Amianto impazzito. L’emergenza sanitaria e ambientale non esiste, ma è una realtà che si perpetra negli anni. In Italia non ci sono ancora impianti per il trattamento parziale o totale dei rifiuti da amianto, che finiscono all’estero: tutti in Germania. I siti contaminati sono 53.000 e solo 22 le discariche presenti sul territorio nazionale, di cui tre adibite ad accogliere rifiuti pericolosi: due in Piemonte e una in Toscana. Il 93% dei rifiuti deriva dal settore delle costruzioni (tubature in primo luogo), il 7% riguarda gli isolanti, i più pericolosi per la salute.
Un quadro preoccupante quello emerso durante l’incontro “Smaltimento dell’amianto, stato dell’arte e nuove tecnologie”, organizzato dai parlamentari del M5S presso la Camera dei Deputati con interventi di tecnici e politici. Solo quest’anno 700 milioni di euro sono stati destinati alla cure dei malati da mesotelioma pleurico e altre patologie che colpiscono chi ha respirato e vissuto per anni le fibre dell’amianto. Bonifiche, trasporti, smaltimento hanno un costo per lo Stato di 300 milioni di euro. Risorse che potrebbero essere investite, secondo gli organizzatori, per l’ampliamento delle discariche a norma e nelle nuove tecniche di smaltimento dell’asbesto, altro nome per chiamare il materiale.
Ritardi. Campania, Lazio, Sicilia e Veneto non hanno discariche per il conferimento dell’amianto. “In più nella regione del Nord-Est abbiamo trovato dei casellari falsi – denuncia il deputato M5S Alberto Zolezzi, membro commissione parlamentare d’inchiesta Ambiente – per cui i trasporti dovevano arrivare secondo libretto in Germania e invece si fermavano all’interno della regione”.
Nel 2014 i rifiuti contenenti asbesto – fonte Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) – ammontavano a circa 340 mila tonnellate, in calo del 18% rispetto all’anno precedente. Al Nord oltre il 70%: Lombardia, Veneto, Piemonte seguiti dalla Toscana. Di questi oltre l’80% finisce in discarica, mentre solo l’11% subisce un trattamento chimico. I rifiuti inoltre vanno a finire in Germania contribuendo ad un business tutto a favore delle stato tedesco, pagato per smaltire gli scarti pericolosi.
Dati che arrivano agli organi competenti a macchia di leopardo, come spiegato dalla dirigente del ministero dell’Ambiente, Laura D’Aprile: “Nel 2013 la situazione era confusa e abbiamo dovuto verificare tutte le coordinate fornite dalle regioni. Per gli anni successivi è mancata la Calabria. Oggi abbiamo una buona copertura ma in Puglia ad esempio non è stato terminato il procedimento mentre in Piemonte c’è una mappatura precisa e dettagliata”. Il problema risiede nei diversi metodi di rilevamento da regione a regione, provocando una disomogeneità nel conferimento dei dati. La dirigente del Ministero ha aggiornato anche sui fondi previsti per il triennio 2016-2018: 17 milioni di euro in tre anni, a partire dai 5 previsti per il 2016. La priorità per le bonifiche rimangono le strutture pubbliche come ospedali e scuole, 2.400 quelle che presentano amianto non solo nei tetti ma anche alle pareti e nei pavimenti.
In materia di tutela contro l’amianto esiste in Italia un quadro normativo piuttosto complesso che ha preso il via con la legge 257 del 1992 che ne vieta la lavorazione, produzione e la vendita. Da allora un ginepraio di norme sul trattamento dell’amianto, tra regionali e nazionali sono 400, che non hanno portato alla soluzione del problema. “Serve un fondo dedicato allo smaltimento, con risorse mirate e dedicate, inserendo tra gli sgravi degli ecobonus anche la bonifica degli edifici con amianto e sappiamo che su questo c’è stata un’apertura del governo”, ha detto il vicepresidente della Camera, Luigi Di Maio.
“Ma da noi non si risolverà con le bonifiche perché le polveri sono andate disperse dappertutto, anche nella case”, le parole sono di Titti Palazzetti, sindaco di Casale Monferrato, comune che da anni piange le vittime dell’amianto. La città è stata sede dagli inizi del ‘900 del più grande stabilimento di Eternit d’Italia con i suoi 94.000 metri quadrati di superficie. Nel 1986 la società dichiarò l’auto-fallimento dopo anni di crisi della produzione. Solo quest’anno sono stati 100 i morti per amianto e 89 l’anno scorso. “Una ragazza di 29 anni è morta pochi giorni fa – spiega il sindaco Palazzetti – ci aspettiamo un picco di decessi nel 2020”. Le fibre di amianto sono state e continuano ad essere inalate dai cittadini di Casale anche a causa del cosiddetto “Polverino”: amianto in matrice friabile che veniva regalato dalla società ai dipendenti e che è stato utilizzato nella costruzione di alcuni cortili e sottotetti della cittadina.
Sui metodi di smaltimento della materia prima sembrano, però, aprirsi prospettive interessanti. Oltre alla tecnica più nota della torcia al plasma per il trattamento dei rifiuti particolari e problematici, sono emerse al dibattito nuove proposte. Il professor Norberto Roveri ha presentato il suo metodo di inertizzazione chimica dell’amianto con il siero del latte, per il quale è stato aperto un procedimento di valutazione di impatto ambientale. Una tecnologia innovativa che permetterebbe di separare le fibre di amianto dal magnesio fino a isolare del tutto l’elemento chimico non nocivo e quindi riutilizzabile. Il tutto grazie ad una sostanza naturale.