Prima di tutto un fatto: dall’ottobre prossimo lo Yuan cinese diventerà valuta di riserva globale secondo i criteri dell’Fmi affiancandosi a dollaro, yen, sterlina ed euro. Essere valuta di riserva Fmi significa poter giocare un ruolo nella compensazione dei flussi economici, potendo garantire una conversione di fatto illimitata con le altre valute sebbene a tassi di mercato. Essere valuta di riserva globale significa invece molto di più: come per il dollaro dopo la seconda guerra mondiale, essere la valuta di riferimento globale utilizzata per gli scambi commerciali significa da una parte controllarne i flussi grazie alla centralizzazione di pagamenti commerciali in banche corrispondenti sul suolo Usa, dall’altra poter compensare eventuali deficit nella bilancia dei pagamenti semplicemente stampando carta, di fatto scambiando preziose merci per carta verde.
Per essere valuta di riserva globale non basta essere ricchi, bisogna essere potenti, rispettati e soprattutto temuti, come il paese che vinse l’ultima grande guerra. E bisogna anche essere in grado di convincere il mondo a prezzare gli scambi commerciali nella valuta di riserva, precisamente quello che successe dopo la prima guerra mondiale, quando gli Usa– lungimiranti- convinsero il mondo arabo a prezzare in dollari quella che sarebbe diventata la materia prima più importante, strategica e scambiata del mondo: il petrolio, coniando la definizione di petrodollari. La contropartita per Riad fu la difesa militare incondizionata delle gerarchie petrolifere medio orientali.
Come da attese ciò ha permesso agli Usa, una volta esaurita la sedimentazione post bellica puntellata da regolari incursioni militari, utili a mantenere vivo il rispetto dovuto alla potenza dominante, di accumulare enormi deficit di bilancio potendoli compensare con moneta stampata del nulla.
Non è importante se il dollaro smetterà o meno di essere valuta di scambio globale, dovendo però rilevare che oggi per la prima volta in 75 anni ci sono le condizioni perché ciò accada (l’asse russo-cinese in veste anti Usa sarà l’epitaffio della presidenza Obama). Fondamentale è invece capire le conseguenze di tale scenario.
Oggi gli Usa si indebitano nel bilancio dei pagamenti – grazie al dollaro/valuta globale – per circa 550 miliardi di dollari annui. Se consideriamo anche la Gran Bretagna, con cui gli Usa normalmente vanno braccetto, siamo a circa 650 miliardi di indebitamento annuo. Dunque, se la coppia anglosassone smettesse di indebitarsi a causa dell’impossibilità di stampare valuta a compensazione del deficit significherebbe che, venendo meno i consumi associati via svalutazione di dollaro e sterlina, ci sarebbero nel mondo svariate centinaia di miliardi di beni in eccesso, invenduti. Ossia visto che la Gran Bretagna e gli Usa sono di fatto i consumatori di ultima istanza, ciò si tradurrebbe in deflazione in tutto il mondo che produce. Qualche sprovveduto potrebbe obiettare, ci sono i consumi cinesi che sostituiscono quelli anglosassoni. Errato. La Cina sarà una delle vittime principali, assieme alla Germania (entrambi forti esportatori) della fine del dollaro globale. I consumi cinesi sì, ci sono, ma spesso dipendono da produzioni straniere in loco, ossia l’indotto resta in Cina, quello che si esporta sono solo gli utili rimpatriati dalle multinazionali straniere. Ciò significa che l’eventuale fine del dollaro globale causerà miseria per tutti, facendo saltare i bilanci di interi paesi, soprattutto se esportatori e con esso il loro welfare, le pensioni, la pace sociale. Alla fine i ricchissimi Usa resteranno in piedi, gli altri invece non si sa.