Daspo urbano per chi deturpa i beni culturali. Il recente provvedimento del Governo su decoro urbano e sicurezza pubblica potrebbe estendersi, come auspicano gli addetti ai lavori, anche a chi esegue graffiti vandalici su reperti archeologici e nei siti culturali. Il caso di una turista francese sorpresa recentemente a incidere il suo nome con una moneta su un muro del Colosseo, apre il dibattito dei sindaci e dei direttori di musei e siti culturali per un fenomeno che è purtroppo in piena ascesa.
Non solo graffiti, ma anche la rimozione di pezzi di muri, statue e reperti rubati per portali a casa come souvenir o per venderli sul fiorente mercato della ricettazione. I beni culturali italiani sono continuamente bersaglio di atti vandalici e furti, spesso non catalogati e non più ritrovati.
Il decreto legge approvato dal Consiglio dei Ministri non specifica le precise modalità di applicazione della norma nel particolare caso di rimozione o danneggiamento di beni culturali, ma consentirebbe maggiore incisività nelle attività dei Comuni in accordo con le Prefetture per la denuncia e l’allontanamento di soggetti che compiono questi reati. In caso di problemi di sicurezza pubblica, se prima il sindaco poteva solo chiedere al comitato per l’ordine pubblico e la sicurezza di essere ascoltato su alcuni temi, oggi c’è la possibilità di un patto che viene sottoscritto direttamente tra il sindaco e il Prefetto sui temi della sicurezza della propria città. Ma il fenomeno degli atti vandalici sui beni culturali è tutt’altro che risibile.
Sono migliaia e costosi gli interventi che ogni anno occorrono per la rimozione di scritte in vernice, graffiti su beni archeologici e siti culturali, mentre è assai complicato stimare i furti finanche di pezzi di colonne e muri antichi come nel caso degli Scavi di Pompei ed Ercolano. Pochi e in alcuni casi esigui i mezzi messi a disposizione delle autorità per affrontare il problema, come non incisive le sanzioni e le multe e le condanne per tali reati. Ofcs.Report conduce i suoi lettori in lungo e largo dello Stivale per raccontare la condizione di tutela e sicurezza di beni culturali, sottolineando alcuni casi clamorosi. Dai monumenti in piazze e strade delle maggiori città d’arte fino alle chiese e ai palazzi. Sono migliaia gli atti vandalici che, non solo compromettono la conservazione, ma soprattutto ne mutano l’aspetto e la loro leggibilità. Tra cartacce, gomme da masticare, bottigliate e bombolette spray, i nostri monumenti periscono sotto i barbari colpi di orde di turisti e cittadini. Un caso a parte meritano le fontane di Roma.
Come non ricordare il caso della Barcaccia in Piazza di Spagna, scolpita da Bernini tra il 1626 e il 1629, e ridotta a una pattumiera da una bolgia di ultras olandesi. La fontana era appena stata restaurata con un investimento di circa duecentomila euro. Qualche anno prima, nel 2011, fu colpita una delle sculture della fontana del Moro a piazza Navona. L’autore dello scempio venne arrestato due giorni dopo e ricostruendo i fatti confessò di essere entrato nella fontana armato di sanpietrini e di aver picchiato sul marmo. Non contento del proprio operato raggiunse anche la fontana di Trevi mettendo in atto lo stesso piano. Nel 2004 i vandali presero di mira la Fontana delle Api, realizzata dal Bernini nel 1644 e situata nella centralissima via Veneto. La testa di una delle api venne staccata di netto, causando un danno irreparabile. Il pezzo scolpito dall’artista andò perso per sempre e venne sostituito da una copia. E ancora una volta un Bernini fu deturpato nel 2011 ad Ariccia, dove quattro giovani, poco più che maggiorenni, sradicarono il basamento della Fontana del Popolo, rischiando anche la vita a causa del crollo dell’imponente monumento. Risale invece al settembre del 2005, il triste caso della Navicella di Villa Celimontana, una delle opere più importanti del Sansovino. Alcuni vandali rapirono la prua della fontana, frantumandola in tre parti con un martello. L’inestimabile tesoro venne ritrovato pochi giorni dopo, fatto a pezzi e gettato in un sacchetto di plastica in una zona della Magliana, a sud della Capitale. Ma numerosi sono anche i furti e furtarelli, compiuti da turisti ed escursionisti. Nel marzo del 2014, un turista canadese di soli 15 anni fu sorpreso a rubare “pezzi” del Colosseo. Come fossero semplici souvenir, i frammenti del simbolo di Roma finirono nelle tasche del ragazzino, pronti a prendere il volo oltreoceano. Sempre nello stesso anno, un turista russo, nel totale spregio del valore storico e culturale del monumento, incise con un sasso una “K” sulle mura interne del Colosseo. Una bravata larga 17 centimetri e alta 25, che costò al turista l’arresto e una multa di 20.000 euro. Emblematico il caso di due turiste americane che con un selfie immortalarono le loro “incisioni”. Non solo nella Capitale: anche in altre città italiane non cambiano le modalità.
A Torino, nel maggio 2015, fu deturpato il monumento a Galileo Ferraris. Anonimi criminali decapitarono una delle fanciulle in pietra del basamento, gettandone la povera testa poco distante dal resto dell’opera, come già accaduto in precedenza con un braccio mozzato.
A Firenze dove è alto l’escursionismo turistico, non mancano esempi clamorosi. Nel 2008 fece il giro del mondo il caso di sei studenti giapponesi, accusati di aver imbrattato i muri della cupola del Duomo, lasciando persino la firma. Il monumento subì nuovi attacchi nel 2015, ad opera di studenti svizzeri, che furono fermati e multati. Nel 2014 fu la volta del Battistero di San Giovanni a Pistoia: sulle mura trecentesche, simbolo dello stile romanico toscano, comparvero orribili scarabocchi impressi con la bomboletta spray, mentre tutto intorno e sulle scalinate antistanti giacevano i cocci delle bottiglie spaccate al suolo dai vandali.
A Napoli, dove i graffiti si moltiplicano giorno dopo giorno. A piazza del Plebiscito, nel febbraio del 2015, dopo un lungo e atteso restauro, alcuni sprovveduti imbrattarono con scritte e disegni i maestosi leoni che incorniciano il colonnato. Sempre in Campania, gli sfregi compiuti all’interno del sito archeologico di Pompei sono più che vergognosi. Nel 2003 furono rubati, due affreschi della Casa dei Casti Amanti, aperta in questi giorni, creando scompiglio e sconforto tra archeologi e non addetti ai lavori. Per di più il furto fu compiuto da ladri non professionisti, che staccarono in maniera grossolana frammenti di pittura databili tra il 45 e il 79 d.C, danneggiando anche altre opere circostanti, le cui parti furono ritrovate in frantumi. I dipinti, imballati e pronti per essere trasferiti all’estero, furono recuperati in un cantiere abbandonato, non molto lontano dal sito archeologico. C’è chi firma le pareti della Domus di Marco Lucrezio Stabia e chi considera i tasselli di un mosaico pompeiano, come conchiglie da raccogliere al mare. Ma non va meglio in Sicilia e in Sardegna come per le calli di Venezia e palazzi storici. Infine un capitolo a parte meritano le gravi condizioni di abbandono e di autentico ricettacolo in cui versano molti monumenti. E’ il caso della distruzione del magnifico Velodromo dell’Eur, a Roma, o dell’abbandono dello stadio Flaminio, dei reperti di via Appia Antica come di tante altre opere e siti culturali disseminati lungo il nostro Paese che rischiano di essere irrimediabilmente persi tra incuria e abbandono.