Ogni anno lungo la filiera mondiale dell’agroindustria si perdono 1,6 miliardi di tonnellate alimentari, dalla materia prima ai prodotti trasformati. Solo in Italia lo spreco pro capite annuo si assesta sui 146 chili. Un fenomeno che si traduce in gravissimi danni economici e ambientali quantificati in 400 miliardi di dollari mandati in fumo, oltre 800 milioni di persone non sfamate e ben il 7% delle emissioni di gas serra mondiale prodotte.
Questi numeri bastano a convincerci che lo spreco alimentare non è solo un tema etico ma rappresenta un fenomeno che ha un impatto devastante sull’ambiente, l’economia e la società globale. Di questo si è parlato nella giornata di studi, “Il cibo prodotto, apprezzato, consumato, condiviso e che si butta via”, promossa dall’associazione culturale per l’informazione ambientale Greenaccord Onlus in collaborazione con Arsial (Agenzia Regionale per lo Sviluppo e l’Innovazione dell’Agricoltura del Lazio), tenutasi a Roma nell’Aula Magna Augustinianum.
I dati snocciolati durante il convegno sono impressionanti. Per restare nel Bel Paese ogni anno lo spreco alimentare domestico vale oltre 13 miliardi di euro, circa l’1% del Pil (ricerca dell’osservatorio Waste Watcher). Parliamo del 45% di frutta e verdura, del 30% del pesce e del 20% della carne.
Guardando all’Europa i numeri ci vengono forniti dal progetto Fusions che ha calcolato in 143 miliardi di euro il costo dello spreco alimentare che ogni anno oltre a 300 milioni di tonnellate di emissioni di CO2, ovvero il 6% delle emissioni annuali di gas serra.
Per il presidente di Greenaccord, Alfonso Cauteruccio, “è arrivato il momento di una seria riflessione sulla riconquista di valore, non solo economico ma anche etico e culturale del cibo. Non solo gli attori delle filiere produttive e le catene di distribuzione ma ogni famiglia, ognuno di noi, soprattutto i privilegiati residenti nel mondo ricco, è chiamato a ripensare i propri stili di consumo”.
Un tema, quello dell’avvicinamento dell’eccedenza col bisogno, affrontato anche da Antonio Rosati, amministratore unico di Arsial (Agenzia Regionale per lo Sviluppo e l’Innovazione dell’Agricoltura del Lazio), che ha lanciato una serie di iniziative della Regione Lazio mirate all’educazione alimentare, fra cui 3 borse di studio da 5 mila euro agli studenti degli istituti alberghieri, agrari e dei licei. “Distribuire il cibo a chi non ne ha è un impegno che dobbiamo prenderci nei confronti dei 4,5 milioni di poveri che vivono in Italia. Per far ciò – afferma Rosati – bisogna cambiare il modo di consumare che ogni anno ci vede disperdere oltre 5 milioni di tonnellate di cibo per un controvalore di 12,6 miliardi di euro”.
A fornire numeri e scenari mondiali sul fenomeno dello spreco alimentare è stata Marcela Villareal, direttrice divisione partenariati, attività promozionali e Sviluppo Fao, che ha ribadito la necessità di una rivoluzione culturale. “Il 44% della popolazione mondiale negli anni ‘80 viveva in estrema povertà, oggi è il 10%, nonostante questo ci sono ancora 800 milioni di persone che soffrono di fame cronica”. Per combattere queste realtà, spiega il rappresentante della Fao “serve promuovere grandi politiche sociali”. Secondo uno studio della Fao “addirittura un terzo del cibo prodotto al mondo viene perso durante il processo di produzione o sprecato durante la consumazione. Parliamo di 1,3 miliardi di tonnellate l’anno sprecate o perse che equivalgono a tutto quello che produce l’Africa in cibo”.
