E’ sparso sui nostri campi, nelle coltivazioni di tutto il mondo, pervade le nostre acque. Ormai da decenni è l’erbicida più utilizzato su tutto il pianeta. Ma che cos’è il glifosato e quanto è dannoso per l’uomo?
Con leggero ritardo rispetto alle compagnie ambientaliste e di salute, anche l’Unione Europea ha cominciato a porsi questa domanda. Nel marzo 2015, l’Iarc, branca dell’Organizzazione mondiale della salute, ha inserito il glifosato nella categoria degli agenti probabili cancerogeni per l’uomo, dopo un’analisi lunga tre anni. La sostanza compare nella lista 2A, già famosa per la presenza delle carni rosse lavorate. Da anni esiste un dibattito intorno all’utilizzo di questa sostanza, accusata di provocare malattie del sistema endocrino, e avere legami con autismo, celiachia, depressione e ansia. La notizia viene poi smentita, qualche mese dopo, dal comitato di esperti sui residui di pesticidi nei cibi e nell’ambiente di Fao e Oms, dubbiosi sui possibili effetti cancerogeni dell’erbicida.
Una posizione, anche scientifica incerta che ha portato, dopo mesi di dibattito, l’Unione Europea, attraverso le parole del commissario per la salute e sicurezza alimentare Vytenis Andriukaitas, a confermare l’estensione dell’autorizzazione all’utilizzo del glifosato fino al 31 dicembre 2017.
La Monsanto fattura ogni anno 14,5 miliardi di dollari con il glisofato
Creato in laboratorio da John Franz, chimico della Monsanto, il glifosato è una sostanza chimica non selettiva, che uccide cioè, indiscriminatamente, qualsiasi pianta. Fin dal 1974 è utilizzato sia in agricoltura che negli ambienti cittadini, come diserbante per marciapiedi, strade e ferrovie.
E’ il 2001 quando il glifosato diventa di libera produzione. Scade infatti il brevetto depositato dalla Monsanto. La multinazionale di biotecnologie agrarie, leader nella produzione di sementi tradizionali e geneticamente modificate, fattura ogni anno 14,5 miliardi di dollari. Affari che sono decollati con la produzione, da parte di Monsanto stessa, di piante resistenti al glifosato. Basta quindi irrorare il campo con il pesticida, per liberarsi di quelle non gradite. Affari che fanno così gola da renderla preda ambita della Bayer, che ha già intavolato una trattativa per l’acquisizione, con un’offerta che supera i 60 miliardi di dollari.
Ma ai successi economici dell’azienda chimica statunitense, fondata nel 1901 da John Francis Queeney, si è sempre contrapposta una storia piuttosto turbolenta.
Già nel 1985, l’Agenzia statunitense per la protezione dell’ambiente, qualifica il glifosato come possibile cancerogeno umano. Decisivi i test sui ratti e le prove scientifiche che collegavano l’uso dell’erbicida con l’insorgere del linfoma non-Hodgkin. Esperimenti che si ripetono poi nel 2012, quando un articolo sulla rivista scientifica Food and Chemical Toxicology, sembra confermare le teorie precedenti. Ma, la validità dei risultati raggiunti dal team del professor Gilles-Eric Séralini, viene contestata aspramente, anche per il trattamento delle cavie, e la rivista sceglie di eliminare la pubblicazione, così come il dibattito.
Nel 2004 l’azienda è coinvolta nella causa contro i produttori dell’Agente Arancio, un defoliante al glifosato utilizzato dall’esercito americano durante la guerra in Vietnam, e tossico per l’uomo, che ha avuto e ha ancora oggi effetti devastanti sulle popolazioni locali.
Nel mondo 179 milioni di ettari sono occupati da coltivazioni Ogm. Cifra scesa per la prima volta dopo la moltiplicazione esponenziale degli ultimi 20 anni
In Argentina si combatte oggi la battaglia più dura contro la compagnia. Due anni fa, un reportage del fotografo Pablo Ernesto Piovano, ha mostrato quali siano gli effetti dell’uso del glifosato. Nessuna analisi da laboratorio, nessuna prova scientifica. Solo le immagini e i volti delle persone che vivono o lavorano intorno alle coltivazioni di soia, in cui si fa un uso spropositato del diserbante come agente ogm. Parametri e numeri rendono però ciechi di fronte a queste realtà. Così il governo argentino approvò l’uso del pesticida ad occhi chiusi, affidandosi alle sole relazioni della Monsanto, e innescando una vera e propria catastrofe. Le coltivazioni ogm, principalmente di soia, coprono oggi più del 60% del territorio argentino, come accade in Brasile e negli Stati Uniti. Nel mondo 179 milioni di ettari sono occupati da coltivazioni ogm. Una cifra che è scesa per la prima volta dopo la moltiplicazione esponenziale degli ultimi 20 anni. Almeno nei Paesi industrializzati, che sembrano aver assunto una consapevolezza, anche se tardiva, dei danni provocati da queste coltivazioni.
Eppure il dibattito su questi agenti rimane senza fine, come dimostra la mancata presa di posizione dell’Unione Europea di limitare e vietare l’uso di Roundup (nome commerciale del glifosato). Le istituzioni scientifiche non sembrano voler minare una politica collaudata e redditizia. Se da una parte scatta l’allarme, dall’altra l’assenza di prove che determinano con certezza il collegamento tra l’uso del glifosato e l’insorgere dei tumori, ferma qualsiasi manovra.
La palla passa quindi alle istituzioni politiche. Ma anche qui i limiti del dibattito sono evidenti. Il prolungamento della licenza, ad esempio, è solo un effetto giuridico derivato dall’incapacità degli Stati membri di prendere una decisione in seguito all’analisi di un dossier sull’erbicida. La votazione, attesa nel mese di giugno, è stata più volte rinviata, e gli Stati dell’Unione si sono dimostrati incapaci di prendere una posizione, favorevole o contraria, in merito al dossier depositato. A nulla è servito quindi limitare il tempo di validità della concessione e permettere agli Stati membri di adottare restrizioni nella commercializzazione di prodotti a base di glifosato. Maggiore libertà equivale a maggiore consapevolezza e forse nessuno è pronto per ribaltare il sistema di coltivazione.