Beni culturali, sponsor privato sì o no? La burocrazia rischia di far scappare i privati per il restauro dei nostri siti di interesse? E poi appalti effettuati nelle modalità delle gare pubbliche o accordi diversi e di più facile gestione con la pregiudiziale della pubblica amministrazione di revocare gli accordi in autotutela? Domande che si affollano su un tema scottante. Vera semplificazione con il codice degli appalti varato dal Consiglio dei Ministri, lo scorso aprile, ma ancora privo dei decreti attuativi? Le perplessità e le pesanti critiche dei magistrati della Corte dei Conti sul caso “Colosseo” con l’investimento di circa 25 milioni di euro della Tods di Diego Della Valle, riaprono la polemica e il dibattito sulle modalità di accordo tra pubblico e privati per il restauro di siti culturali. E se il Ministero nicchia (nessun commento ufficiale è stato espresso nel merito), rischiano di aprirsi diverse crepe nel dibattito politico e con gli esperti, a seguito dell’indagine svolta dai magistrati contabili sul partenariato pubblico-privato degli ultimi tre anni.
Pesano i ritardi notevoli rispetto al cronoprogramma dei lavori tra le contestazioni mosse dalla Corte dei Conti a cui il gruppo industriale ha replicato, ricordando ai magistrati il recente cambiamento della legge sul codice degli appalti. Per quanto riguarda il centro servizi, Tod’s dichiara: «C’è stato uno slittamento del programma, ma il bando per il lavoro sarà fatto entro il 2016 e l’opera completata entro due anni». «Solo il mese scorso – dice Della Valle – è stato presentato il restauro dei prospetti esterni del Colosseo, ora è partito il bando per gli ipogei», ed entro dicembre dovrebbe esserci l’aggiudicazione per i lavori che inizieranno in primavera. Ma è sulla modalità di partenariato che si soffermano i giudici contabili. Per la Corte dei Conti sarebbero troppi i vantaggi dell’operazione “Colosseo” sia per lo sponsor che per la «Istituenda associazione “Amici del Colosseo”, di diretta emanazione dello stesso».
Decisi i rilievi critici mossi al Mibact nella relazione: «Il finanziamento a carico dello sponsor non tiene conto del valore economico del contratto, trattandosi di un monumento di fama mondiale». Viene dunque contestato uno degli assi principali su cui il Governo ha investito negli ultimi mesi, dando impulso al coinvolgimento dei “mecenati” con il decreto Artbonus. I rilievi della Corte dei Conti fanno riferimento comunque ad un contratto stipulato cinque anni fa tra il Ministero e la Tod’s . Un accordo nato, in assenza di una legge quadro del partenariato (che ancora non c’è) e all’insegna dell’emergenza, perché il monumento era stato ritenuto a rischio. Forse troppi e non chiari gli interventi legislativi, che si sono succeduti negli anni, per le sponsorizzazioni che però rappresentano un significativo contributo per garantire la tutela e salvaguardia dei beni culturali italiani. Una sensibilità sempre più crescente verso i beni culturali, in relazione ai problemi afferenti alla loro conservazione, restauro, nonché alla valorizzazione, per consentirne la più ampia fruizione pubblica.
La prima disciplina organica della legislazione in materia di beni culturali, che realizza il coordinamento di tutte le disposizioni legislative preesistenti è contenuta nel Decreto legislativo 27 dicembre 1999 n. 490 (T.U. Beni Culturali). Il testo unico è rimasto in vigore fino al 2004, allorché è stato approvato il nuovo Codice dei Beni Culturali (Decreto legislativo 22 gennaio 2004 n. 42), ed è stato istituito un sistema autonomo di affidamenti di lavori nel settore con il decreto legislativo 22 gennaio 2004 n. 30, che ha disciplinato la cosiddetta“sponsorizzazione culturale”. Fu la VI sezione del Consiglio di Stato con il provvedimento 6073/2001 a chiarire sul contratto della p.a con i privati, che così sentenziò: “ Il contratto è stipulato dalla p.a. è necessario, secondo la giurisprudenza, che le iniziative siano: a) collegate al perseguimento di interessi pubblici; b) prive di motivi di conflitto di interesse tra attività pubblica e privata; c) foriere di risparmi di spesa rispetto agli stanziamenti necessari”.
Sia l’Autorità di vigilanza sugli appalti pubblici che l’Aran (Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni) hanno chiarito che il contratto di sponsorizzazione, da stipularsi quale contratto accessorio rispetto a quello di affidamento dei lavori di restauro, non dovesse essere soggetto alla disciplina dei contratti pubblici per quanto attiene alla scelta del contraente. In altre parole, l’Autorità ha ammesso la possibilità di scegliere la controparte della stazione appaltante utilizzando procedure di gara informali e semplificate che fuoriescono dal novero dei criteri di scelta incentrati sull’evidenza pubblica. Insomma la parola d’ordine sembra “semplificazione”, osteggiata però da insidie e complicazioni. Il Codice dei Beni Culturali con l’articolo 120 ha previsto la possibilità di attuare forme di gestione di beni culturali, che comportino il coinvolgimento di soggetti privati, anche nell’ottica di tutela del patrimonio culturale.
Un entusiasta ministro dei Beni Culturali, Dario Franceschini, aveva cosi dichiarato lo scorso aprile: “Il nuovo codice dei contratti pubblici approvato semplifica enormemente le procedure per le sponsorizzazioni in favore del patrimonio culturale, che ora avverranno a seguito di una nuova e trasparente procedura di segnalazione sui siti web. Si compie così un ulteriore passo verso l’incentivazione di un sostegno privato alla tutela e alla valorizzazione del nostro patrimonio, un passo che ora agevola e rende finalmente semplice l’intervento non solo di mecenati e donatori, attraverso l’Artbonus, ma anche di sponsor che ovviamente opereranno entro limiti e regole che garantiscano il rispetto e la tutela del patrimonio storico artistico della Nazione”. Fin qui le dichiarazioni del Ministro. Oltre ci sono i decreti attuativi non ancora approvati e un percorso tutto in salita.