Scuole chiuse per tre giorni, bambini imprigionati in casa e mascherine obbligate. A Nuova Delhi l’aria è irrespirabile. Non per modo di dire, ma perché la città si è risvegliata dieci giorni fa sotto una spessa coltre di smog, rilevata anche dalla Nasa. Non certo una novità per gli abitanti della città più inquinata del mondo. La megalopoli indiana è il simbolo dell’economia dei Paesi in via di sviluppo.
Centrali a carbone in funzione continua, boom del numero di automobili alimentate a diesel, fuochi incontrollati utilizzati per pulire i campi agricoli. Il risultato è l’aria peggiore degli ultimi 17 anni. I livelli delle polveri sottili superano di 90 volte i valori consigliati dall’Oms e di 16 volte i limiti imposti dal governo indiano. Un ostacolo tangibile allo svolgimento della normale vita quotidiana, ma anche un grosso pericolo per la salute. Secondo l’Oms, ogni anno 3 milioni di persone muoiono per l’inquinamento dell’aria. Più della metà si trovano in Cina (1 mln) e India (600.000). L’economia crescente di questi Paesi ha portato ad un utilizzo incontrollato di combustibili fossili, con conseguenze tragiche per l’ambiente. La regolamentazione dei consumi di carbone è uno dei punti delicati dell’accordo sul clima di Parigi, entrato in vigore proprio il 5 novembre, giorno in cui a Nuova Delhi si annunciava la chiusura degli edifici scolastici per i picchi di inquinamento. Obiettivo universale: diminuire le emissioni per mantenere l’aumento della temperatura media del pianeta sotto i 2 gradi rispetto all’era pre-industriale.
Cruciale in questi termini, all’interno della COP21, la posizione di Cina e India, a lungo al centro di un dibattito con i Paesi industrializzati, e ora firmatarie del trattato. L’accordo, siglato nel dicembre 2015 da 180 Paesi, è entrato in vigore dopo il raggiungimento della soglia di 55 ratifiche dei Paesi firmatari. Pochi giorni dopo, il cielo invisibile di Nuova Delhi, ci dice che la battaglia tra sviluppo industriale e rispetto dell’ambiente è lunga e difficile. L’evidenza storica dice che lo sviluppo di India e Cina coinvolge un numero di persone tre o quattro volte quello di Europa e Stati Uniti a metà del ‘900. Per non ripetere l’errore e mettere lo sviluppo davanti all’ambiente, i Paesi industrializzati hanno firmato l’impegno di andare incontro, anche economicamente, alle esigenze dei nuovi arrivati. Finanziamenti e tecnologie avanzate vengono messe a disposizione di chi si impegna a diminuire drasticamente l’utilizzo di carbone e combustibili fossili per alimentare la propria crescita economica. Un do ut des in nome della sopravvivenza della Terra. Impegno sollecitato più volte dai Premier di India e Cina, anche prima dell’accordo di Parigi. Secondo il presidente cinese Xi Jinping, che a dicembre aveva incontrato Obama in uno storico vertice, si sarebbe parlato di 100 miliardi di dollari l’anno fino al 2020. Ma i Paesi ricchi si sono mostrati riluttanti nell’includere una cifra esatta negli accordi. Significherebbe infatti rispettare l’impegno indipendentemente dai cambiamenti economici e dall’alternarsi delle guide politiche.
L’evidenza più grande, in questo momento, si chiama Donald Trump. Il neo eletto presidente degli Stati Uniti d’America, nel discorso elettorale del 26 settembre, ha smentito qualsiasi evidenza scientifica del cambiamento climatico e si è impegnato a “smantellare” l’accordo di Parigi. Secondo La Stampa, fonti vicine a Trump confermerebbero come il tycoon abbia chiesto a Obama di non prendere impegni vincolanti nei suoi ultimi mesi di carica. Insomma, difficilmente gli Stati Uniti manterranno l’impegno finanziario, soprattutto verso la Cina, accusata da Trump di essere la mente diabolica dietro l’allarmismo ambientale, come sottolinea il presidente in un tweet del 2012: “The concept of global warming was created by and for the Chinese in order to make U.S. manufacturing non-competitive” (“Il concetto di riscaldamento globale è stato creato da e per i cinesi, al fine di rendere improduttivo il sistema di manifattura statunitense”). Una battaglia, economica, che mette di nuovo a rischio la salute del pianeta. Come sottolinea il Financial Times, India e Cina da Marrakech, sede del nuovo vertice sul clima, lanciano un chiaro messaggio: il governo americano non può tirarsi indietro.