Gli alberi salveranno il mondo dalle emissioni di anidride carbonica? In parte lo stanno già facendo grazie al rimboschimento coatto, ma spesso a scapito della biodiversità. Uno studio internazionale da poco pubblicato e coordinato da Sabina Burrascano, docente di Geobotanica e Dinamica della vegetazione dell’Università La Sapienza, ha riscontrato le mancanze e le contraddizioni delle politiche europee in questo settore.
La problematica principale risiede proprio nel coniugare il processo del rimboschimento col mantenimento della biodiversità del territorio dove sono stati impiantati gli alberi. “La superficie forestale sta già aumentando in maniera naturale in Europa. Questo tipo di foreste produce un minore impatto sulla biodiversità rispetto agli arbusti che vengono impiantati artificialmente”, spiega Sabina Burrascano. Quali sono le soluzioni? “In parte evitare di impiantare alberi e allo stesso tempo condurre studi a livello locale su quali praterie impattano di più o di meno sull’ecosistema – continua la studiosa – ormai i dati ci sono sia per i tipi di praterie rilevanti per la biodiversità che per le specie arboree che ne garantiscono l’integrità”.
Foreste e praterie insieme ricoprono il 50% della superficie dell’area Ue, ospitando la maggior parte della biodiversità presente all’interno dell’Unione. Secondo la direttiva europea in materia di habitat (92/443/EEC), il 17% delle foreste e il 14% delle praterie sono designate come habitat naturali di interesse comunitario. Un terzo di questi ambienti presenta specie protette. Quello che emerge dallo studio è che le politiche europee di imboschimento hanno provocato danni alla vegetazione boschiva e danneggiato il suolo, attraverso il suo utilizzo intensivo, per via delle operazioni di afforestazione.
D’altra parte negli ultimi 15 anni, con l’impiantare massicciamente alberi, si sono raggiunti buoni risultati nel contrastare le emissioni di CO2. Secondo il report, le politiche adottate da Bruxelles dal 1990 al 2015 hanno portato 12,9 milioni di ettari di foreste in più nei territori abbandonati dall’agricoltura. A cui però non corrisponde un significativo investimento sulle praterie, dove si contano 69 milioni di ettari con un numero maggiore di specie protette (64 contro le 36 delle foreste) e una capacità di cattura e di stoccaggio del carbonio non molto inferiore a quella delle foreste.
“Si dà maggiore importanza al cambiamento climatico, tema rilevantissimo, ma non alla biodiversità – afferma la docente – tuttavia questi rimboschimenti sono stati messi in discussione anche per quanto riguarda lo stoccaggio del carbonio. Non è detto che a lungo termine sia una strategia rilevante”.
L‘importanza del suolo. Un’altra componente dell’ecosistema che stocca una quantità maggiore di carbonio rispetto alla biomassa degli alberi, ma essendo più difficile da misurare spesso non viene tenuta in considerazione. “Ci sono dei compartimenti trascurati come quelli verso il suolo, dove c’è maggiore difficoltà nel reperire i dati”, conclude Sabina Burrascano. Sulle foreste i dati sono raccolti grazie anche alla produttività del settore, quindi alle raccolte della legna, per il suolo invece è più difficile misurare gli effetti prodotti anche perché alle spalle non vi è lo stesso tipo di interesse economico.