Non ci sono le autorizzazioni necessarie: l’impianto gpl non può essere ampliato. E’ un vero e proprio colpo di scena quello avvenuto nei meandri della burocrazia che governa le sorti di un progetto tanto discusso. Del resto non poteva passare inosservato ancora per troppo tempo: si parla di un impianto di stoccaggio gpl da 9000 metri cubi di gas che sorge a sud di Venezia, a Chioggia. Tre grandi cisterne posizionate nel bel mezzo della laguna veneta, considerata patrimonio dell’Unesco.
Uno sfregio urbanistico-ambientale, come aveva già rivelato Ofcs.report il 15 marzo scorso, contro il quale i cittadini, insieme al comitato No deposito Gpl Chioggia, stanno combattendo per portare avanti la loro battaglia legale.
L’impianto, infatti, era stato presentato inizialmente come bunkeraggio di gasolio marino da 1350 metri cubi e previsto come da regolamento nel Piano Regolatore del porto per il fabbisogno di carburante di navi, pescherecci e barche da di porto.
Successivamente si è ottenuta un’istanza con la quale si autorizzava l’ampliamento per 9.000 metri cubi di Gpl, per il riscaldamento e il fabbisogno energetico del Nord Italia. Aumentando di 9 volte le dimensioni, rispetto il progetto iniziale, e cambiando anche il prodotto che da gasolio (liquido) è diventato Gpl (gas), per un investimento effettivo di 20 milioni di euro.
Presunte irregolarità che stanno venendo alla luce, specialmente dopo l’esposto contro l’impianto di stoccaggio gas presentato dal Comune alla sovrintendenza di Venezia e al comando dei carabinieri della tutela del patrimonio culturale. Come afferma lo stesso presidente del comitato ‘No deposito Gpl’, Roberto Rossi: “Abbiamo scoperto che la legge che in qualche modo permetteva di far sì che qualsiasi tipo di variante fosse implicita, in realtà è entrata in vigore solo il 1 gennaio del 2015. La Sogocas, la ditta che ha presentato istanza per l’ampliamento di 9000 metri cubi di Gpl, avrebbe dovuto richiedere quindi regolare licenza al Comune. Ma di fatto, come sembra anche dal parere degli uffici regionali e comunali, questo titolo edilizio manca”, prosegue il presidente del comitato.
“Per questo l’amministrazione comunale ha presentato quesito al Mise (Ministero dello Sviluppo Economico). E, nonostante si attenda una risposta certa, ripeto, sembrerebbero esserci tutti gli estremi per dichiarare e configurare l’impianto come abuso edilizio. Non solo – prosegue Rossi – a sostegno di questo, a inizio marzo è stata presentata un’interrogazione alla Camera da parte del deputato M5S, Villa. E a fine marzo è arrivata la risposta a questa interrogazione, da parte del viceministro del Mise, Teresa Bellanova, che dichiarava sostanzialmente che la precedente autorizzazione ministeriale non provoca implicitamente la variante urbanistica. Quindi – spiega – rimangono regolari le condizioni iniziali approvate, che fanno riferimento al piano regolatore del porto. Un piano che specifica come l’area può essere destinata solo a bunkeraggio, ovvero rende possibile solo l’iniziale progetto di 1.350 metri cubi di gasolio marino. Detta interrogazione è stata seguita nel dettaglio anche dal dottor Carlo Giacomini, consulente del comitato ‘No Gpl’”.
“In attesa di avere conferma di questa mancanza di licenza edilizia – riprende Rossi – abbiamo un incontro giovedì con l’amministrazione comunale. In relazione a questo potremo poi muoverci legalmente per chiedere il blocco definitivo del cantiere. Ovviamente insieme al Comune, che dopo le dovute verifiche ha di fatto l’autorevolezza per intervenire”.
La battaglia del comitato ‘No Gpl’ Chioggia, e di tutti i cittadini, prosegue in attesa che la magistratura faccia il suo corso. Prosegue, ma senza la ‘benedizione’ del vescovo di Chioggia che, come riferisce Roberto Rossi, “anziché schierarsi con i suoi fedeli ha addirittura intimato, attraverso una circolare, gli altri uffici ecclesiastici con indicazioni precise di non darci spazi per eventuali riunioni”.
“Un paradosso – prosegue Rossi – se si pensa che la nostra associazione si era costituita proprio all’interno di uno dei locali della Caritas. Di questo, io e gli altri sostenitori del comitato siamo rimasti a dir poco rammaricati. Il nostro manifestare infatti non è rivoluzionario, né una lotta verso la controparte, la Sogocas in questo caso. Non siamo contro l’impianto a priori. Anzi, se fosse a norma sarebbe stato accolto volentieri, come nuova risorsa lavorativa. Chiediamo solo che la giustizia faccia il suo corso per il bene di tutta la cittadinanza nei tempi e modi previsti dalla legge”.