L’utilizzo dei social network, ed in particolare di Facebook, oggi rappresenta una parte importante della vita di molti. Intratteniamo relazioni sociali e viviamo tutti i giorni il cyberspazio teorizzato da William Gibson, esponente della corrente letteraria e artistica denominata “Cyberpunk”, a metà degli anni ottanta. Basta uno smartphone e con pochi “tap” per ritrovarsi iscritti in Facebook, e si comincia a scrivere, guardare, commentare, mettere like, esprimere preferenze e condividere contenuti multimediali come foto e video.
La condivisione di foto e video è particolarmente incentivata proprio da Facebook, che nelle ultime versioni delle sue App per smartphone mostra ben evidente sotto lo stato dell’utente la sua galleria dei contenuti multimediali. Tentativo fin troppo esplicito per invogliare gli utenti a condividere momenti di vita privata facendo leva sulla loro vanità personale. Ma se la condivisione di foto e video con soggetti adulti comporta dei rischi limitati, non è così nel caso di soggetti minori. Molti utenti infatti condividono in totale buona fede le foto dei propri figli, magari in compagnia di altri minori. Basta fare una piccola statistica personale e contare quanti “amici” di Facebook pubblicano foto dei propri figli con profili di privacy più o meno pubblici. Una enormità!
Chi si occupa di cyber security sa bene che le foto ed i video di minori sono estremamente appetibili per i cyberpedofili che le usano per i più biechi motivi: dalla home page del sito civetta che nel proprio deep web espone contenuti pedopornografici, sino ad “amici” di facebook che a nostra insaputa potrebbero nutrire interessi indicibili. I rapporti annuali delle associazioni che combattono la pedofilia sono piene di statistiche sull’uso sempre maggiore di piattaforme social e cloud per veicolare contenuti pedopornografici, ed è quindi naturale che molta della prevenzione debba essere fatta proprio nel cyberspazio.
C’è una soluzione a tutto questo? A parte il fondamentale contrasto a questo spregevole fenomeno che le nostre forze di polizia mettono in campo con veri e propri pedinamenti on line sotto copertura, c’è la necessaria ed ormai indispensabile consapevolezza dei genitori e parenti. Quella che oggi va di moda chiamare “Security Awareness” o, per dirlo con la nostra bella lingua, la giusta consapevolezza di sicurezza informatica.
Alcune regole sono essenziali per muoversi in questo campo minato, vediamole.
La prima regola è NON condividere (e non far condividere) foto dei propri figli sui social media, almeno senza avere impostato delle regole di privacy più stringenti, cosa purtroppo abbastanza complessa per l’utente medio. Per esempio in Facebook, ogni contenuto condiviso o incluso nello “stato” dell’utente ha un qualificatore di visibilità chiamato “livello di privacy”. Tipicamente questo livello può avere almeno tre diversi valori: “pubblico” (con una icona a foggia di mappamondo) che identifica contenuti che sono visibili a chiunque su Internet; “amici” (con una icona rappresentante due persone affiancate) che identifica contenuti visibili solo alla propria cerchia di “amici” di Facebook; “amici tranne conoscenti” (con due persone affiancate di cui una solamente delineata nel profilo) che rappresenta un sottoinsieme degli amici ottenuto escludendo i “conoscenti”, ovvero particolari contatti di Facebook che l’utente ha preventivamente identificato appunto come tali.
Anche Youtube ha delle impostazioni di privacy che contemplano esattamente tre livelli: “pubblico”, per i contenuti visibili a tutti su Internet; “non indicizzato”, per i contenuti visibili solo a chi conosce la Url del video; “privato”, per i contenuti visibili solo al proprietario. Il livello “non indicizzato”, in particolare, permette la riproduzione del video solo alle persone che ne conoscono l’indirizzo su Internet, ovvero la Url. Sebbene questa non sia una vera e propria profilatura utente, poiché manca una procedura di autorizzazione ad utenti specifici di Youtube per la visualizzazione dei video, essa permette di coniugare in modo sufficientemente sicuro la privacy dell’utente con la sua giusta voglia di condivisione.
Se la prima regola può sembrare troppo stringente, vi è un utile corollario: controllare sempre il livello di privacy dei contenuti multimediali, specialmente quelli che ritraggono minori. Portando ancora una volta come esempio Facebook, se proprio si devono condividere delle foto, è bene utilizzare il livello “amici tranne conoscenti”, avendo avuto precedentemente cura di inserire i conoscenti della vita reale nell’omonimo gruppo in Facebook.
Qualche riflessione in più però è d’obbligo. La definizione ed il popolamento di gruppi di contatti in Facebook, benché possibile e molto granulare, non è di facilissima attuazione almeno per la media degli utenti. Facebook garantisce a tutti gli utenti una serie di strumenti ed il supporto per la definizione dei profili di privacy, ma di certo non incita gli stessi a restringere la propria cerchia di contatti. Questo perché nell’Internet di oggi, gli utenti leggono poco ma “guardano” molto, e quindi foto e video fanno sì che click e like aumentino a dismisura, così come i guadagni provenienti dalla profilatura commerciale.
Un’altra utile regola è chiedere aiuto agli esperti nel caso in cui non si sappiano configurare opportunamente le regole di privacy del social network utilizzato. C’è sempre un amico informatico da bersagliare per chiedere consigli sul cyberspazio. L’esperto di turno saprà indubbiamente dare quel minimo di informazioni, e formazione, che permetterà poi di acquisire le conoscenze necessarie per le opportune configurazioni di privacy. Il resto lo farà la consapevolezza e la voglia di imparare dell’utente.