L’Italia in Siria non ha sentito arrivare i ribelli. Roma trattava con Assad mentre al Jolani era già alle porte di Damasco. Ma non se ne sono accorti?
Il fulmineo cambiamento della situazione siriana, da anni teatro di cruenti conflitti dapprima con l’instaurazione dello Stato Islamico, successivamente con la proposizione ed il sigillo di un’alleanza quantomeno inedita tra lo Stato dalla governance alawita, a maggioranza sunnita guidato da Bashar al Assad ed il regime teocratico sciita di Teheran, non ha colto alcuno di sorpresa.
Il regime dittatoriale di Damasco, da anni era già al centro delle attenzioni delle varie Intelligence, in primis quella israeliana, a causa della presenza di forze iraniane, rappresentate dalla Forza Quds delle Guardie rivoluzionarie (i Pasdaran), che agivano in funzione anti-israeliana ed in supporto alle azioni dei terroristi di Hezbollah libanesi con il beneplacito del deposto presidente.
A seguito dell’accertamento delle funzioni ricoperte da tali presenze, ritenute dannose per la sicurezza del territorio dello Stato ebraico, da settimane i jet dell’IAF martellavano le posizioni avanzate dei miliziani sciiti che, nel contempo, avevano inflazionato i cieli di Israele con il continuo lancio di razzi e missili dalla parte siro-libanese delle Alture del Golan.
I paesi arabi, nel contempo, avevano iniziato un progressivo riavvicinamento all’establishment siriano allo scopo di indurlo ad accordarsi con Teheran per il ritiro delle truppe iraniane dal suolo siriano con il duplice scopo di ottenere il rientro degli islamisti sciiti in Iran e bloccare il traffico di stupefacenti in mano, tecnicamente in concorso tra loro, tra iraniani e siriani, che transitavano attraverso tortuosi itinerari sia verso il Libano che attraverso i Paesi del Golfo Persico con destinazione finale l’Italia.
Il 28 maggio scorso, il direttore dell’AISE, generale Giovanni Caravelli, insediatosi alla guida dell’Agenzia per gli esteri nel maggio 2020, si sarebbe recato in visita a Damasco incontrando il presidente siriano Bashar al-Assad e il capo dell’intelligence siriana, Housam Louka. Durante l’incontro, esprimendosi per conto del Governo e di altre nazioni europee, avrebbe inteso relazionarsi con il dittatore siriano allo scopo di una normalizzazione dei rapporti tra i due Paesi, ponendo sul piatto della bilancia un alleggerimento delle sanzioni imposte a Damasco per ottenere un deciso cambio di rotta sulla questione della crisi migratoria verso l’Europa con la creazione di una “zona sicura” nella zona di Homs, terza città della Siria situata nell’ovest del paese.
Il 26 luglio successivo, nell’ambito del cambio di strategia nei rapporti con la Siria, l’Italia ha provveduto alla nomina come inviato speciale di Stefano Ravagnan, un’iniziativa autonoma in seno alla “comunità” dei G7, ristabilendo relazioni diplomatiche ufficiali con Damasco, senza tenere in debito conto delle atrocità commesse da un regime sanguinario il cui dittatore si era macchiato di crimini contro l’umanità.
Con il precipitare della situazione e l’evoluzione degli eventi che hanno condotto l’oramai ex presidente siriano a ottenere asilo politico a Mosca, l’avvento di Muhammad Al-Jolani, a capo del gruppo terroristico Hayat Tahrir al-Sham, ad oggi ritenuto tale dalla comunità internazionale ma sostenuto comunque dalla Turchia a guida Erdogan, l’8 dicembre scorso un gruppo di miliziani armati ha fatto irruzione nella residenza dell’ambasciatore italiano, sparando contro un muro esterno e rubando tre automobili, pur senza nuocere al personale diplomatico. L’evento ha sollevato preoccupazioni politiche, specialmente considerando la recente decisione del governo italiano di riaprire la propria ambasciata in Siria dopo anni di chiusura a causa della guerra civile.
