La Realpolitik che fa paura all’Europa: la nuova strategia USA
In questi giorni molti e variegati sono i commenti sul Presidente statunitense Donald Trump, tutti invariabilmente orientati o a ipotizzare una sua incipiente follia, o una patente incompetenza o, più semplicemente, una sua incipiente incapacità strategica: tanto per non parlare delle esternazioni dei soliti progressisti americani ed europei che, da anni ed anni a corto di contenuti e proposte di reale spessore, non trovano pressoché nulla di meglio da fare e dire che riproporre i soliti commenti, i soliti slogan, le solite facili stigmatizzazioni, le solite merce e cortei che lasciano il tempo che trovano.
La strategia USA sotto attacco: tra accuse superficiali e logiche ignorate
Di fatto proponendo e riproponendo la solita collezione di parole d’ordine e facili proclami buoni per raccattare voti in tempi ordinari e facili consensi a caldo, ma ben poco forieri di concrete costruttive critiche utili ad emendare gli errori commessi dal Governo in carica –ché questo dovrebbe essere il ruolo delle opposizioni a consultazione elettorale conclusa–, a patto, pur non condividendone l’indirizzo, di averne compreso il senso e la logica: un punto di partenza imprescindibile, quest’ultimo, per poter abbozzare una vera critica e che, a quanto pare non è stato manco intravisto per sbaglio all’orizzonte (e si badi bene che comprendere non vuol dire condividere: un concetto questo che certi ambienti ideologici e para-ideologici faticano a capire) da chi più in questi giorni si è agitato profondendosi in commenti degni di miglior causa, come è recentemente capitato a più di un osservatore.
Una logica che le sedicenti forze progressiste USA si ostinano a non vedere, ma che non per questo non è presente anche e soprattutto da un punto di vista strategico per quel solo, a ben guardare, solo apparente fare e non fare, dire e non dire di Trump che i più tra coloro che lo attaccano pregiudizialmente stigmatizzano: e poco importa che si tratti del transgender di turno, dell’ex dipendente di uno USAID attualmente non necessario, del sedicente antifascista alla perenne ricerca di un fascismo o addirittura dell’Obama di turno.
Quell’Obama che meglio farebbe, a questo punto, a domandarsi ed a cercare di chiarire in primo luogo a sé stesso, ed in secondo luogo a coloro che ancora lo supportano, in forza di quale logica abbia promosso e sostenuto una Kamala Harris rivelatasi nel corso di tutta la sua fallimentare vicepresidenza, del tutto inidonea ed incapace di gestire una campagna elettorale presidenziale complessa come quella dello scorso anno in quanto del tutto priva delle competenze politiche, economiche, strategiche minime necessarie per poter affrontare le scelte epocali sul tappeto sia per quello che riguarda le problematiche del deficit del bilancio federale che le annose questioni legate alla politica interna nonché alla politica estera degli Stati Uniti dove fanno bella mostra di sé la guerra tutt’ora in corso in Ucraina, quella in Medio Oriente, il confronto con i BRICS e la Cina, la crisi istituzionale europea e chi più ne ha più ne metta.
Dalla NATO al riarmo UE: la strategia USA detta l’agenda europea
Tutte questioni che in campagna elettorale né la Harris, né i maggiorenti del Partito Democratico hanno mostrato di aver compreso, essendo per somma troppo impegnati a fare della demagogia Woke, nonché delle correlate mode ecologiste e populiste, il loro inconcludente cavallo di battaglia.
Alzare i toni come sin qui fatto dai Democratici statunitensi, così come del resto fatto dai responsabili delle cancellerie europee tutte, con in testa quella francese e quella britannica che, oltretutto, sulla questione ucraina stanno a dir poco rasentando il ridicolo, credo sia un qualcosa degno di miglior causa, soprattutto nella totale assenza di un comparto industriale militare idoneo allo scopo che millantano di poter in qualche modo conseguire: la vittoria sul campo dell’Ucraina.
Prova ne sia, nello specifico, il piano di riarmo varato dalla EU di 800 Mld di EUR fantasiosamente presentato come un qualcosa da portare a termine, nei sogni più che nei piani di chi lo ha proposto, entro il 2030 senza aver specificato grazie a quale comparto industriale presente sul suolo europeo, come articolato tra i Paesi coinvolti, come distribuito tra le varie aziende presenti sul territorio ovvero con quali procedure di acquisto sui mercati esteri –in primis quello statunitense–, grazie all’impiego di quali canali di approvvigionamento dei materiali necessari, sulla base di quali criteri di distribuzione di quanto prodotto tra i vari Paesi, prevedendo quali criteri di gestione degli stessi armamenti e degli uomini destinati al loro impiego, il tutto in un contesto che, per somma, si presenta del tutto privo di una struttura idonea a comandare e gestire gli uomini ed i materiali approntati, ma nonostante questo ostinatamente diuturnamente millantando ancora oggi, nonostante tutto, una capacità offensiva tale da poter supportare lo sforzo bellico di Kyiv perfino con l’invio di uomini operativi sul terreno.
