A partire da gennaio sino a luglio le vittime del lavoro in Italia sono state 562. Le pressioni nel mondo del lavoro sono tante, ma risulta difficile comprendere quanto vadano ad incidere sugli infortuni o, in ultima istanza, sulle cosiddette “morti bianche”. La questione riguarda tutti i settori, logistica inclusa, ma per fare un ragionamento complessivo bisogna almeno partire dai numeri che di certo non sono confortanti.
Secondo l’Osservatorio sicurezza sul lavoro Vega Engineering di Mestre, che analizza i dati forniti dall’Inail, 164 sono i lavoratori morti sui mezzi di trasporto: il 29% del totale. Tra questi bisogna distinguere quelli in itinere (spostamenti) da quelli in occasione di lavoro. A sud la più alta incidenza della mortalità generale (28%), mentre l’Emilia quest’anno è la regione con più casi: ben 56, tra cui non figura Abd Elsalam Ahmed Eldanf, l’operaio investito da un camion a Piacenza, perché i dati si fermano appunto a luglio.
A colpire nel rapporto sono i settori di riferimento in cui avvengono i tragici incidenti. In testa domina anche quest’anno quello “non determinato”: ovvero non si conosce né la causa né è ascrivibile l’ambito lavorativo di riferimento. Un buco nell’analisi e nella comprensione dei dati sulle morti bianche, che sino a luglio è stimato di 197 episodi, mentre nel 2015 ammontava a 334. A seguire le costruzioni (50), manifatture (46) e per l’appunto i trasporti (44) con il 10% sul totale.
In Italia poi, bisogna ricordarlo, si muore lavorando anche sotto i 15 anni: 2 casi solo nel 2016 già il doppio rispetto all’anno passato. Nella fascia dai 15 ai 24 anni si contano 19 morti bianche (4% del totale) ma con un’incidenza del 14% rispetto al numero degli occupati. I più colpiti rimangono i lavoratori compresi tra i 45 e i 54 anni (141 i morti), seguiti dagli over 65: 40 casi solo nei primi sette mesi dell’anno.
Cifre generali a parte, il ragionamento sulla logistica diventa più intricato. Se si raffrontano i singoli settori con il numero delle ore lavorate nei trasporti e nell’attività di magazzino, l’indice di gravità e di frequenza è pari persino a quelli dell’edilizia. Secondo uno studio commissionato all’Inail dalla Cgil per il 2013, nel settore dei trasporti (GG9) si registra una frequenza di infortunio seconda solo alle costruzioni, mentre è uguale per quanto riguarda l’incidenza delle morti bianche (12%). Solo nel facchinaggio l’inabilità temporanea a seguito di incidente sul lavoro ha colpito il 95,87% dei lavoratori, mentre per quella permanente si attesta al primo posto (4,92%), seguito dai trasporti 3,27 e dalle attività di magazzino 2,09.
“C’è una pressione costante verso il lavoratore: bisogna rispondere ai problemi in maniera rapida e decisa – spiega Nadia Fanelli della Filt Cgil – Il dipendente si sente co-responsabile dell’andamento per cui fa il possibile per rispondere alle pressioni, sottostimando i rischi dell’infortunio. Viviamo un analfabetismo di ritorno in termini di sicurezza del lavoro”. Sono passati 22 anni dal varo della legge 626 che abrogò le misure precedenti e permise l’adeguamento alle normative europee, mentre il testo unico sulla sicurezza del lavoro è più recente (2008). Ma nel settore della logistica c’è quindi bisogno di un nuovo passaggio normativo?
“Abbiamo tre decreti legislativi che devono essere ancora emanati ma manca la legge delega per poterlo fare”, spiega Fanetti che sottolinea come i settori ferroviario, portuale e marittimo abbiano una normativa datata che non è coordinata con il testo unico in materia di sicurezza sul lavoro. La normativa per il settore portuale e marittimo è stata emanata subito dopo la legge 626 per coordinare le varie discipline antecedenti, invece il settore ferroviario viene ancora governato in gran parte da una norma del 1974 (legge 191). “C’è bisogno di un adeguamento complessivo del settore e di coordinamento delle norme. Per il trasporto su gomma, invece, manca il coordinamento tra le norme del codice stradale e il testo unico”. Se ad esempio un camionista non riposa a sufficienza, a causa della pressione esercita dal datore di lavoro nel raggiungere l’obiettivo, rischia di causare un incidente stradale. Appurata la violazione del codice della strada dell’autista, a nessuno sarà invece imputata la violazione delle norme sul lavoro.
Pressioni e responsabilità che vengono scaricate anche negli appalti, il cui sistema nel nostro Paese rappresenta ancora oggi il vero vulnus per una corretta politica nel mondo del lavoro. “Gli appalti in fondo avvengono in alcuni casi per lasciare alla ditta la responsabilità della sicurezza sul lavoro e la gestione del personali – conclude Nadia Fanetti – I controlli sono sempre più radi e così si appaltano anche i rischi”. Uno scaricabarile sulla pelle dei lavoratori.