Le carceri italiane sono sovraffollate e non esistono requisiti standard dal punto di vista strutturale che rispondano alle indicazioni dell’articolo 27 della Costituzione. Il 5 Settembre 2016 un episodio di violenza ad Airola non nasce all’interno di una struttura per la detenzione di adulti bensì in un carcere minorile, luogo dove generalmente è presente un’attività tesa alla rieducazione. Domenico Alessandro De Rossi, responsabile dell’Osservatorio nazionale Diritti della Persona privata della libertà della Lidu onlus (Lega italiana dei Diritti dell’Uomo), come si spiega questo episodio?
“Bisogna fare un passo indietro e fare un’analisi delle modifiche legislative avvenute dopo la storica sentenza Torregiani emessa dalla Cedu di Strasburgo ai danni dell’Italia. In quella sentenza di condanna si chiedeva al nostro Paese in un tempo ben definito, e ormai scaduto, di mettersi a posto in termini sistemici, non solo in termini materiali. Il numero dei detenuti italiani, pari a circa 54mila unità, è di gran lunga superiore alla capienza dei nostri istituti di pena che prevede un massimo di 47.709 persone. Da qui alcune intuizioni del ministro della Giustizia ed alcuni provvedimenti legislativi. Tra tutti la legge 11 agosto 2014 n.117, che consente la reclusione all’interno delle carceri minorili anche di donne e uomini adulti fino al compimento dei 25 anni. Il motivo è stato quello di spostare di fatto una cospicua parte della popolazione carceraria maggiorenne da una sede all’altra. La conseguenza di questa “saggia” decisione è stata quella di aumentare il grado di aggressività e di prepotenza all’interno delle carceri minorili”.
Quindi con questa legge di fatto si è finito con “inquinare” anche i risultati delle attività scolastiche e di apprendimento di corretti stili di vita da parte dei detenuti minorenni?
“L’unica cosa che può succedere quando si mettono in stretto contatto adulti che hanno già commesso reati con minorenni, è che ogni rieducazione risulterà vana. Questa nuova tipologia di “detenuto-adulto”, consentita dalla Legge 117/2014 all’interno di questi istituti, si configura nei fatti con comportamenti violenti e ribelli nei confronti degli agenti di custodia e minacciosi verso i veri minorenni. Lo dimostra questa rivolta nata per futili motivi ma che in realtà nasconde la volontà di alcuni boss “in erba” di dimostrare di essere in grado di tenere in scacco lo Stato e di poter aspirare a diventare pertanto i capi dentro il carcere minorile e fuori. Sarebbero stati una trentina di detenuti a organizzare la rivolta, alcuni veramente minorenni ma tra loro anche ultra ventunenni. L’innesco sarebbe nato dalle rivendicazioni per il vitto e le sigarette non pervenute per tempo. Ma la faccenda è più complessa, perché rappresenta una manifestazione di forza da parte di clan della criminalità organizzata”.
In previsione del momento in cui il soggetto da detenuto rientra nel tessuto sociale da uomo libero, si rende necessaria la rieducazione. Cosa è accaduto nelle nostre carceri in tal senso dopo la condanna di Strasburgo?
“Purtroppo nulla che possa risolvere lo status quo: i nostri istituti di pena sono obsoleti prima di tutto su piano strutturale. Addirittura in alcuni casi si tratta di carceri edificate ai primi dell’800, magari all’interno di castelli medievali. Il risultato è che il minimo consentito dalla legge riguardo i metri quadrati a disposizione del carcerato, che è misurato in uno spazio di vivibilità di 3 metri quadrati, è di impossibile realizzazione all’interno di strutture così antiquate. L’edilizia carceraria non ha realizzato nel tempo il moderno concetto di detenzione. A questo proposito voglio ricordare un’esperienza lavorativa di qualche anno fa, quando fui chiamato in un paese islamico per conto delle Nazioni Unite, con il compito di ripensare l’intero sistema penitenziario. In quella occasione mi battei affinchè il detenuto avesse oltre agli incontri di tipo affettivo con la famiglia, anche i rapporti amorosi con la moglie. Vinsi la mia battaglia in un paese islamico puntando sul fatto che lì l’omosessualità è un reato. La stessa proposta fatta, nella qualità di consulente del nostro ministero della Giustizia, fu bocciata malamente”.
In un momento di crisi economica in cui l’Italia a gran fatica cerca di rialzare la testa, quale può essere la soluzione per l’universo della detenzione?
”Il ministro Orlando ha da poco insediato gli Stati Generali degli Istituti Penali con otto tavoli specialistici che dovrebbero indicare le soluzioni per una situazione che può esplodere da un momento all’altro. Dal canto mio e della Lidu sono in procinto di costituire un tavolo tecnico interdisciplinare composto da me, da un esperto del Dap, dal neuropsichiatra Pierluigi Marconi, da alcuni avvocati tra cui il costituzionalista Riccardo Scarpa. Questo gruppo di lavoro ci consentirà di esprimere il nostro parere sul delicato tema della detenzione ed eventualmente di stilare un documento che possa essere di pubblica utilità nell’ipotizzare soluzioni concrete e fattibili. Noi della Lidu siamo convinti che il mondo politico debba servirsi di tecnici esperti, ma nonostante i nostri ripetuti appelli al ministro Orlando che offrivano gratuitamente la nostra consulenza ed esperienza, ogni missiva inviata è rimasta lettera morta”.