Obiettivi reali: cosa vuole ottenere davvero la strategia USA in Europa
Tanto per non parlare del come reperire il danaro necessario a finanziarie il tutto e del fatto che il tutto dovrebbe poter essere realizzato confidando che nel frattempo la Federazione Russa decida di attendere almeno il 2031 per rispondere anche militarmente a questo pittoresco progetto salottiero che chi lo ha concepito e presentato avrebbe dovuto avere almeno il buon gusto di esimersi dal qualificarlo come programma di riarmo, per di più mettendoci la faccia, in ossequio a non è dato capire, ma lecito supporre ed ipotizzare, quali interessi economici e finanziari nella migliore delle ipotesi spiccioli.
Interessi che di fatto non sono neppure imputabili, come più di qualcuno ha fatto, ai fabbricanti di armi in quanto gli stessi, allorché coinvolti, dovrebbero prevedere piani di investimento tali da consentire l’incremento, rigorosamente pro tempore, della produzione, previa ampliamento degli impianti e degli organici, secondo una logica tipica da tempo di guerra che, a piano ultImato, vedrebbe gli stessi imprenditori nella infelice condizione di dover tornare ad una pianificazione della produzione industriale da tempo di pace in mancanza di un perdurante conflitto, conflitto che a questo punto pare essere l’unico vero possibile obiettivo perseguito dei fautori di tale progetto, soprattutto se articolato prevedendo tempistiche quali quelle indicate dalla Commissione Europea.
Una considerazione che nessuno ha sin qui ritenuto di fare ed è lecito domandarsi perché..
D’altro canto vi è da dire che il fatto che tra gli esperti chiamati in causa per affrontare gli annessi e connessi del tutto troviamo Mario Draghi è indicativo del fatto che purtroppo siamo decisamente arrivati al capolinea di quel buon senso e quella logica che paiono, per la verità, essere stati abbondantemente superati da un pezzo se solo si considera quello che l’ex Premier italiano, a fronte di tutto quanto si sta consumando dinanzi ai propri occhi, il 19 Marzo 2025, nel corso della sua audizione al Senato, ha ritenuto di dichiarare a chiare lettere che sarebbe ora di agire in quanto, a suo dire, la sicurezza europea sarebbe minacciata e “messa in dubbio” dalla nuova amministrazione USA di Donald Trump, proprio adesso che la Russia di Putin “ha dimostrato di essere una minaccia concreta”.
Parole che non poco stupiscono se appena si considera che il disimpegno di Trump al momento consisterebbe solo del progetto, concepito rispolverando –finalmente, viene da dire– la logica della Realpolitik di Henry Kissinger, di ritiro dall’Europa di 10.000 uomini, per lo più stanziati in Polonia ed in Romania, ovverosia del 50% appena degli ulteriore 20.000 uomini presenti nella EU come disposto dal Presidente Biden allorché è iniziato l’attacco russo all’Ucraina, e giammai in una riduzione dell’originario contingente già presente sul suolo del Vecchio Continente e men che mai in uno smantellamento, ancorché parziale, tanto delle basi quanto del potenziale offensivo statunitensi attualmente qui presenti, che di per sé, a scanso di equivoci, rappresentano di fatto un deterrente per Mosca.
Purtroppo, come se ciò non bastasse, fatto ancora più preoccupante, ecco che nel corso dello stesso intervento Draghi non si è limitato ad affermare di ritenere che ora come ora appare “inevitabile” dotarsi di una difesa comune, un fatto questo –per la verità– auspicato ed auspicabile da tempo (come comprovato dalla sottoscrizione di quel Trattato franco–tedesco dì Aquisgrana che ha evidenziato la fattiva presa in considerazione del problema che per un attimo Draghi ci ha fatto illudere di aver riportato astutamente alla nostra attenzione cogliendo al volo l’involontaria opportunità offertaci, per contingenti ragioni per lo più economiche, ma pure strategiche, da una amministrazione statunitense costretta ad accettare qualcosa –un esercito europeo– la cui creazione ha sempre boicottato nel corso degli anni), ma pure di reputare necessario, ed è questo il vero punctum dolens, il superamento del meccanismo dell’unanimità fra i Paesi della EU, il che, purtroppo per lui e per tutti noi, ha incontrovertibilmente evidenziato la sua decisamente scarsa, per non dire nulla, comprensione di cosa sia in realtà la EU così come prevista dai Trattati che la istituiscono: un sodalizio bancario, ma non certamente una entità statale coesa in grado di esprimere una politica interna, estera, fiscale, amministrativa nonché strategica in senso lato.
