Molti parlano di Molenbeek, pochi di Castel Volturno, la più grande banlieu d’Europa. Nelle cantine e nei garage sorgono le tante moschee fai da te. Qui, probabilmente, il fondamentalismo islamico non è ancora arrivato. Eppure, in alcuni dossier dei servizi segreti, gli analisti considerano questa zona ad altissimo rischio terrorismo per il futuro: presenza massiccia di musulmani, mancanza di integrazione, ghettizzazione e sfruttamento da parte degli italiani rappresentano una miscela esplosiva. Di immigrati, infatti, Castelvolturno ne conta oltre 20mila, ed è considerato il paese delle due mafie: quella della camorra e quella nigeriana.
Eppure i media si ricordano spesso di questo paesone in provincia di Caserta perché è qui che ha sede la struttura dove si allenano i calciatori del Napoli. Prima, invece, Castel Volturno assurse alle cronache nazionali per la celebre “strage di San Gennaro”. Era la sera del 18 settembre 2008, quando il clan dei Casalesi, in due distinti raid, uccise il pregiudicato Antonio Celiento e con lui sei immigrati, vittime innocenti della sparatoria. Uno degli immigrati, Joseph Ayimbora, un cittadino ghanese che abitava a Castel Volturno da otto anni, sopravvissuto fingendosi morto, nonostante la mitragliata di colpi che lo aveva centrato alle gambe ed all’addome, riuscì ad avere il tempo di guardare in faccia chi gli aveva sparato ed altre due persone. In seguito la sua testimonianza è stata decisiva per riconoscere gli autori della strage. Joseph Ayimbora è poi anch’egli deceduto a causa di un aneurisma cerebrale nel febbraio 2012. Quell’episodio scatenò la “rivolta degli immigrati” che occuparono per giorni la strada principale, la Domiziana, con proteste infuocate.
Negli anni ’60 qui i napoletani, favoriti dal basso costo, compravano la «casa al mare». È del resto è uno dei luoghi più belli della Campania: la pineta, il mare con chilometri di spiaggia sabbiosa, il vicinissimo Lago di Patria. Un sogno diventato poi incubo tra il degrado e l’inquinamento ambientale. Nella seconda metà degli anni ’60 nacque pure il Villaggio Coppola Pinetamare. Otto torri, le villette vista mare, il centro commerciale, le strade di accesso al villaggio e tutte le vie interne; la rete fognaria ed elettrica e il depuratore, unico all’epoca, esistente sul Litorale Domiziano, realizzate sulla base di licenze rilasciate prima dell’apposizione dei vincoli paesaggistici. Poi il bradisismo a cavallo tra la fine degli anni ’70 e ’80, portò anche qui gli sloggiati del terremoto con le conseguenti speculazioni che videro gli interessi sempre più crescenti dei gruppi camorristici.
Da posto d’incanto a banlieu il passo è stato breve, con i sequestri delle case abusive poi occupate, e con la progressiva svalutazione economica delle abitazioni. “Noi non ci possiamo fare più niente qua, questa è terra loro” , dice Genny Savastano riferendosi agli immigrati in una puntata della serie Gomorra. E non ha tutti i torti.
Oggi Castel Volturno è un paese degradato. All’alba è possibile vedere nelle strade le migliaia di operai immigrati che aspettano uno dei pochi autobus che transitano in zona, l’M1, per raggiungere i cantieri. Altri attendono sui marciapiedi i camion delle ditte che affittano a cottimo l’opera di queste persone per una giornata di lavoro. Altri ancora, soprattutto in estate, vengono impiegati in nero per la raccolta dei pomodori. La comunità italiana e quella africana si incontrano solo sui luoghi di lavoro e dove sono sempre i secondi ad essere subordinati ai primi. L’integrazione qui, più che un miraggio, è un miracolo.
Tutto intorno la camorra continua i suoi traffici illeciti. Se la mafia nigeriana offre appoggio per lo smercio della droga, quella dei casalesi negli anni ha fatto affari interrando rifiuti tossici, trasformando la “Campania Felix” in “Terra dei fuochi“. Poi c’è la prostituzione ad ogni angolo, a buonissimo mercato per camionisti e avventori di ogni genere. A tutte le ore del giorno e della notte il sesso a pagamento è esposto alla vista di tutti, pure dei bambini, la maggior parte di colore, italiani. Perché qui l’immigrazione si appresta già ad essere di seconda generazione. Molenbeek non è poi così lontana.