“Case Famiglia” o “Case dell’Orrore”? Il business incontrollato che esiste dietro questi istituti è cosa tristemente nota ma non è l’unica grave ombra che riguarda alcune di queste realtà. Siamo davvero certi che le “Case Famiglia” rappresentano un luogo sicuro per i minori? Stando alle cronache porsi delle domande è quanto mai doveroso. Decisamente troppi gli episodi di violenza e abusi che riempiono le pagine dei quotidiani. Storie raccapriccianti a scapito di ragazzini indifesi che, anziché trovare ospitalità e amorevoli cure, diventano spesso vittime di soprusi e umiliazioni.
L’ultima, squallida, vicenda risale allo scorso giugno quando una ragazza di appena 16 anni, ospite della casa famiglia “Oberon” di Taviano, ha vissuto la tragica esperienza dell’abuso sessuale e la costrizione alla partecipazione a riti satanici. I due “educatori” della struttura sono stati condannati a 13 anni di reclusione. La condanna dei due “orchi” non allevierà di certo i danni fisici e psicologici della minore che naturalmente non era la sola vittima ad essere presa di mira dai due aguzzini. Anche tutti gli altri ragazzini nella struttura venivano in più circostanze aggrediti, picchiati con schiaffi, pugni e calci, a volte persino con il manico della scopa.
Un’altra storia terribile è quella accaduta tempo fa a Stefania D’Acunto, residente a Grottaferrata e madre di due bambini. Lorenzo e Soraya, che ora hanno rispettivamente 14 e 10 anni, le erano stati tolti nel 2007 e affidati alle “cure” di una struttura di accoglienza gestita da suore. Suore che, come è emerso dai documenti presentanti anche durante diverse trasmissioni tv, hanno maltrattato e seviziato i figli della donna e altri ospiti della casa famiglia. La donna solo 8 anni dopo ha potuto riavere i suoi figli con sé, (all’epoca i bambini avevano 7 e 2 anni) che hanno riportato non solo le ferite indelebili di un distacco così prolungato, ma anche di abusi inammissibili.
Il 6 luglio del 2015 invece ad Agrigento fu arrestato e fermato dalla Procura di Agrigento Carmelo A.G. di 51 anni, responsabile di una comunità alloggio per minori con disturbi del comportamento. Le accuse a suo carico erano pesantissime: orge, sesso con ragazzine disabili mentali, alcool e droga e visioni di film porno girati “in casa” in cui lui era uno degli attori. L’arresto fu convalidato dal gip che dispose la custodia cautelare in carcere con varie accuse di violenza sessuale aggravata su minori. L’inchiesta come riportato sul sito di Tgcom24, era cominciata lo scorso giugno quando la responsabile delle coop che gestisce le comunità alloggio è andata in commissariato a Palma di Montechiaro per denunciare ciò che le aveva confidato un ragazzo che con la sua fidanzatina era ospitato in casa del responsabile: “Mi invitava a fare sesso a casa sua con la mia ragazza, mi dava bevande alcoliche, un fallo di plastica, anche un paio di manette e riprendeva tutto“. L’indagine ha scoperchiato uno spaccato squallido di abusi su ragazzine, pornografia, violenze sessuali. L’uomo definito più volte “un assatanato di sesso”, offriva anche hashish ai minorenni.
Nel giugno del 2013, invece, a finire nel registro degli indagati con le accuse di abuso dei mezzi di correzione, violenza privata e maltrattamenti è stato B.D. 45 anni, direttore responsabile della comunità di recupero “L’Aquilone” di Galatina, in provincia di Lecce. Le accuse? Avrebbe picchiato, minacciato e costretto a dormire per terra i ragazzini disagiati che erano ospiti della casa famiglia che gestiva. Le denunce e segnalazioni contro di lui all’epoca partirono dagli altri operatori dell’istituto. In un secondo momento, gli investigatori hanno accertato che l’uomo per anni, secondo la testimonianza di alcuni ragazzini, li avrebbe picchiati, percossi con schiaffi sul volto, ma anche con la cinghia dei pantaloni o colpi di pezze bagnate. Secondo quanto accertato dagli investigatori, il 45enne avrebbe, per anni, almeno fino al novembre del 2012, costretto alcuni ragazzini a rimanere in piedi per ore, a restare in un angolo del corridoio, a dormire per terra e a pranzare in disparte, lontano dagli altri. Inoltre i ragazzini sarebbero stati obbligati anche a sbrigare pulizie, lavori domestici, lavori di manutenzione ed edili all’interno della casa famiglia.
All’alba del 13 maggio del 2015, ancora un’altra indagine, un’altra operazione. Questa volta della Squadra Mobile della capitale, coordinata dalla Procura di Civitavecchia che ha portato alla chiusura e al sequestro della casa famiglia sul litorale romano, “Il Monello Mare” di Santa Marinella.
Anche qui l’orco cattivo era il direttore responsabile, F.T. di anni 55, indagato per maltrattamenti, lesioni aggravate e violenza sessuale. Ma questa volta ad essere indagate c’erano anche quattro collaboratrici. Le indagini erano partite anche qui, a seguito di una segnalazione da parte di un’assistente sociale e di una tutrice minorile. Ad allertarle, il racconto di una minore ospite dell’istituto. La giovane vittima insieme a tutti gli altri minori presenti nella casa famiglia sono stati ritrovati sotto shock per gli abusi sessuali e i maltrattamenti subiti: ingiurie, aggressioni fisiche, percosse, minacce, somministrazioni di cibo scaduto e psicofarmaci come sedativi e tranquillanti, ovviamente senza prescrizione medica.
Sottolineiamo che non in tutte le comunità e le case famiglia accadono di queste cose. Nella maggior parte, questi istituiti hanno la giusta funzione protettiva, riparativa e terapeutica con i bambini e gli adolescenti che accolgono sostenendoli in un percorso di superamento dei vissuti traumatici, derivanti dalle pregresse esperienze di trascuratezza e abbandono da parte delle stesse famiglie di origine. Ma la verità come sempre sta nel mezzo e gli eventi sopra citati a danno dei minori all’interno di alcune strutture, sono eventi che non dovrebbero accadere mai in un luogo che per definizione si basa su accoglienza, protezione e rispetto. E l’indignazione qui non basta, servono interventi concreti e controlli più severi. Perché il business è business, ma i minori sono indifesi e vanno protetti, sempre.