i terroristi. Solo in quel caso inizierebbero le indagini dei servizi segreti. Anche il nostro nucleo carabinieri per la tutela del patrimonio culturale, pur coordinandosi con l’Interpol, risponde a una legislazione tutta italiana, e dunque inefficace, verso lo smercio illegale dei manufatti provenienti dai saccheggi mediorientali e africani.