Come contrastare questi dati? “Serve realizzare gli impegni dell’Agenda 2030 – continua Villareal – che prevedono il dimezzamento degli sprechi e l’introduzione di sistemi di monitoraggio all’interno dei singoli Paesi”. Per Francesco Maria Ciancaleoni, area ambiente e territorio della Coldiretti, “lo spreco di cibo rientra nel più ampio tema della gestione dei rifiuti e il ruolo dell’agricoltura è fondamentale per contribuire alle riduzioni di gas serra. In Italia la maggiore responsabilità è nel consumo visto che lì si contano il 54% delle perdite”, ricorda il rappresentante della Coldiretti. “Un modello efficace di efficienza è quello di prossimità che prevede il riavvicinamento tra chi produce e chi consuma. Si tratta di un modello – sottolinea Ciancaleoni – che porta vantaggi sociali e ambientali concreti in termini di riduzione degli sprechi”.
Ma il cibo prodotto nel pianeta è insufficiente o solo maldistribuito? A rispondere a questo quesito è Andrea Sonnino, esperto di Enea dipartimento sostenibilità dei sistemi produttivi e territoriali. “La disponibilità di alimenti sarebbe sufficiente per sfamare la popolazione mondiale – spiega Sonnino – ma nella pratica purtroppo ciò non avviene perché ancora una persona ogni nove soffre la fame. Qualcosa è stato fatto – prosegue il rappresentante di Enea – visto che ci sono 72 paesi su 129 che hanno dimezzato l’insicurezza alimentare entro il 2015 ma molto ancora c’è da fare, partendo dalla riduzione dei consumi e dall’aumento della produzione a costi inferiori”.
A chiudere la sessione mattutina è stato l’intervento di Carlo Hausmann, assessore all’agricoltura della Regione Lazio, che ha rivendicato i pregi del modello Km Zero. “Non mi sento di andare controcorrente se dico che i prodotti alimentari devono costare non di meno ma di più, perché se i prezzi si abbassano i nostri agricoltori prendono ci rimettono con tutte le conseguenze del mercato che conosciamo”.
“In Italia ci sono un milione di aziende agricole ed è nostro dovere metterle nelle migliori condizioni per lavorare”, ha aggiunto l’assessore. “L’Italia è all’avanguardia per quanto riguarda il modello di agricoltura di prossimità e i nostri farmers market sono la più grande rete al mondo”, ha concluso Hausmann. Da un punto di vista normativo qualche passo avanti è stato fatto grazie alla legge contro lo spreco alimentare approvata dal Parlamento e entrata in vigore nel settembre 2016.
Tra gli obiettivi principali della nuova normativa ci sono l’incremento del recupero e della donazione delle eccedenze alimentari, con priorità della loro destinazione per assistenza agli indigenti. Allo stesso tempo si favorisce il recupero di prodotti farmaceutici. Previsti inoltre sgravi fiscali per le imprese che regaleranno cibo o medicine invece che gettarle. In particolare i Comuni possono ridurre le tasse sui rifiuti alle imprese che decidono di donare alimenti ai bisognosi. Con questa nuova normativa viene poi incentivato l’uso del ‘family bag’ per portarsi a casa gli avanzi del ristorante evitando così che il cibo cucinato finisca in pattumiera. Si favorisce infine l’opera delle associazioni che raccolgono dai negozianti i prodotti alimentari a fine giornata.
La normativa introdotta è certamente un primo passo ma se è vero, come ha ricordato Matteo Guidi, direttore di Last Minute Market, che “il 50% dello spreco alimentare è domestico”, è chiaro che bisogna concentrarci più sull’aiuto da dare al consumatore”. Per Guidi “noi sprechiamo per tre motivi: perché la filiera è complessa, il cibo è deperibile e difficile da conservare e perché non ci sono comportamenti virtuosi”.
L’importanza delle normative appena introdotte in Italia è stata sottolineata anche dal Generale Claudio Vincelli, Comandante dei Carabinieri per la Tutela della Salute, secondo il quale “è necessaria un’attenzione particolare quando si parla di cibo o di medicinali”.
Un plauso alla legge appena introdotta è arrivato anche da Marco Lucchini, direttore generale della Fondazione Banco Alimentare. “Questa legge – ha spiegato Lucchini – ha raggruppato le varie norme relative alle donazioni di cibo e l’ha fatta diventare un’isola solida e grande su cui si possono costruire grattacieli”.
Per Francesco Marsico, responsabile area nazionale di Caritas, “in assenza di una legge nazionale di contrasto alla povertà il cibo oltre ad essere un dono è anche un reddito e un mezzo di relazione solidale”.