I tir con targa e insegne straniere sono sempre più diffusi. La quota di merci entrata in Italia con autotrasporti esteri è cresciuta del 600%. Ciò vuol dire che il 47% del totale delle merci trasportate su gomma avviene su mezzi polacchi, rumeni, bulgari. Un fenomeno che sta smantellando i vecchi equilibri fondati sulla sana competizione sana e che facevano dell’autista di camion un mestiere serio e rispettato. E’ quanto emerge dai dati forniti da Antonio Macera, dello staff del sottosegretario al ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti.
Ora l’autotrasporto merci è dominato dalla concorrenza selvaggia, sleale, spesso praticata con metodi illeciti. In Italia come in tutta Europa. A sconvolgere il sistema e a manomettere il libero mercato è stato il cabotaggio abusivo, cioè la trasformazione di un’attività consentita dalle norme praticata senza il rispetto delle condizioni previste: i tre servizi come tetto massimo all’interno di un paese estero da effettuarsi nell’arco di una settimana vengono infatti puntualmente superati.
A permettere la circolazione di camion tra i paesi europei, rispettando le norme e i contratti dei paesi di provenienza è la direttiva europea 96/71 del 16 dicembre 1996, che parla del distacco dei lavoratori. La realtà quotidiana è che si aggirano sistematicamente le regole, così i vettori esteri hanno potuto praticare tariffe stracciate, improponibili da parte di un’impresa nazionale. Oltre al costo del lavoro inferiore, anche i salari sono bassissimi e soprattutto manca un’asticella riguardo gli oneri contributivi (la differenza arriva a sfiorare anche il 70-80%). A ciò va aggiunto un regime fiscale decisamente squilibrato. Si punta quindi sulla quantità di ore lavorate, bypassando le leggi sulle ore di guida e di riposo, che prevedono per esempio che non si possa guidare per più di quattro ore e mezza, con una pausa obbligatoria di 45 minuti. Negligenze che mettono in pericolo la sicurezza stradale e dei lavoratori.
Un’area grigia e illegale che si è inserita nel mondo degli autotrasporti e che porta grandi problemi sulle nostre strade e per le imprese italiane, già in ginocchio per la crisi economica.
Molte aziende si sono trasferite in paesi, soprattutto dell’Est europeo, dove è possibile applicare agli autisti condizioni di lavoro meno onerose. In pratica gli autisti vengono “affittati” nel territorio in cui si opera, ma a condizioni che rispecchiano le norme di altri paesi, il cosiddetto dumping sociale. Sono le stesse imprese italiane a delocalizzare e a beneficiare di condizioni meno restrittive, tutto a sfavore dei camionisti italiani. Se a livello sindacale lo stipendio di un trasportatore italiano è stato fissato a 3000 euro lordi, in Polonia ci si accontenta di 850 euro lordi e il confronto non regge. Basti pensare che tra il 2008 e il 2012 si sono persi 27 mila posti di lavoro nel settore degli autotrasporti made in Italy.
Cosa si fa in Europa per fermare tutto questo? Finora è mancata una politica comunitaria per combattere il fenomeno che, oltre ad inquinare il mercato, negli anni avrà pesantissime ricadute sociali. “Si produce una diminuzione del versamento di contributi – spiega Paolo Uggé, presidente di Conftrasporto – significa problemi per questa classe di lavoratori quando vorranno andare in pensione. Pensiamo che questi autisti praticamente sono affittati. Credo che il governo italiano ha il compito di intervenire in sede europea perché si tratta di una bomba sociale che si prepara a esplodere tra cinque o sei anni”.