USA e asset russi: la Waterloo dell’economia occidentale.
“Gli Stati Uniti hanno stanziato 20 mld di USD per l’Ucraina, finanziati con i profitti dei beni russi sequestrati”. Così la BBC nella giornata del 10 Dicembre 2024. Ed ancora: “Il sostegno economico costituisce una parte significativa di un pacchetto di 50 mld di USD concordato, si fa per dire, dai Paesi membri del G7 e annunciato a giugno. Il finanziamento degli aiuti attraverso i beni congelati significa che la Russia deve “sostenere i costi della sua guerra illegale, invece dei contribuenti”, ha dichiarato il Segretario del Tesoro statunitense Janet Yellen”.
Come noto ad ottobre, il G7 ha concordato di utilizzare gli interessi generati dagli asset —circa 3 mld di USD all’anno— per finanziare crediti per 50 mld di USD in 30 anni. I pagamenti dovrebbero iniziare entro la fine dell’anno. Nel frattempo la EU ha impegnato più di 18 mld di EUR finanziati nello stesso modo.
In linea con la decisione della White House il Tesoro americano ha dichiarato martedì 11 dicembre 2024 di aver trasferito la cifra in questione a un fondo della Banca Mondiale che ne curerà la gestione, da cui l’Ucraina potrà attingere quanto le abbisogna, è sempre la Yellen a parlare, “per sostenere i servizi di emergenza, gli ospedali e altre basi della sua coraggiosa resistenza“.
In realtà negli auspici della White House, stando a quanto diffuso dalla Reuters, metà della cifra avrebbe dovuto essere destinata a finanziare gli approvvigionamenti militari, ma poiché questo avrebbe richiesto l’approvazione del Congresso ecco che Biden –o chi per lui– ha deciso di soprassedere, per lo meno dal punto di vista formale.
L’indiscrezione –e questo è un ulteriore esempio dell’arroganza dei neocon– è giunta a poche settimane dall’insediamento del Presidente degli Stati Uniti Donald Trump al posto di Joe Biden, che a più riprese ha dichiarato di voler porre fine alla guerra in Ucraina in tempi brevi.
La notizia era nell’aria, ma era lecito ritenere che dopo la debacle elettorale l’attuale l’establishment avrebbe usato una maggiore prudenza nell’interesse degli Stati Uniti, della intera compagine dei Paesi Occidentali nonché della stessa Ucraina: nulla di tutto questo è stato fatto e le conseguenze potrebbero (il condizionale è qui stato utilizzato per mera decenza) essere devastanti, ma non per la Federazione Russa, la cui macchina propagandista trarrà non poco beneficio da una tale decisione così come Beijing ed il suo progetto geostrategico meglio noto con il nome di BRICS: questo per non parlare dei benefici che potranno trarre da tutto ciò quanti a Beijing, a Tel Aviv, a New Dehli, in Sudamerica così come in Africa, ma pure a Mosca abbisognano di capitali per finanziare i propri progetti di sviluppo, ovvero collocare il proprio debito pubblico.
Per somma la dichiarazione del Segretario del Tesoro Statunitense, Janet Yellen, ha di fatto non poco messo in imbarazzo l’intero establishment statunitense allorché ha pure parlato di “Guerra illegale”, non fosse altro che per quanto gli Stati Uniti hanno fatto in Iraq allorché scatenarono una guerra la cui legittimità venne dichiarata sulla base di un cumulo di bugie, nonché per l’arroganza con cui un semplice funzionario, seppure di alto rango, degli Stati Uniti ha evidentemente reputato di essere in possesso dell’autorità e della giurisprudenza necessarie per poter ascrivere una patente di legalità ad un conflitto, facendo per giunta sfoggio di un credo vetero marxista decisamente degno di miglior causa in un simile frangente.
Quello della confisca dei beni russi per ripagare i danni della guerra in atto è un tema che è stato dibattuto per diverso tempo in quanto non pochi sono gli aspetti legali che caratterizzano la singolare vicenda qui presa in esame e che merita un approfondimento su questo fondamentale aspetto di valenza non solo tecnica che ha preso le mosse dal dato relativo all’ammontare complessivo dei danni in questione che la World Bank ha stimato essere pari, a tutto l’agosto 2023, a circa 410 mld di USD e che più di qualcuno, qui in Occidente, ha ritenuto suo diritto pensare di poter finanziare con la definitiva confisca dei beni russi.
Una decisione, quest’ultima, che come tale avrebbe presentato così tanti intoppi dal punto di vista legale da indurre gli Stati Uniti ed il Regno Unito a dichiararsi indisponibili ad adottare un tale tipo di scelta operativa. In questo stesso frangente l’Unione Europea ha formulato una proposta differente: trasferire gli asset in questione in un fondo di investimento e utilizzare i proventi come sostegno per la ricostruzione dell’Ucraina ed a tale scopo il Parlamento Europeo ha avanzato un progetto di legge per la revisione delle norme sulla confisca dei beni che presuppone il prendere in esame la differenza esistente tra i beni di proprietà privata e quelli pubblici della Federazione Russa.
