Guardare oltre la COP21 di Parigi dell’anno scorso, per tenere alta l’attenzione dell’opinione pubblica sul tema dei cambiamenti climatici e spingere i Paesi a dotarsi di regole più che di impegni volontari per la tutela della salute del pianeta. È il messaggio lanciato dal 13° Forum internazionale dell’informazione per la salvaguardia della natura, organizzato da Greenaccord in collaborazione con i ministeri Affari Esteri e Ambiente in corso a Frosinone.
“Per noi l’accordo COP21 è come bella casa a cui mancano ancora arredamenti e infissi”, ha spiegato Alfonso Cauteruccio, presidente di Greenaccord nel suo intervento che ha aperto i lavori. “Non bisogna essere pessimisti perché con la ratifica di quell’accordo lo scorso 21 aprile a New York si è cominciata a costruire un edificio che prima di allora non c’era mai stato. Ora però serve lo sforzo più grande, ovvero coinvolgere tutti gli attori protagonisti, migliorare quei punti deboli come i tempi troppo lunghi per l’entrata in vigore delle norme e soprattutto maggiore chiarezza sul tema dei controlli”. La carbonizzazione del sistema economico, ha aggiunto Cauteruccio “urge di una governance globale. Per questo motivo il Forum Greenaccord 2016 ha come obiettivo quello di rendere tutti noi Sentinelle del clima”.
A ricordare gli impegni assunti anche dalla Fao in tema di politiche ambientali è stato René Castro Salazar, direttore generale aggiunto della FAO. “Quella che stiamo affrontando è una sfida nei confronti della vita umana visto che entro il 2100 avremo bisogno di smaltire 30 Gigatonnellate di CO2, l’equivalente di una tonnellata per abitante”. Purtroppo, ha sottolineato Castro, “non bastano i 100 miliardi previsti per il Green Climate Fund istituito dall’Onu per finanziare tutte le attività di adattamento e mitigazione necessarie a raggiungere l’obiettivo di mantenere sotto i 2°C l’innalzamento della temperatura”, considerando anche che allo stato attuale sono stati stanziati solo 10 miliardi di dollari. Per evitare il ripetersi degli errori del protocollo di Kyoto, ha concluso Castro, “la Fao si farà portavoce delle istanze degli oltre 800 milioni di piccoli agricoltori che debbono essere inclusi in queste nuove forme di agricoltura”.
A mettere in luce i punti critici dell’accordo di Parigi è stato anche Riccardo Valentini, CMCC (Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici). “L’accordo va troppo lentamente, anche se è stato utile aver incluso tutti i Paesi”, ha detto Valentini. “Fino al 2020 l’accordo è ancora in fase negoziabile ed è dimostrato che gli impegni volontari portano il riscaldamento globale alla soglia dei 3 gradi, ben al di sopra dei 2 che rappresentano l’ambizione minima di Parigi”. Altro aspetto da sottolineare, ha aggiunto il rappresentante del CMCC “è che molto della crescita delle emissioni è proprio nei Paesi in via di sviluppo che vanno messi nelle condizioni di utilizzare tecnologie che risolvano il problema delle emissioni. Il tema della responsabilità differenziata è importante perché mette tutti d’accordo anche se con target imposti dal basso, ovvero dai singoli Stati”.
Nessuna iniziativa politica potrà avere successo se non sarà supportata da una rivoluzione culturale che ponga il tema del rispetto dell’ambiente al centro del dibattito e che sappia cogliere il contributo importante che può arrivare dalle religioni. “La fede religiosa può e deve essere il motore dello sviluppo sostenibile”, ha ricordato Martin Palmer, direttore generale Arc, Alliance of Religions and Conservation di Londra.
Le religioni detengono “il 20% dei terreni agricoli e oltre il 15% del Pianeta è considerato sacro”, ha ricordato Palmer. Numeri imponenti che il movimento ambientalista “ha gravemente ignorato e ridicolizzato”, privilegiando nell’analisi “il presupposto miope del capitalismo”. Il direttore di Arc ha sottolineato l’importanza, quando si parla di ambiente, “di partire dalla ricerca e dalla valorizzazione della diversità, per superare l’idea che esista una soluzione univoca, un unico modello che ci aiuterà a trovare risposte ai cambiamenti climatici”.
Anche il concetto di “cambiamento” va ribaltato secondo Palmer, privilegiando “il recupero di tradizioni e comportamenti religiosi che possono portare grandi risultati anche se ci vuole molto tempo”. Ma il limite più grande degli ambientalisti è per il teologo l’incapacità di raccontare una storia in cui “chi ascolta può trasformarsi in uno strumento di cambiamento”. Il vero problema quindi “non è il cambiamento climatico ma è il comportamento umano, che ha perso il linguaggio positivo. Basta leggere gli obiettivi di COP21: ciò che manca di più è proprio la componente emotiva”, ha concluso Palmer.
Critiche agli sforzi legati al tema della sostenibilità realizzati finora sono arrivati da Michael Renner, Senior Researcher al Worldwatch Institute, che nella sua relazione ha evidenziato come “molti indicatori di inquinamento e consumo di risorse continuano a crescere in modo preoccupante nonostante gli ultimi anni di crisi economica. Qualche esempio: l’impatto della pesca ha raggiunto livelli insostenibili tanto che appena il 10% delle zone ittiche ha pesce sufficiente; la concentrazione di rifiuti plastici in mare sta aumentando tanto che entro il 2050 ci sarà più plastica che pesci in acqua; il livello di estrazione di minerali non si è mai arrestata e così pure la produzione energetica. Questi – ha aggiunto Renner – sono tutti fenomeni che provocano una destabilizzazione del clima e mostrano come nessun traguardo ambizioso sia stato ancora raggiunto. Le politiche attuali stanno solo facendo diminuire la crescita delle emissioni nocive ma non stiamo invertendo la rotta”.