Un ginepraio di norme, ordinanze e appendici tecniche. Così si presenta la normativa tecnica che disciplina la costruzione antisismica sul suolo italiano. In questi giorni, dopo la tragedia di Amatrice, Accumoli e Pescara del Tronto, si è tornati a discutere di muratura, cemento armato, spinte e carichi, equilibrio statico e flessibilità. E la procura di Rieti ha subito aperto un fascicolo per appurare come la scuola e l’ospedale di Amatrice siano potute crollare.
La qualità degli impasti del cemento è stata messa subito sotto accusa, come accadde a L’Aquila dove si parlava di eccessiva sabbia nella malta che costituiva gli edifici, ma anche le norme hanno il loro peso. Specie se si tratta di provvedimenti che a volte nascono con natura emergenziale (l’ordinanza del 2003 del governo Berlusconi) o se hanno una trattazione impari per ciascun argomento, come la normativa entrata in vigore nel 2009. L’ordinanza del 2003 è quella che suddiviso il rischio sismico in 4 fasce, facendo rientrare nella prima le zone a maggior rischio sismico e degradando nella quarta le aree con la minaccia più bassa.
Ma se si guarda il testo escono fuori dei punti che meritano di essere citati. Innanzitutto l’obbligo di adeguamento antisismico è reso obbligatorio solo nelle prime tre zone di rischio, nella quarta veniva data carta bianca all’amministrazione locale se introdurre o meno l’adeguamento. Il secondo e ancor più interessante punto è quello che riguarda gli edifici esistenti. L’impianto della normativa si concentra infatti sull’antisismicità degli edifici di nuova progettazione e su quelli esistenti, dedicando ai primi molto più spazio. In particolare la sezione degli edifici in muratura esistenti sarebbe da migliorare. Lo afferma uno studio dell’ingegnere Antonio Borri presentato all’Università di Perugia negli anni immediatamente successivi alla scossa che fece crollare la scuola di San Giuliano di Puglia.
Secondo questo studio l’attenzione dedicata alla muratura già esistente sarebbe quantomeno da implementare. Una cultura del cemento armato sempre più diffusa nel Paese avrebbe portato a trascurare la muratura, la cura per essa e la possibilità di pensarne un adeguamento anti-sismico.
Lo spazio dedicato nell’ordinanza del 2003 ricalca grossomodo quello della normativa del 2008. Guardando semplicemente all’indice, a peso pagina, lo spazio dedicato al punto 7, quello della progettazione (quindi ai nuovi edifici) è di gran lunga maggiore. Senza contare che sono parecchi i rimandi del capitolo 8, riguardante le migliorie da apportare agli edifici esistenti, a quello precedente. Secondo Borri le analisi per avere uno screening dettagliato della muratura devono essere più approfondite e calate nel contesto dell’architettura del posto. La muratura esistente, continua l’ingegnere, è suscettibile di un’approssimazione maggiore nel calcolo del coefficiente di sicurezza. Questo è dovuto all’usura del tempo e di altre spinte che possono aver coinvolto negli anni la struttura, come un terremoto.
Tuttavia non è da escludere il recupero della muratura, che costituisce un patrimonio per la Penisola. I borghi medievali del centro Italia hanno bisogno di un piano di miglioramento in chiave antisismica su acciaio e cemento ma, se si parla di centri storici, la muratura va tenuta d’occhio. Va bene, inteso però: cemento armato non è uguale a sicurezza. E molti edifici ad Amatrice lo hanno dimostrato, scuola e ospedale in primis.
In altre parole: l’Italia è il paese dei muretti a secco, non dell’acciaio e del cemento. E se si vuole tutelare anche il patrimonio artistico si deve intervenire persino sulla muratura. Anche se la cosa non sembra essere particolarmente gradita alla Direzione generale Belle Arti e Paesaggio, che ha espresso il suo dissenso verso la direttiva del Mibact in materia di miglioramento delle strutture in ambito anti-sismico.