Ma non è tutto. A seguito di alcune indiscrezioni trapelate da più fonti, in relazione ai rapporti intercorsi tra Italia e Siria, il webmagazine in lingua araba Independent ha rivelato in un video il contenuto di parte della documentazione rinvenuta dai miliziani ribelli negli uffici di Housam Louka, capo del dipartimento di sicurezza generale del regime di Assad, successivo alla sua fuga. Tra i documenti di interesse, è stata rilevata una pagina ove viene trascritta una conversazione, intercorsa il 5 dicembre, tre giorni prima della definitiva caduta del regime di Assad, tra lo stesso Louka e il generale Giovanni Caravelli.
Nell’interlocuzione, il capo dell’AISE avrebbe espresso il sostegno dei bombardamenti dell’aeronautica russa contro le forze ostili al regime che, tra l’altro, includevano un raid che ha visto coinvolta una scuola cristiana ad Aleppo. Tale specifica, seppur discutibile affermazione, stride con la linea ufficiale dell’Italia, assai critica e contraria alle attività dell’esercito russo nella guerra in Ucraina e, più in generale, nell’area mediorientale.
Dalla documentazione di Louka, diretta al presidente Assad, si evince come lo stesso avrebbe ricevuto una telefonata dal generale Giovanni Caravelli, capo dei servizi segreti esteri italiani, effettuata su sua richiesta, che “avrebbe garantito il sostegno del suo Paese alla Siria in questo momento difficile spiegando anche quanto sia importante il sostegno della Russia in Siria in questo momento”.
Alcune testate online statunitensi, britanniche e israeliane hanno ripreso e pubblicato parte dei documenti, stigmatizzando il comportamento tenuto dal Governo italiano nei confronti del regime siriano, completamente avulso dal contesto sia dell’UE sia anche della NATO, per non nominare Israele, Paese con il quale l’Italia ha da sempre tenuto un atteggiamento non sempre trasparente, al di là della cordialità diplomatica palesata durante gli incontri ufficiali tra rappresentanti dei due establishment.
In generale, la stampa straniera, al corrente della vicenda, pone l’accento “sull’imbarazzo per l’Italia”, rea di avere teso la mano verso Assad durante gli ultimi giorni del regime tentando di “sostenerlo a continuare a mantenere il potere”.
Ma intendiamo raccogliere altre impressioni suscitate dall’atteggiamento ambiguo del nostro Paese in merito alla questione siriana.
Infatti un’accurata analisi proposta dal web magazine Kurdpress, seppur antecedente la caduta di Assad, suggerisce che: “La negoziazione diretta dell’Italia con il regime di Assad presenta sfide significative, e la divergenza dalle politiche multilaterali dell’UE potrebbe avere gravi implicazioni politiche per la disputa siriana. I Paesi arabi sono stati principalmente motivati da tre questioni principali che influenzano direttamente la loro sicurezza e riflettono preoccupazioni geopolitiche: ridurre l’influenza iraniana in Siria, reintegrare la Siria nella comunità araba, affrontare il traffico illecito di droga destinato ai Paesi arabi, e creare condizioni per il ritorno volontario dei rifugiati siriani.