Ed ancora non di migliore impatto è stato, poi, il suo aver sottolineato che in questo frangente potrebbe essere utile, non ci voleva certamente lui per capirlo, un’unica “catena di comando di livello superiore che coordina gli eserciti eterogenei” che oltretutto “sia in grado di distaccarsi dalle priorità nazionali operando come sistema della difesa continentale”: una frase che, lasciando da parte l’ovvietà del concetto principale, per altro espresso in modo vago, lascia supporre –e questo sì che si configura come una preoccupante novità– che in questo articolato, ma non meglio definito, sistema vi sarebbero anche delle aree eufemisticamente definite di ‘contenimento’ di una eventuale avanzata di truppe nemiche che, proprio perché di ‘contenimento’, sarebbero classificate come sacrificabili in un contesto geopolitico continentale che lui stesso ha di fatto, visti i termini usati, escluso possa essere anche solo lontanamente simile ad una qualcosa di coeso e politicamente riconducibile ad una federazione di Stati sul modello degli Stati Uniti d’America.
Il che ci porta, ovviamente, a domandarci agli ordini di quale istituzione politica sovranazionale europea dovrebbe essere posta quella “catena di comando di livello superiore che coordina gli eserciti eterogenei” cui ha fatto riferimento, visto che al momento la sola disponibile sarebbe quella Commissione Europea a guida von der Leyen fin troppo controversa e sicuramente del tutto inidonea allo scopo.
Per somma il tutto è stato tanto palesemente, quanto assurdamente, trattato ipotizzando di doversi preparare a fronteggiare un conflitto tradizionale che difficilmente potrebbe essere tale qualora coinvolgesse l’intera EU e la Federazione Russa: una considerazione, questa, che non è dato capire da dove sia stata espunta anche se per certo non da un qualsivoglia trattato di strategia militare scritto dopo il Secondo Conflitto Mondiale visto che qualora si dovesse giungere ad un confronto militare con Mosca questo facilmente degenererebbe in un conflitto termonucleare dal quale l’Europa tutta uscirebbe letteralmente annientata, con buona pace dell’ombrello atomico francese gentilmente messo a disposizione, alquanto fantasiosamente e demagogicamente, da un Macron ben poco consapevole delle conseguenze di certi suoi atteggiamenti e dichiarazioni.
E se qualcuno fosse ancora disposto a dare credito a tutto quanto affermato da Draghi, ecco che sempre Draghi e sempre nel medesimo contesto istituzione del 19 Marzo di quest’anno –ma non sarà che dopo aver aspirato alla carica di Segretario Generale della NATO, ora ce lo ritroviamo desideroso di ricoprire quello di Segretario Generale di una simil NATO europea?– ci ha tenuto a sottolineare come nell’ambito del vasto piano di riarmo europeo sarebbe necessario anche un nuovo sistema di approvvigionamento di armamenti e munizioni che superi l’attuale frazionamento nazionale “deleterio” che ci rende clienti di Washington: una frase che, alla luce di quel termine fissato al 2030, appare concepita prendendole mosse da idee così raccogliticce e raffazzonate, da finire per tradursi in richiami e proposte a tal segno organizzate alla meno peggio da fargli mancare totalmente l’obiettivo di lasciare intendere competenze che palesemente non ci sono e giammai ci saranno.
