La sfida ai cambiamenti climatici si può vincere convincendo i governi e la finanza mondiale ad attivare politiche sostenibili che facciano del rispetto dell’ambiente una sorta di certificazione di qualità per il comparto industriale. È questo il messaggio lanciato nel corso di un un incontro che si è tenuto il 6 febbraio a Roma nella sede di Bankitalia, durante il quale sono stati illustrati i risultati di un importante rapporto intitolato “Dialogo italiano sulla Finanza Sostenibile”.
Dalla crisi economica del 2007 all’enciclica “Laudato sì” di Papa Francesco, fino allo storico accordo raggiunto a dicembre 2015 a Parigi, in cui 196 paesi avevano deciso di mantenere il riscaldamento entro i 2 gradi dai livelli pre-industriali, se possibile entro 1,5 gradi: il tema ambientale e la conseguente sensibilità del mondo della finanza allo sviluppo sostenibile hanno fatto importanti passi in avanti anche se, come scrive il Papa nell’enciclica ambientale “l’umanità è chiamata a prendere coscienza della necessità di cambiamenti di stili di vita, di produzione e di consumo, per combattere questo riscaldamento o, almeno, le cause umane che lo producono o lo accentuano”.
Come ha spiegato nel suo intervento introduttivo il vice direttore della Banca d’Italia, Luigi Federico Signorini, “le questioni ambientali e il cambiamento climatico in particolare sono tra le sfide maggiori che abbiamo di fronte”. Secondo Signorini il 2015 a livello globale “è stato l’anno più caldo dal 1880: dal 1986 si sono verificate diverse anomalie nella temperatura mondiale e gli anni successivi al 2000 sono stati i più caldi. L’Italia – ha sottolineato l’esponente della Banca d’Italia – non ha fatto eccezione e il cambiamento climatico può esacerbare la naturale fragilità del nostro paese”.
Quello dei cambiamenti climatici è un tema che “i mercati probabilmente stanno sottovalutando”, ha detto Signorini, spiegando come uno degli errori più gravi da non commettere è ritenere che gli effetti dei rischi legati al clima si materializzeranno soltanto nel lungo termine. Per il vicedirettore di Banca d’Italia “la crisi finanziaria del 2007 ci ricorda i costi sociali ed economici del sottovalutare e sotto prezzare il rischio. Le autorità di vigilanza finanziaria devono prendersi cura di questi problemi, perché gli effetti degli eventi naturali collegati al clima hanno conseguenze di vasta portata per l’economia”.
Un esempio di questa sottovalutazione può essere rappresentato dal rischio idrogeologico. In Italia, secondo un dossier della Banca d’Italia, è stata rilevata, tra il 2009 e il 2011, una media di 82 eventi ogni anno, con più di 2,3 milioni di persone coinvolte e un danno economico stimato in circa 2,7 miliardi di euro l’anno. “Secondo i dati più recenti – ha spiegato Signorini – il 15,2% della popolazione e il 18,3% delle imprese locali sono esposti al rischio di inondazioni; 3,2% e 3,4%, rispettivamente, si trovano in zone classificate come ‘a rischio molto alto’. Questi eventi possono avere un impatto sull’economia in vari modi, con la distruzione di capitale fisico, e costringendo le famiglie, le imprese e le amministrazioni locali e centrali ad utilizzare risorse finanziarie per ricostruire. Un calcolo – ha sottolineato – ha fissato i costi delle inondazioni nel 2015 a 3,1 miliardi di euro”. Anche per questo, quindi “le questioni ambientali e il cambiamento climatico in particolare sono tra le sfide maggiori che abbiamo di fronte”, ha concluso il vice direttore della Banca d’Italia.
La crescita sostenibile e la crescita inclusiva saranno tra i temi al centro del G7 italiano, ha assicurato il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, “Muoversi verso lo sviluppo sostenibile è una riforma strutturale – ha detto il ministro – e per riforma strutturale intendo qualcosa che è in grado di cambiare i comportamenti, dei mercati e degli stakeholder, e quindi produce risultati. Solo cambiando i comportamenti si ottengono risultati sfidanti”. I cambiamenti dei comportamenti, ha proseguito, si ottengono cambiando gli incentivi, regolatori e fiscali, “ed è qui che interviene lo Stato”.
Sulla stessa lunghezza d’onda il ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti secondo cui “lo sviluppo ambientale è lo sviluppo industriale del Paese. L’ambiente va visto come motore della quarta rivoluzione industriale, non come vincolo”.
“Da questo rapporto – ha evidenziato il ministro – viene fuori l’anomalia di questo Paese, di cui tenere conto. Noi abbiamo una struttura imprenditoriale diversa dalle altre, abbiamo il 95% di Pmi” e proprio per questo serve “uno sforzo per trovare meccanismi che integrino le tradizionali forme di finanziamento bancario per le piccole e medie aziende attive nel green economy con altri strumenti finanziari più sofisticati che permettano un approccio di più lungo periodo”.
@PiccininDaniele