Di conseguenza, i Paesi arabi hanno stabilito un approccio negoziale noto come “passo dopo passo” con il regime di Assad, che implica la costruzione di fiducia tra le parti attraverso concessioni reciproche su questioni controverse. Tuttavia, dopo aver mostrato buone intenzioni, il regime di Assad è stato riammesso nella Lega degli Stati Arabi nel maggio 2023, con l’obiettivo di incentivarlo a portare cambiamenti tangibili e pratici in linea con le tre richieste principali dei Paesi arabi. Ma, dopo oltre un anno di normalizzazione, la situazione in Siria può essere valutata come segue: non ci sono stati cambiamenti tangibili nella risposta di Assad alle richieste arabe. L’Iran continua a dispiegare le sue forze e i suoi alleati nelle aree controllate dal regime, con la presenza dei leader del Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche (IRGC), mentre i bombardamenti israeliani sui siti iraniani sensibili indicano che la dottrina iraniana della “strategia avanzata” rimane invariata. Le attività delle reti di droga sono triplicate dall’inizio della normalizzazione con il regime di Assad. Questo sviluppo riflette l’uso continuo da parte del regime del traffico di droga per esercitare maggiore pressione sui Paesi arabi, esportando crisi di sicurezza ai vicini per ottenere maggiori vantaggi politici. Le condizioni per il ritorno volontario dei rifugiati siriani non sono migliorate. Monitoraggi sui diritti umani riportano che il regime di Assad ha arrestato un numero significativo di rifugiati tornati, dimostrando la sua riluttanza ad accogliere i siriani nel loro Paese. In conclusione, quali lezioni possono trarre i Paesi europei dall’esperienza araba? Gli sforzi di normalizzazione falliti con il regime di Assad, definiti un disastro dall’esperto di Siria Charles Lister, mettono in evidenza l’incapacità del regime di adempiere agli impegni presi. Negoziare con una parte che non rispetta i propri impegni, soprattutto in un contesto di dilemmi interni irrisolti, rappresenta una soluzione indecisa per la disputa siriana. La perdita di oltre il 30% del territorio siriano a tre principali parti coinvolte nel conflitto, l’influenza diffusa di Iran e Russia, e il proliferare di attività criminali transnazionali – in particolare le reti di droga legate al regime – aggravano la situazione. Inoltre, è fondamentale riconoscere che la normalizzazione delle relazioni con il regime di Assad non risolverà la crisi dei rifugiati, come alcuni Paesi avevano sperato. Inoltre, le intenzioni iniziali dell’Italia erano affrontare questioni interne, come il rimpatrio dei rifugiati siriani e la gestione del populismo. Tuttavia, non è chiaro se questi obiettivi siano stati raggiunti. Segnali iniziali indicano che la situazione dei rifugiati rimane in gran parte irrisolta e persistono preoccupazioni sui diritti umani. La strategia italiana rischia di essere percepita come una mossa politica mal calcolata, con benefici limitati per rispondere alle pressioni interne. Vari aspetti del conflitto siriano suggeriscono che non è ancora giunto alla fase di maturità in cui discussioni politiche e normalizzazioni diplomatiche che possano essere efficacemente perseguite. Pertanto, negoziare direttamente con il regime di Assad presenta sfide significative, e la divergenza dell’Italia dalle politiche multilaterali dell’UE potrebbe avere gravi implicazioni politiche per la disputa siriana“.
Un’altra voce che si è levata a stigmatizzare l’operato politico italiano riporta che “Giovanni Caravelli, capo del Servizio di Sicurezza Estera italiano, avrebbe incontrato recentemente Bashar al-Assad e Hosem Louka, capo dell’intelligence siriana. Durante il colloquio, Caravelli avrebbe espresso il desiderio di diversi paesi europei, inclusa l’Italia, di normalizzare le relazioni con Damasco. Sono state discusse proposte come la creazione di una zona sicura nei pressi di Homs, supportata dall’Europa, per affrontare la questione dei rifugiati siriani, in cambio dell’allentamento delle sanzioni europee contro la Siria”.
Una generale stesura delle argomentazioni che pone in cattiva luce l’operato italiano nel teatro mediorientale, cosa peraltro non nuova e, in considerazione dei disastri diplomatici che negli ultimi mesi hanno avuto per protagonisti i ministeri di Esteri e Difesa, probabilmente male informati dagli “addetti ai lavori” (in primis l’AISE), pongono seri interrogativi sul ruolo che l’Italia potrà ricoprire in futuro in seno all’UE ed alla NATO.