Per quello che riguarda i beni privati si ha che le norme internazionali e la gran parte di quelle nazionali europee la confisca di un bene presuppone il preventivo accertamento che tale asset sia stato acquisito attraverso attività criminali. Questo approccio offre, però, il fianco a contromisure da parte della Russia (e di altri Paesi), con potenziali quanto significative ripercussioni sia sulle aziende occidentali che operano all’estero sia sulla transizione di molti Paesi verso quegli stessi modelli ispirati allo stato di diritto promossi proprio dall’Occidente.
Per quello che invece riguarda i beni statali, visto il sussistere degli estremi per condannare Mosca per crimini di guerra e per la violazione dei principi sanciti dalla Carta delle Nazioni Unite, questo potrebbe creare le basi giuridiche per un’eventuale espropriazione degli asset pubblici russi. Seppur nei limiti del proprio mandato, la Corte Internazionale di Giustizia (CIG) sarebbe la sede naturale per affrontare questa disputa. Peccato che il tutto presupponga che il crimine sia accertato e riconosciuto come tale in una opportuna sede dibattimentale in quanto, in caso contrario, la cosa si configurerebbe come una farsa legale la cui attuazione finirebbe per esporre chiunque nel mondo ad un tale modus operandi che a conti fatti decreterebbe la fine stessa dello stato di diritto a livello internazionale.
È ovvio che adottando una tale linea di condotta qualsivoglia Paese abbia asset depositati presso istituzioni finanziarie nei Paesi Occidentali sarebbe legittimamente motivato a trasferirli altrove in via cautelativa per ovvie ragioni che non vale neppure la pena sottolineare. Tanto per non parlare della totale perdita di credibilità dell’Occidente dinanzi alla comunità internazionale visto che non poche sono state le situazioni in cui proprio l’Occidente ha assunto comportamenti censurabili non meno di quelli posti in essere dalla Federazione Russa, sicché stupisce non poco che la cosa sia stata anche solo presa in considerazione.
All’epoca, alla luce del vigente contesto legale era apparso evidente quanto fosse difficile trovare nuovi metodi accettabili e non controversi per una definitiva espropriazione dei beni russi anche perché anche il solo trasferimento in un fondo degli stessi, come poi è stato fatto per utilizzare solo i proventi della loro gestione non tutela gli interessi eventualmente maturati sugli investimenti, così come non mette al riparo dai rischi quali perdite e fluttuazioni.
Di fatto ci troviamo dinanzi a qualcosa che la propaganda Occidentale può spacciare per azione legittima solo là dove può esercitare il necessario controllo, ma non altrove ed in primis in quelle aree che non cadono sotto la sua giurisdizione effettiva e nelle quali la critica all’Occidente può essere portata avanti senza troppe difficoltà per logica.
É evidente che in un contesto geopolitico globale mutato e mutevole come quello attuale, risulta difficile poter costruire un consenso globale riguardo attori e strumenti necessari alla ricostruzione. Per somma i diversi posizionamenti politici sull’invasione russa creano a cascata evidenti ostacoli anche per questa successiva e si auspica imminente fase di rinascita che su queste basi rappresenta un qualcosa foriero di uno dei peggiori autogol dell’intera storia dell’Occidente e l’inizio della fine della leadership degli Stati Uniti che assumerebbero la veste del satrapo assolutista legittimato solo dalla forza delle sue armi e dei metodi coercitivi usati per affermare la sua volontà.
Come non si siano resi conto di questo alla White House i consiglieri del Presidente Biden, così come quelli delle Cancellerie europee e della Commissione nonché del Parlamento europeo resta un mistero che meriterebbe, prima che sia troppo tardi, una adeguata riflessione ed un ripensamento nell’interesse di tutti.
Questo per quanto attiene in prima battuta alla sfera politica ed agli aspetti legali della controversa vicenda.
Ben più grave è quanto a tale decisione è correlato dal punto di vista finanziario: una decisione assolutamente sconsiderata per tutto ciò che potrebbe comportare, e crediamo che comporterà in futuro, in quanto si tratta palesemente di una violazione del diritto internazionale per quello che riguarda i privati cittadini: un qualcosa che limiterà ulteriori investimenti in futuro o, al contrario, significherà che il governo degli Stati Uniti e i privati cittadini statunitensi dovranno pagare tassi di interesse più elevati per collocare il loro debito o per ottenere investimenti dall’estero, e questo per coprire questa nuova imprevisto tipologia di rischio.
Tanto senza contare che il governo statunitense ha esposto i beni privati dei propri cittadini nella Federazione Russa e gli investimenti degli stessi nella Patria di Putin ad azioni di ritorsione come il sequestro dei loro beni e investimenti colà a vario titolo basati: una cosa del genere non si era mai vista nemmeno durante la Seconda Guerra Mondiale.