Ed infatti, tanto per cominciare, credo che sarebbe opportuno cominciare a domandarsi come sia possibile che in questo pericoloso gioco mediatico delle parti, tanto all’ex Premier Draghi, che ritengo meglio farebbe a tornare ad occuparsi di economia e finanza piuttosto che improvvisarsi esperto di strategia militare, quanto al Presidente francese Mecron ed al Premier britannico Starmer sia sfuggito che allo stato attuale i due soli Paesi europei dotati di armamenti nucleari, Francia e Gran Bretagna, ne possiederebbero (stando ai dati disponibili grazie alla recente pubblicazione avvenuta in data 26 Marzo 2025 di un un articolo a cura della Federation of Amarican Scientists – FAS intitolato “Status Of World Nuclear Forces”) rispettivamente, la Francia circa 290 testate nucleari, di cui 280 schierate in modo strategico, ossia su missili intercontinentali e basi di bombardieri pesanti; mentre la Gran Bretagna ne possiederebbe circa 225, di cui 105 rubricate come “di riserva”, il che vuol dire non schierate su lanciatori, ma conservate in opportune sedi di stoccaggio e che, a fronte di questo schieramento, sempre secondo la succitata fonte, abbiamo che la Federazione Russa sarebbe dotata di ben 5.449 testate, di cui 1.710 già schierate, 2.589 di riserva e 1.150 ritirate e in attesa di essere smantellate: ogni ulteriore commento ritengo sia decisamente superfluo.
D’altro canto il buon giorno, come recita un antico proverbio, si vede dal mattino è quello di Draghi è iniziato con il suo discorso pronunciato davanti all’Assemblea generale dell’Onu il 21 Settembre 2022 nel corso del quale ebbe a dire “Le sanzioni che abbiamo imposto a Mosca hanno avuto un effetto dirompente sulla macchina bellica russa, sulla sua economia” ed ancora “L’esito del conflitto resta ancora imprevedibile, ma Kiev sembra avere acquisito un vantaggio strategico importante”
Quello che maggiormente sconcerta ed intristisce nell’ascoltare questa dichiarazione è la totale inadeguatezza di chi l’ha rilasciata, un’inadeguatezza palesata senza possibilità alcuna di appello ed oltremodo inaccettabile in chi ha ricoperto ruoli di altissimo livello (la Presidenza della BCE) ed in quel momento si esprimeva in qualità di Premier.
Certamente si potrebbe dire che è oltremodo facile parlare ora, a posteriori, beneficiando di informazioni che al momento del rilascio di quella dichiarazione non erano disponibili: peccato che la totale inconsistenza delle parole di Draghi fosse facilmente arguibile, o quanto meno prudentemente ipotizzabile, da chiunque avesse prestato la dovuto attenzione ai fatti , nonché –ed a maggior ragione– da quanti al momento facevano parte del novero degli spesso fin troppo pagati consulenti ministeriali, come testimoniato ampiamente da quanto pubblicato per lavoro e/o semplicemente condiviso nel lontano primo semestre del 2022.
Emblematica una nota dell’ANSA del 25 Aprile 2025 che testualmente recitava: “Le famiglie attingono dai loro risparmi per attutire l’impatto che i prezzi più elevati dell’energia hanno sui consumi” riprendendo quanto affermava la BCE in una anticipazione del bollettino economico nel quale si calcolava che l’impatto era circa cinque sei volte maggiore per le famiglie più povere. Per somma gli stessi economisti della BCE concordavano già all’epoca sul fatto che l’aumento dei prezzi dell’energia aveva implicazioni distributive significative, che richiedevano misure di politica fiscale mirate.
Sullo sfondo di quello che a mio avviso rappresenta il Primo Conflitto Mondiale dell’Era della Globalizzazione molto si parlava nel 2022 di sanzioni alla Russia, ma le banche continuavano a fare affari speculando su una guerra che poco aveva a che vedere con nobili ideali: come testimoniato dall’Asse segreto –ed alquanto pragmatico– tra la statunitense Goldman Sachs e gli oligarchi russi di cui il 19 Maggio 2022 ebbi a scrivere diffusamente da semplice analista in un articolo pubblicato su Gli Stati Generali con il titolo “L’asse segreto tra Goldman Sachs e gli oligarchi”
A Giugno del 2022 era già oltremodo evidente che le cosiddette sanzioni contro Putin stavano diventando sempre più ridicole visto che l’unico risultato evidente era quello di permettere alla Russia di vendere il proprio carburante a prezzi inusitati. Allo stesso tempo, le promesse fatte all’Ucraina per la fornitura di armi erano già diventate una barzelletta e la guerra non era già stata persa non a Kyiv ma, come voleva Putin, a Bruxelles. Noi Europei (americani compresi, visto che il figlio dell’ex Presidente Biden lavorava per i Russi) già all’epoca avevamo ampiamente dimostrato la nostra pochezza.