Ma per avere chiaro il quadro della situazione intendiamo proporre, per completezza di informazione, la traduzione di parte di uno dei documenti in argomento redatto dal già citato capo dell’intelligence siriana, Hosem Louka: “Data: 09/01/2024 – Rapporto presentato all’attenzione del Presidente della Repubblica: Ho ricevuto una chiamata dal maggiore generale (Ahmed Hosni) direttore generale dei servizi segreti giordani, che ha espresso la sua preoccupazione per quello che succede vicino alla frontiera di Hama, esprimendo la sua sorpresa per ciò che è successo e per come l’esercito siriano si sia ritirato della città creando una situazione estremamente critica, come anche ad Homs. Le forze nemiche avanzano, mentre l’esercito arabo siriano si ritira strategicamente per evitare perdite ingenti e riorganizzare le proprie linee difensive. Tuttavia, l’avanzata dei gruppi armati estremisti ha effettivamente raggiunto i sobborghi di Homs, rendendo necessaria un’operazione di contenimento immediata. Gli agenti sul campo riferiscono che le infrastrutture della città sono in grave pericolo. I gruppi armati ribelli (chiamati nel rapporto “forze terroristiche”, ndr) hanno dimostrato capacità operative significative e velocità di movimento. Abbiamo ricevuto indicazioni che i ribelli hanno anche esteso la loro presenza nella regione sud-occidentale, il che rappresenta una minaccia imminente per la sicurezza nazionale.
Durante questo periodo, si è svolta una comunicazione diretta con l’intelligence italiana. Il capo del Servizio di Sicurezza Giovanni Caravelli ha risposto a una nostra richiesta urgente di supporto. Il sostegno offerto è stato limitato, ma sufficiente per garantire la protezione di aree chiave e lo scambio di informazioni logistiche. Caravelli ha sottolineato che l’assistenza fornita avviene su base temporanea e non implica una cooperazione ufficiale tra i due governi.
Parallelamente, è stato segnalato che l’intelligence americana sta monitorando la situazione e ha interrotto alcune operazioni sul campo in previsione di un’escalation nella regione settentrionale. È stato inoltre confermato che le forze americane hanno lasciato punti di controllo strategici, consentendo alle forze terroristiche di avanzare ulteriormente”.
Il rapporto si conclude evidenziando la necessità di consolidare il controllo militare nelle città principali, prevenendo al contempo che ulteriori elementi esterni interferiscano con le operazioni interne.
Da un’analisi del documento si evince la preoccupazione dello staff di Assad per le operazioni militari nelle città di Hama ed Homs ed alla situazione dell’esercito siriano che si ritira strategicamente per evitare perdite significative contro le forze ribelli. Si accenna a generici “gruppi terroristici” che avanzano rapidamente nelle città, e alla necessità di coordinare azioni idonee a proteggere la capitale e altre regioni chiave.
Ma nel dettaglio, viene menzionata, nuovamente, la comunicazione intercorsa tra Hosem Louka e l’intelligence italiana, con riferimento esplicito al “capo del servizio italiano”, identificabile nel generale Giovanni Caravelli, che avrebbe offerto assistenza temporanea dietro specifica richiesta delle autorità siriane. Tale supporto viene descritto come un aiuto di natura logistica e operativa, nonostante si riconosca il rischio delle operazioni.
Appaiono subito chiare le negative implicazioni geopolitiche che si contestualizzano nel coinvolgimento italiano in un contesto così delicato che solleva interrogativi sulle relazioni internazionali tra il deposto regime siriano e alcuni Paesi europei. Inoltre, il documento suggerisce una temporanea collaborazione operativa per “preservare la stabilità”, un’intenzione smentita dai fatti nel frattempo decorsi.
Ma l’interrogativo che si presenta agli occhi del lettore è lampante e lo esprimiamo in termini chiari e concisi: ma i nostri Agenti dell’AISE, le loro antenne in loco, la rete di informatori, che cosa hanno visto o sentito, nel frattempo. E che cosa hanno relazionato ai vertici dell’Agenzia per produrre un così disastroso effetto?
Ciò che è avvenuto in Siria è apparso da subito lampante. Un effetto domino che ha coinvolto un mix di gruppi ostili al regime di Assad composto da jihadisti, miliziani curdi a capo dell’esercito democratico siriano e dissidenti uniti, solo all’occorrenza, con l’obiettivo di risolvere la questione siriana con una rapidità degna di una “BlitzKrieg”, peraltro organizzata da tempo dagli jihadisti subordinati ad Al Jolani, come anche successivamente emerso.
