“Dissidente”, “incontrollabile”, “impertinente”, “non sottomesso”, “dispotico”. Ex compagno d’armi di Gheddafi, prigioniero dell’ex presidente Hissen Habre in Ciad dopo la battaglia di Ouadi-Doum del 1987, esiliato negli Stati Uniti dopo esser diventato un fervente oppositore del Colonnello libico. E’ il generale Khalifa Haftar, il conquistatore della “mezza luna petrolifera” che diventa un attore ormai da prendere in considerazione in Libia.
Dal punto di vista dei Paesi occidentali interessati alla crisi libica, è soprattutto il ruolo del generale rispetto al governo di Tripoli il problema principale. “Non ho tempo per l’Onu” dichiarava in aprile. Non un segnale positivo, anche se dato in un clima di guerra che il generale e le sue truppe vivono ogni giorno.
Oggi, Haftar si muove su più fronti, comportandosi, in sintesi, come un vero e proprio Stato che inizia ad avere un’influenza fortissima a favore di Tobruk e a danno di Tripoli. La comunità internazionale si interroga a questo punto sui suoi reali obiettivi, ma lui continua ad avanzare, tessendo relazioni e rapporti importanti. Queste mosse politiche, come la visita in Ciad il 14 settembre dove ha incontrato il presidente Deby, non fanno altro che aumentare la prospettiva di doverlo includere in un futuro governo di unità nazionale. Già sostenuto dall’Egitto, Haftar incontra Deby per la terza volta dal 2014: un passo importante per entrambi, senza dubbio. Deby mostra, ancora una volta, di sapersi districare sullo scenario internazionale e di condurre anche alcuni aspetti della politica estera del Ciad in modo indipendente, nonostante la presenza di Usa e Francia nel paese cresca sempre di più.
Inoltre, la rottura col passato: Haftar fu prigioniero di Habrè nel 1987. Deby rompe ancora una volta col suo predecessore dando un segnale forte: il Ciad è al fianco dell’uomo forte di Tobruk. Tripoli è lontana e il terrorismo si combatte senza quartiere, soprattutto nel cuore del Sahra, dove sono state tracciate le “linee immaginarie” del confine ciado-libico.