Per somma, correva il 1 Giugno 2022, cercando di capire il perché di quello strano attacco di Putin ebbi a scrivere: “… ma il fatto è che Putin ha preparato molto bene la trappola e NATO e UE ci sono caduti a piedi uniti! Lui voleva le sanzioni ben sapendo dal 2014 che sarebbero arrivate, sarebbero state più dure ed avrebbero riguardato l’ambito energetico e che, come tali, sarebbero state insostenibili per l’Occidente su tempi lunghi: ecco perché ha sferrato l’attacco con truppe e mezzi inadeguati. A Washington non importa nulla dell’Ucraina, meno di quanto importi il Donbass a Putin per via delle risorse minerarie qui presenti: risorse per le tecnologie avanzate. A Biden serviva rimettere in auge la NATO ed ha ottenuto il risultato voluto. Biden e già Trump prima di lui volevano un aumento delle spese militari degli Europei per … “difenderci” occupandoci: risultato ottenuto”.
Ed ancora: “Biden e Trump non vedevano di buon occhio una UE autonoma, integrata, coesa ed unita con un proprio esercito, politica estera e via discorrendo: il progetto è per ora saltato e chi sa quando smetteremo di essere una colonia targata USA! La cosa ve bene pure a Mosca : sicché … Gli obiettivi di minima degli USA sono stati tutti raggiunti ed ora la guerra non serve più perché potrebbe essere un problema per la sopravvivenza della NATO. Sul breve può tenere ma sul medio lungo periodo no perché la EU abbisogna del petrolio e del gas russo: aspettate che arrivi l’inverno e poi sappiatemi dire quanto terranno il punto gli Europei!“.
E va da sé che la previsione era corretta tant’è vero che per evitare sorprese fu necessario sabotare il Nord Stream il 26 Settembre 2022. Quello che va detto a chiare lettere è che si è trattato di un vero e proprio attacco condotto da Kyiv, a quanto pare, ma per certo con il beneplacito degli Stati Uniti di Biden che erano a conoscenza del piano con ben tre mesi di anticipo (anche se dubito che Trump abbia disapprovato il tutto visto che più volte si era espresso in precedenza –così come già pure Obama prima di lui– contro il Nord Stream fino a minacciare, già nel lontano Giugno 2019, sanzioni alla Germania per il suo rapporto con Mosca in materia energetica, il tutto con toni non meno decisi di quelli di Biden come quelli riportati dalla NBC il 7 Febbraio 2022 in un articolo significativamente intitolato “Biden vows U.S. will ‘bring an end’ to Nord Stream 2 pipeline if Russia invades Ukraine”), un Biden che a più riprese aveva espresso il desiderio che il gasdotto fosse distrutto, nonché stigmatizzato una Germania rea anche per lui di acquistare gas da Mosca.
Come espressi a suo tempo, a Puntin, invece, quello che interessava era che il conflitto di logoramento durasse visto che comunque fosse il petrolio ed il gas riusciva tranquillamente a venderlo e per somma le sanzioni ne favorivano il prezzo. Per somma l’aggancio del valore del Rublo all’oro con un cambio fisso ne consentiva l’aggancio per via indiretta allo USD che nel frattempo aveva cominciato a perdere il ruolo di moneta di scambio per antonomasia delle commodities e questo favoriva non solo la Russiai ma pure Cina ed India … sicché … il povero Zelenskyy si trovava ad interpretare il ruolo della marionetta agita da ben altri che lui.
Come già scrissi, all’epoca ero perfettamente consapevole del fatto qualcuno avrebbe potuto pensare che quelle riportate fossero solo delle congetture anche se confutai tale ipotesi scrivendo “Non credo proprio e me lo conferma una cosa: è del 23 di Maggio la notizia che gli Stati Uniti non vogliono fornire all’Ucraina gli M270 e gli Himars. Il perché è presto detto: potrebbero colpire le retrovie russe in Russia e questo Washington non lo vuole perché sarebbe una provocazione. Il fatto è che in queste situazioni occorre sempre avere ben presente che le guerre sono altro da ciò che si racconta ai più in quanto rappresentano un diverso modo di gestire interessi strategici, finanziari ed economici in genere.
Avere ben chiaro questo basilare concetto permette di leggere con occhi disillusi tanto quanto sin qui riportato, che certi rapporti emersi sempre a Giugno del 2022 tra Putin e Trafigura di cui ebbi a scrivere in un lungo articolo dedicato al tema intitolato “Trafigura, il colosso del trading minerario aiuta Putin ad aggirare le sanzioni”, così come delle perplessità espresse tanto circa l’attuale posizione in fieri della EU, quanto a riguardo di quella di segno diametralmente opposto di Trump sia verso il Cremlino che verso Kyiv.
