Il veleno invisibile che ha colpito il Veneto continua a lasciare sulla sua strada polemiche, contestazioni e tanti dubbi nelle popolazioni delle aree inquinate. L’associazione Terra dei Pfas, nata per tutelare la salute dei cittadini dei territori contaminati, ha presentato lo scorso 9 febbraio un doppio esposto alla Procura generale, presso la Corte di Appello di Venezia, e al Consiglio superiore della magistratura con la richiesta di avocazione delle indagini condotte dalla procura di Vicenza. L’esposto è stato depositato dal legale dell’associazione, Giorgio Destro del Foro di Padova, per richiamare l’attenzione dell’autorità giudiziaria su un’altra istanza presentata dallo stesso avvocato lo scorso 10 gennaio ai giudici di Vicenza.
In quest’ultimo documento si chiedeva il sequestro dello stabilimento della Miteni di Trissino – considerato il centro dell’inquinamento da Pfas, anche alla luce dell’ultima relazione approvata dalla Commissione parlamentare Ecomafie – e lo “svolgimento di indagini dirette ad accertare l’eventuale responsabilità del legale rappresentante della ditta Miteni – si evidenzia nell’esposto – in merito all’ipotesi di reato di disastro ambientale nonché di omissione di atti d’ufficio da parte di alcuni dirigenti della Regione Veneto”.
Obiettivo del nuovo esposto è, dunque, quello di chiedere che le indagini vengano avocate, come previsto dall’ex articolo 412 del codice di procedura penale, dalla procura generale di Venezia, dal momento che non sarebbero arrivate risposte sufficienti da Vicenza in merito al primo documento presentato dall’associazione. Inoltre, con l’azione legale viene anche estesa la conoscenza delle istanze presentate al Csm per vigilare sul corretto andamento delle indagini.
A conferma dell’esposto sono stati allegati dei documenti scientifici a testimonianza dell’inquinamento della falda nei pressi della Miteni. La relazione stilata dalla commissione tecnica Pfas della regione Veneto e protocollata dal direttore della Sanità regionale, Domenico Mantoan, chiedeva già nel novembre 2016 agli organi istituzionali coinvolti “la tempestiva adozione di tutti i provvedimenti idonei a tutelare la salute della popolazione indirizzati a rimuovere la principale causa di contaminazione individuata”. Il documento, che riporta un aumento del 22% di alcune patologie nelle aree inquinate, è rimasto nei cassetti per mesi prima di essere stato pubblicato, generando molte polemiche anche a livello politico. Sembra infatti che il governatore del Veneto, Luca Zaia, si sia molto arrabbiato chiedendone spiegazioni ai suoi assessori, che avrebbero a loro volta scaricato le responsabilità sui dirigenti della sanità regionale.
A questo si aggiunge la perizia svolta per conto della Terra dei Pfas dalla consulente ambientale, Marina Lecis, che documenta “un grave pregiudizio sull’incolumità pubblica”. Per questo motivo viene chiesto dall’associazione l’applicazione del principio di precauzione, previsto dalla normativa europea, per tutelare la salute umana e dell’ambiente, attraverso il sequestro penale e preventivo della catena Pfas di Trissino.
“Il focal point, ovvero la sorgente dell’inquinamento, è la Miteni – spiega la dottoressa Lecis – come hanno documentato gli studi dell’Arpav nel 2013 e del Cnr del 2011. Sotto la fabbrica ci sono 245 milioni di nano grammi al litro di Pfas: siamo di fronte a un disastro ambientale su scala europea”. Marina Lecis si è occupata della prima perizia sui Pfas già nel 2015 per conto di un’altra organizzazione e chiarisce come i dati sulla contaminazione fossero già a conoscenza da tempo. “Quello che arriva adesso è quanto prodotto dalla Miteni negli anni con i Pfas a catena lunga, ma mi chiedo cosa potrà succedere quando fra 5 anni, un tempo logico, si concentreranno quelli a catena corta e i filtri a carbone non li tratterranno”.
Un rischio ambientale che adesso sembra coinvolgere non solo le aree della provincia di Padova, Vicenza e Verona (bacino potenziale di oltre 250.000 persone coinvolte) ma anche altre zone comprese nel nord Italia, come denunciato dalla stessa Commissione parlamentare Ecomafie nella sua relazione. “In alcuni comuni del Polesine, vicino Rovigo, abbiamo riscontrato nelle nostre analisi Pfas a catena corta presenti nella falda acquifera – continua Lecis – le concerie fanno uso anche loro di queste sostanze, ma in bassissimi quantitativi rispetto a chi le produce”.
I Pfas ,se si accumulano nell’organismo umano – come ormai riconosciuto dalla comunità scientifica – agiscono da interferenti endocrini-ormonali e possono provocare patologie come l’ipercolesterolemia, colite ulcerosa, patologie tiroidee e tumori al rene e ai testicoli. Sono sostanze che potrebbero essere trasmesse anche dalla madre in gravidanza al feto – come riconosciuto nella stessa relazione di Mantoan – in caso di alta concentrazione presente nel sangue delle donne.
Il bio-monitoraggio sarebbe già dovuto partire nel 2014, ma al momento non sono ancora stati divulgati i dati sullo stato di salute delle persone coinvolte dall’inquinamento. Nel campione scelto dalla Regione sono stati inclusi solo soggetti in un’età compresa dai 13 ai 60 anni. “Hanno escluso le classi più significative, come le donne in gravidanza, gli anziani e i bambini. Se consideriamo che i Pfas sono interferenti ormonali e quindi posso condizionare il periodo dello sviluppo, sembra che sia stata scelta solo la fascia intermedia della popolazione perché meno rischiosa sulla carta”, conclude il consulente ambientale, Marina Lecis.