“Il sisma nel Centro Italia è un fenomeno normale: lo registriamo da sempre. Poi si può discutere sul fatto che si traduca in una catastrofe. Il problema non risiede nella terra che trema ma negli uomini che non sono attrezzati per vivere in luoghi a rischio”. Il geologo Mario Tozzi non ha dubbi. Nel nostro paese – giovane geologicamente e quindi in costante formazione – un terremoto di magnitudo 6.0 non dovrebbe causare centinaia di vittime. L’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv) ha ribadito negli ultimi tragici giorni che in Italia non c’è alcuna regione sicura. Nella mappa diffusa dal centro di ricerca si salvano solo la Sardegna e in parte il Salento. “La zona più pericolosa è l’asse della catena appenninica: dalla Garfagnana fino a Reggio Calabria e poi Messina e Catania – spiega Tozzi – A seguire il Friuli e anche il Gargano”.
Il geologo mette in evidenza come alcuni edifici in cemento armato considerati “nuovi” e quindi “sicuri” siano stati letteralmente sbriciolati dalla violenza del sisma. La scuola di Amatrice e il vicino ospedale, dove l’intervento di ristrutturazione è stato peraltro pubblico, ne sono gli esempi lampanti. Tozzi ha già indicato in passato il borgo beneventano di Cerreto Sannita come modello virtuoso. Centro restaurato in un’ottica antisismica dai Borbone nel Settecento, dopo il terribile sisma del 1688. “Da allora nonostante i vari terremoti, compresi quello del Molise nel 1805 e dell’Irpinia nel 1980, le case costruite in muratura hanno retto alle scosse”, continua il divulgatore. Una tesi ancora discussa ma che in effetti stimola il dibattito sulle attuali tecniche di costruzione, che tra l’altro sono al centro delle inchieste aperte dalle procure di Rieti e di Ascoli Piceno nel tentativo di accertare le eventuali responsabilità su quanto accaduto.
A una settimana dal sisma bisogna anche iniziare a ragionare su come aprire la delicata fase della ricostruzione. I costi medi per i lavori di adeguamento antisismico di un immobile si aggirano intorno ai 300 euro al metro quadro, mentre gli interventi necessari solo per la prevenzione edilizia toccano i 93 miliardi di euro. “Se si considerano le abitazioni pubbliche e private per una ristrutturazione completa – riprende Tozzi -, la stima per mettere in sicurezza l’intero territorio italiano è intorno ai 300 miliardi”. Una cifra realisticamente non spendibile ma ammortizzabile negli anni a venire se spalmata in un piano strutturale più esteso. “Con un paio di miliardi all’anno qualcosa la fai ma se non inizi mai, non finisci mai. A mancare è la volontà politica perché se oggi un cittadino vuole usufruire della possibilità di mettere a norma la sua casa ha un beneficio fiscale intorno al 70%: poco visto lo sforzo economico per la ristrutturazione”, afferma lo studioso del Cnr.
Quali sono, dunque, le possibili soluzioni da applicare in caso di interventi sul patrimonio esistente? “Dipende dal tipo di mitigazione del rischio che si vuole raggiungere – sostiene Tozzi-. Si possono utilizzare delle catene nelle case in muratura, dei tiranti lungo le mura, o delle staffe con le quale alleggerire gli elementi sporgenti. Basta infine con i tetti in calcestruzzo”. I casi di Amatrice e di Accumuli sono purtroppo diversi: i due paesi sono da ricostruire quasi da zero. “Vanno fatti risorgere lì ma con criteri di progettazione e di adeguamento antisismico molto stretti. Non mi pare che lo siano stati prima. Una cosa da evitare è in ogni caso il modello de l’Aquila: quella è stata una sciocchezza. Le New Town sono una vergogna. Non andrebbe nemmeno pensata una soluzione di questo tipo”.