Fabrizio Landi, presidente della società di ricerca Toscana Lifes Sciences, siamo giunti ad un punto cruciale per la ricerca, la scoperta di tutte le molecole. Come si è arrivati a questo passo e qual è il futuro del progresso farmacologico?
“L’industria farmaceutica ha avuto due fasi nella storia. La prima fase, nei primi anni ’40: lo sviluppo, il gruppo di ricerca, l’attività. In questa fase si cercava di trovare una soluzione alla malattia. Dal dopoguerra in poi, le grandi aziende farmaceutiche si sono trovate nella difficoltà di trovare nuovi farmaci: tutte le molecole possibili venivano brevettate e poi in base alle percezioni generali, si andava ad analizzarne il funzionamento rispetto alle patologie da curare. Nel ’70 i laboratori di ricerca erano enormi stanzoni pieni di topini a cui veniva indotta una malattia. Si trattava di una ricerca in cui non c’era molta conoscenza a priori sul funzionamento del farmaco. C’era qualche macroindicazione, ma era massiccia. Così sono state analizzate tutte le molecole di sintesi che sono compatibili, ma si è andati oltre perché sono state provate quasi tutte le molecole. Oggi, invece è importante rimettere in discussione l’uso di molecole, come l’aspirina, che aveva un problema nella sua applicazione antinfiammatoria: provocava sanguinamento e ulcera. L’aspirina non è venduta come antinfiammatorio, ma come “cardioaspirina” somministrata a chi ha avuto un infarto. Si assume quindi per tutta la vita come farmaco per impedire la coagulazione del sangue e per la sua funzione preventiva dell’infarto. Il viagra era stato creato come farmaco contro la depressione, ma durante i test si accorsero che aveva un effetto indesiderato e funzionava poco come antidepressivo. Poi questo fattore indesiderato è diventato lo scopo principale. Con le biotecnologie invece cambia tutto. Il farmaco biotech è un tipo di farmaco che interviene direttamente nel funzionamento del processo biologico: se si usa contro il tumore, bisogna capire esattamente come si comporta quel tumore per fare il farmaco”.
Un’altra soluzione potrebbe essere legare più molecole?
“Certo, però è un tipo di ricerca che richiede una profonda conoscenza del fenomeno patologico che si vuole curare. Questo riporta la cosa molto nel laboratorio e non più una ricerca massiccia. La medicina è stata vissuta fino a poco tempo fa con il concetto che un farmaco va bene per tutti. Non è così, un farmaco non può andar bene ad un bambino e non si può differenziare solo per le dosi. È un errore drammatico che si continua a fare. Non basta dimezzare le dosi. Deve esserci una medicina di genere. Certi farmaci funzionano diversamente sull’uomo e sulla donna. Quindi da una parte c’è questa comprensione diversa, che vuol dire ricercare e comprendere le cose che si fanno. Si torna quindi agli albori, dove si cercava una terapia perché si conosceva bene il fenomeno biologico che si voleva curare e in più curare fenomeni in cui c’è una variabile personale. Si parla di medicina personalizzata: il farmaco cambia il proprio effetto a seconda della persona. Non è detto che la stessa formulazione possa valere sia per un uomo che per una donna. Quindi si arriverà a definire il miglior farmaco in base ad un’analisi comportamentale e della struttura genetica, per arrivare al farmaco personalizzato”.
Come si può arrivare a questo?
“Ci siamo già. I farmaci dell’immunoncologia, farmaci rivoluzionari e molto costosi, sono in grado di alzare l’aspettativa di vita, in malattie come il melanoma, da tre mesi di vita, a tre anni. Ci sono decine di farmaci in sviluppo di questa natura”.
Dove sta avvenendo?
“In America, ma non è ancora approvato in Italia per motivi economici, perchè è costoso. Ragion per cui, non essendo a disposizione in Italia, la gente va a comprarlo negli Stati Uniti. Questo fenomeno è basato su una ricerca diversa che non è più legata ai grandi numeri. Oggi nel processo di portare un nuovo farmaco sul mercato, la parte meno costosa è produrre il farmaco. Le grandi aziende stanno facendo sempre meno ricerche di base, dedicandosi di più allo sviluppo”.
Quando crede che arriveremo a questo in Italia?
“L’italia non è indietro in questo. È il terzo paese europeo, come sviluppi in questo settore. Ma dalla conoscenza bisogna passare all’applicazione”.