A ben guardare quello preso in esame si configura come un complesso di fatti e circostanze che per quello che riguarda la EU evidenzia un decisamente rischioso brancolamento nel buio di cui rendono perfettamente testimonianza le posizioni di Mario Draghi, della Presidente von der Leyen, del Presidente Macron così come del Premier britannico Starmer; e per quello che riguarda gli Stati Uniti l’apparente dire e fare tutto ed il contrario di tutto di Trump e dei suoi più stretti collaboratori, Elon Musk ed il Vicepresidente J.D. Vance in testa.
Due sono i fronti che vedono impegnata la nuova amministrazione Trump:
- quello interno, che si segnala per essere il luogo di tutte quelle sfide che puntano ala ristrutturazione della pubblica amministrazione degli Stati Uniti tanto per quello che riguarda la sua efficienza, quanto per ciò che concerne la consistenza numerica dei suoi organici e la razionalizzazione della spesa complessiva; e
- quello estero che punta,
a) una volta azzerata ogni velleità autonomista della EU,
b)promossa la divisivitá interna alla EU con la minaccia delle nuove tariffe ed il sostegno dato ad ogni forza che prometta di perseguirla in qualche modo, e questo in linea con quanto sempre fatto da Trump anche durante la sua prima presidenza nel corso della quale mai è stato fatto mancare il supporto agli euroscettici anche per tramite di chi all’epoca non figurava formalmente nel suo entourage, ma gli era liminale in fieri. Si ricordi, a tal proposito, il famoso discorso pronunciato a Berlino il 29 Agosto 2020 da Robert F. Kennedy Jr. al Festival for Freedom and Peace, con il quale si invitarono i popoli europei a rivolgersi contro le loro Cancellerie ai tempi di quell’ultima pandemia. Di quella pandemia che vide certamente fin troppi errori commessi dalle leadership europee, ma guarda caso in un momento storico in cui le Cancellerie europee stavano in qualche modo puntando più che mai con diverso Draghi, con la Merkel, Macron, una probabilmente non ricattabile politicamente von der Leyen e perfino la Lagarde, alla costituzione di uno stato federale che fosse finalmente in grado di esprimere una politica interna ed estera comune, un esercito ed un modello di difesa comuni ed un ruolo geostrategico reale che … non poteva ed ancora non può piacere a Washington. Un interessante post pubblicato sulla pagina “Osservatorio Complottismo” all’epoca pose l’accento su un punto chiave ogniqualvolta ci si trova in presenza di grandi manifestazioni: capire chi c’è veramente dietro a queste cose, chi organizza queste manifestazioni (nello specifico grazie a Telegram) e perché. Il legittimo risentimento delle persone è un fatto ma è pure un fatto che chi le muove non lo fa per quello che coloro che aderiscono credono di ottenere scendendo in piazza: come sempre del resto nella storia. La questione era e resta molto più complessa e geopolitica e fa il paio, anche se non sembra, con quanto avvenuto, tanto per citare, in relazione ai flussi migratori. La salute pubblica, il benessere dei cittadini, il diritto alla vita, la pace in Ucraina e la fine della Guerra a Gaza… non c’entrano nulla, ma chi va in piazza non lo sa. L’obiettivo vero è per lo più sempre un altro ed in questo senso Trump non è uno stupido. Stupido è invece chi lo crede e non si rende conto che Biden o Trump la musica per la EU è sempre la stessa e l’obiettivo perseguito nello specifico è evitare la costituzione di una federazione vera degli Stati Europei per ovvie ragioni geostrategiche (una cosa che per certo non dispiace neppure a Mosca e a Beijing) in quanto chi controlla l’Europa controlla il mondo, e se non controlli l’Europa resti una potenza regionale. E ciò vale per gli States, forse più ancora che per la Cina e la Russia per una questione di banale geografia.