Nel contempo, in Italia, ci si affrettava a stigmatizzare gli avvenimenti nel teatro siriano con dichiarazioni da parte del ministro degli Esteri Tajani, in relazione all’irruzione dei miliziani di Hayat Tahrir al Sham nella nostra Legazione diplomatica di Damasco, che il 7 dicembre scorso, ebbe a dire: “Non ci sono stati feriti o violenze nei confronti del personale diplomatico, ma sono state rubate tre automobili. É stato rassicurato che l’ambasciatore italiano continua a lavorare fuori sede per garantire la sicurezza dei connazionali. Ribadisco che la priorità resta la protezione degli italiani presenti in Siria, ed assicuro un monitoraggio costante della situazione”. Nulla più.
Monitoraggio? Ma, perché, nei mesi precedenti gli eventi, in cosa erano impegnati gli “addetti ai lavori”?
Oltremodo, proprio in questi giorni si è assistito ad una tragicommedia inspiegabile che ha visto coinvolti numerosi governi occidentali, in una forsennata rincorsa volta a riallacciare una ripresa delle relazioni diplomatiche con il neo insediato governo transitorio guidato ad interim da Mohammed al Bashir, acclarato membro dei Fratelli Musulmani, nominato dal sedicente ex jihadista, Muhammad al Jolani, già membro di Al Qaeda e Isis, attualmente a capo della fazione Hayat Tahrir al Sham (ex Jabhat al Nusra). Una sorta di “banda armata” legalizzata resa innocua, momentaneamente, solo grazie all’intervento israeliano che, con i ripetuti raid aerei condotti in Siria onde evitare che gli armamenti, i velivoli da combattimento, i depositi di armi chimiche e biologiche, cadessero nelle mani dei nuovi governanti.
Nonostante ciò, Gerusalemme, ha inteso muovere i primi passi ponendo delle condizioni tangibili al nuovo establishment di Damasco, chiarendo che non vi sarebbe stata alcuna ulteriore avanzata in territorio siriano da parte dell’IDF a condizione di rispettare i nuovi confini comprensivi di ambo le parti delle Alture del Golan, occupate da Israele al solo scopo di creare una zona cuscinetto tra Stato ebraico, Libano e Siria. Anche in questo contesto bypassando l’operato inconcludente se non addirittura deleterio della missione UNIFIL.
L’operato israeliano, come già riportato in un precedente testo, ha ottenuto i risultati programmati. Chiudere i “rubinetti” dei rifornimenti iraniani verso i terroristi di Hezbollah, di fatto quasi azzerando le loro capacità offensive; fornire un territorio idoneo ad uno stanziamento della popolazione drusa che, nel contempo, ha chiesto di essere inclusa nello Stato ebraico; creare una zona di sicurezza oltre la linea del fiume Litani per scongiurare i rischi di sconfinamenti; creare le condizioni per impedire il lancio di vettori a lunga gittata verso il territorio israeliano; azzerare le capacità operative delle milizie di Al Quds e IRGC in Siria e rendere plausibile un collegamento con il Kurdistan, in chiave anti-turca. Il tutto, come d’uopo, in estrema solitudine, ma con pragmaticità, capacità strategica, logistica e, soprattutto, con il quotidiano intreccio ed elaborazione di informazioni dettagliate raccolte nei diversi teatri mediorientali idonee a fornire un reale quadro situazione. Ovvero: tutto ciò che Italia & C. non sono mai stati in grado di fare.
E come ciliegina sulla torta, in cima a questa marea di mostruosità diplomatiche italiote, si pone la dichiarazione del nuovo governo transitorio di Damasco, che in un comunicato ha “espresso il suo apprezzamento all’Italia e ad alcuni altri Paesi arabi che hanno già ripreso l’attività diplomatica nel Paese”.
C’è da andarne fieri…