c)riaffermata la centralità politica del ruolo degli Stati Uniti nel contesto della NATO, salvo adottare tutte quelle strategie che possano evitare un confronto diretto degli Stati Uniti con Mosca cui Trump tende si una mano per rispolverare, come detto, la Real Politik di Kissinger, ma riservandosi la possibilità, all’occorrenza di agire anche militarmente, per interposta persona (la EU, al posto della NATO), al fine di aggirare il rischio rappresentato dall’Art.5 del Trattato istitutivo della NATO,
d) isolata la EU da ogni relazione commerciale –e di fatto politica– con la Federazione Russa, fatti salvi i rapporti sottobanco e le triangolazioni strategiche,
e) ottenuto il varo del programma di riarmo dei Paesi EU positivo per Washington su due fronti:
f) quello economico, essendo impossibile per la EU conseguire l’obiettivo senza commesse miliardarie a tutto vantaggio del comparto produttivo della difesa statunitense, nonché
g) quello strategico essendo anche il suo solo varo foriero di per sé stesso di un dispiegamento di truppe ed armamenti della Federazione Russa sulla sua linea di confine occidentale. Un qualcosa che promette di recare due importanti vantaggi a Washington dei quali il primo derivante dall’incremento della spesa militare di Mosca, ed il secondo derivante dal fatto che il costo per fronteggiare Mosca e congelare sul fronte occidentale una considerevole fetta degli uomini e dei mezzi del Cremlino finisce per essere tutto a carico degli… ‘alleati’ europei
A potersi occupare di quella Beijing che al momento rappresenta il vero antagonista degli Stati Uniti.
Di quegli Stati Uniti cui, ora come ora, serve urgentemente, anche per motivi di prestigio, staccare in qualche modo Mosca da Beijing, meglio se tenuta occupata sul versante militare ucraino dai servizievoli capponi di Renzo europei di manzoniana memoria, con il supporto dei Draghi e delle von der Leyen di turno, ma ora, a sorpresa, parrebbe pure dall’in pectore Cancelliere tedesco Merz cui la nomina in via di definizione e le drammatiche condizioni della sua Germania devono aver suggerito che forse prestarsi al doppio gioco trumpiano potrebbe in qualche modo tornargli utile, anche perché, per la verità, credo poco ad una dichiarazione di intenti resa in conseguenza di un qualsivoglia risveglio del militarismo tedesco in stile IV Reich vista la catastrofe patita con il III Reich.
Un risveglio stigmatizzato in via preventiva con toni vagamente isterici da un Cremlino che, a mio avviso, avrebbe forse fatto meglio a considerare la cosa come frutto di un possibile ben organizzato bluff tedesco (che molto può contare sulla poca voglia di Trump di avere tra i piedi chi può fare sì che i suoi piani saltino) per poter tornare in partita in quella Europa dal vago ‘profumo’ franco-britannico.
Difficile, infatti, leggere la cosa diversamente da così se mettiamo insieme due dichiarazioni di Merz che altrimenti sarebbe alquanto difficile poter conciliare con il suo bisogno di non alienarsi il favore di quella estrema destra tedesca targata AfD (Alternative für Deutschland) senza il quale non tanto il suo desiderio di diventare Cancelliere, ma quello di governare stabilmente il Paese, potrebbe miseramente naufragare in ben poco tempo visto il non propriamente occhio di riguardo con cui il secondo partito tedesco guarda da sempre a Zelensky.
Mi riferisco:
- in prima battuta a quanto dichiarato da Friedrich Merz dopo la vittoria alle elezioni dello scorso 23 Febbraio, allorché definí l’alterco del famoso venerdì tra il Presidente ucraino Volodymyr Zelenskyy, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e il vicepresidente JD Vance una “escalation preparata”. Un sospetto, questo, legittimamente espresso ai primi di Aprile nel corso di una conferenza stampa ad Amburgo affermando che dal suo punto di vista non si sarebbe trattato di una reazione spontanea agli interventi di Zelensky, ma di un contenzioso montato ad arte”. Una affermazione, questa, cui aveva fatto seguire un sua dichiarazione di intenti espressa con le seguenti parole: “Ora dobbiamo dimostrare di essere in grado di agire in modo indipendente in Europa“. In altri termini, il leader della CDU, aveva espresso l’opinione che l’incidente, trasmesso in presa diretta, e “segnato dalla brutalità” era scaturito “dal desiderio di umiliare, con l’obiettivo di far piegare il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyy attraverso le minacce, in modo che cedesse alle richieste dei suoi aggressori“. Una lettura legittima che lasciava intendere un’attenzione del tutto particolare per il Presidente ucraino, per di più confermata da quella relativa alla necessità che l’Europa faccia finalmente la propria parte che in tanti il 14 Aprile avranno messo in relazione con la dichiarazione che non poco ha indignato il Cremlino come riportato dal portavoce della Presidenza russa, Dmitry Peskov in più occasioni;
- ed in seconda battuta alla recente apertura del cancelliere in pectore tedesco alla consegna a Kyiv dei missili da crociera sempre osteggiata dal governo Scholz, ovverosia di quei missili Taurus che potrebbero quindi, in linea di principio, arrivare in Ucraina dopo che, per molto tempo, la Cancelleria ha escluso questa opzione. Peccato che, cosa che a quanto pare pressoché nessuno ha ricordato, il loro impiego dovrebbe avvenire sotto due condizioni imprescindibili:
a) l’utilizzo dei missili Taurus sarebbe possibile solo se inviati congiuntamente all’invio dei militari tedeschi idonei ad addestrare quelli ucraini all’uso della nuova arma. Per somma nel Marzo del 2024 l’ispettore generale della Bundeswehr Carsten Breuer, durante un briefing a porte chiuse della commissione per gli affari della difesa del Bundestag, avrebbe sottolineato che l’uso efficace di un missile da crociera richiede enormi quantità di dati che devono essere trattati da appositi sistemi tecnici, il cui numero è limitato e che, pertanto, con il collocamento degli stessi in Ucraina la Germania avrebbe perso l’opportunità di sfruttarne il potenziale, che di per sé stessa sarebbe “una questione elementare di sicurezza nazionale”, come osservato dal portale tedesco T-Online.
b) l’impiego efficace necessiterebbe dell’utilizzo dei dati satellitari forniti dalla NATO
Ora per certo la seconda condizione presupporrebbe non solo un OK da parte della NATO nel suo complesso, ma di fatto un coinvolgimento degli Stati Uniti in aperto contrasto con quanto perseguito da quel Trump che parrebbe bene intenzionato a starne fuori visto il tono usato commentando le conseguenze dell’ultimo attacco, anche se la guerra naturalmente, purtroppo, colpisce i civili non essendo un gioco da tavolo, piaccia o non piaccia.
Vi è da dire, per somma, che l’obiettivo indicato da Merz, il famoso ponte di Kerch, sarebbe guarda caso quello stesso ponte che lo scorso anno, nel Marzo del 2024, si trovò al centro di una polemica analoga per una presunta fuga di notizie frutto dell’intercettazione da parte di Mosca di una conversazione, stranamente (?) in chiaro avvenuta il 19 Febbraio 2024, tra alti militari tedeschi, tra i quali figuravano anche il Gen. Ingo Gerhartz, il Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica tedesca, ed il Brig.Gen. Frank Gräfe, avente per oggetto, fu detto, lo stesso tema, nonostante il secco rifiuto dell’attuale Cancelliere uscente Scholz di dare il suo assenso.
Per somma, nel corso della stessa conversazione sarebbero emersi diversi particolari interessanti che ad un anno di distanza non paiono affatto essere divenuti secondari e che riguardavano i problemi logistici legati al tipo di obiettivo che per sua natura avrebbe richiesto, ed ancora richiederebbe, una particolare assistenza nella pianificazione della missione che è facile sarebbe stata vista ed ancora sarebbe vista come un coinvolgimento tedesco e una “linea rossa per il governo” fermo restando che, a detta dei militari coinvolti, l’uso del Taurus non avrebbe cambiato il corso della guerra, ed è velleitario pensare che lo potrebbe mutare oggi.
Trump non è folle: una strategia USA fredda, pianificata e funzionale
Alla fine il dato più rilevante che emerge da tutto quanto qui riportato depone a favore di una lettura della strategia di Trump meno folle di quanto la si voglia far apparire, e questo anche alla luce di una affermazione di non secondaria importanza che evidenzia il gioco di sponda in atto che la dice lunga su molte cose.
Il giorno 3 Marzo 2025 rivolgendosi ai membri della Camera dei Comuni, il Premier britannico Keir Starmer ha esortato a rafforzare i legami tra Regno Unito e Stati Uniti “per la nostra sicurezza, per la nostra tecnologia, per il nostro commercio e i nostri investimenti”, aggiungendo “Sono e saranno sempre indispensabili e non sceglieremo mai tra le due sponde dell’Atlantico”: tanto il giorno dopo l’incontro da lui stesso promosso che ha visto convergere a Londra decine di leader europei e delegati del Canada e della Turchia per parlare del futuro dell’Ucraina e concordare di aumentare gli sforzi di difesa per garantire “una pace forte, una pace giusta, una pace duratura” in Ucraina aggiungendo che “Il Regno Unito svolgerà un ruolo di primo piano con, se necessario, truppe di terra e aviazione”
Parole che devono farci riflettere e capire che quanto appare, come al solito, non è quello che in realtà sta accadendo sopra le nostre teste ed è frutto di una ben concertata strategia che dove tutto ed il contrario di tutto apparentemente di Trump fa parte di una articolata pianificazione che dovrebbe essere analizzata con la testa e non con la pancia come per lo più vediamo accadere.