Questo modus operandi, tra l’altro, potrebbe in linea di principio, condurre ad un deprezzamento dei titoli del Tesoro americano detenuti nei portafogli titoli di qualsiasi istituto finanziario, con tutto ciò che questo potrebbe comportare da punto di vista della offerta di danaro da parte degli stessi, nonché la creazione di una bolla finanziaria nel mercato dei derivati.
A chi dovesse sorridere leggendo queste ultime considerazioni mi permetto di consigliare di rivedere la propria posizione alla luce di quanto solitamente attiene ed avviene normalmente nei mercati finanziari nonché a margine di essi: luoghi dove tutto gioca un ruolo ed ha un peso decisamente diverso da quello che al di fuori di quel contesto accade.
La finalità dei mercati è il profitto e ogni tipo di turbativa, ogni fatto nuovo, ogni appannamento, ogni voce incontrollata ha un effetto sull’alter ego affatto secondario visto che l’obiettivo finale, l’unico che interessa è il profitto e la sua massimizzazione abbassando i rischi, ovvero volgendoli a proprio favore perché la guerra è guerra, ma gli affari sono affari!
Come noto il ricorso alle sanzioni in risposta all’invasione russa dell’Ucraina poggia in parte sul congelamento delle riserve della Banca Centrale della Federazione Russa e sul divieto di accesso al sistema SWIFT–Society for Worldwide Interbank Financial Telecommunication per le banche Federazione ed indipendentemente dalle valutazioni morali in campo, così come da quelle politiche, non si può prescindere da una valutazione tecnica relativa ai possibili riflessi che l’azione intrapresa dagli Stati Uniti potrebbe comportare per il futuro stesso dello USD e dell’EUR come valute di riserva in quanto al momento ci troviamo in presenza di un rischio concreto di frammentazione del sistema monetario internazionale che politicamente graverebbe maggiormente sui Paesi europei visto che, a quanto pare, i frozen assets sarebbero per lo più sotto il controllo europeo, e solo una parte minima, invece, sarebbe custodita da Washington: un fatto questo che alla luce dell’attentato al Nord Stream e a tutte le pressioni ed ingerenze statunitensi nella politica della EU, nonché dei singoli Stati dell’Unione la dice lunga sul cosa intendano a Washington allorché i più parlano a gran voce di “Alleanza Atlantica”.
Tanto per non parlare di quanto già avvenuto ai tempi della dichiarazione di non convertibilità dello USD nel 1971 e delle vere e proprie minacce di ritorsioni e sanzioni contro la Germania per la sua politica estera ed energetica con riferimento anche alla costruzione del Nord Stream: tutte cose che gli Europei, mi riferisco ai cittadini e non ai politici del Vecchio Continente, farebbero bene a cominciare a prendere in esame soprattutto allorché da Washington arrivano le sollecitazioni a intervenire militarmente a fianco di una Ucraina usata per portare avanti un piano geopolitico che poco o nulla aveva ed ha a che fare con i propri reali interessi.
A tale proposito, però, vorremmo sottolineare come quanto esposto non sia dettato da un pregiudizievole anti-americanismo degno di miglior causa, soprattutto visto come Mosca ha ridotto in passato le repubbliche satellite, ma solo un porre l’accento su fatti storici che impongono, a presto 80 anni dalla fine del Secondo Conflitto Mondiale, una ridefinizione su basi diverse di tutta la politica Occidentale, pena il crollo totale per, si badi bene, implosione, ovverosia né più e né meno come accadde all’ex, e per certo non compianta, CCCP di ben triste conclamata memoria.
Una sorte che rischia, sia pure con tempistiche diverse, di ripresentarsi perfino negli Stati Uniti dove le troppe contraddizioni e l’azzeramento della middle class –per non parlare del debito pubblico e della fine della mitografia del self made man della frontiera– rischiano di mutarsi in una serie di spinte centrifughe che nel tempo potrebbero portare a conflittualità intestine: ché se è vero, come è vero, che non vi è al momento Potenza che possa sfidare gli USA, è altrettanto vero che le troppe problematiche interne rischiano di mettere in crisi quella stabilità istituzionale della quale troppi Presidenti statunitensi sembrano essersi dimenticati di ripristinare al di là delle dichiarazioni ufficiali.
Tornando a noi, va detto che il problema prospettato dal presente lavoro è stato preso in esame in diverse occasioni –ancorché a quanto pare infruttuosamente–, non ultima quella che il 4 Aprile 2024 ha visto la presenza di diversi economisti intervenuti all’evento intitolato “Financial Sanctions And The Future Of The International Monetary System” tenutosi presso la sede romana dell’Istituto Affari Internazionali, evento che ha fatto registrare gli interventi di Ettore Greco, Executive Vice President dello IAI, Scott R. Anderson, Fellow in Governance Studies presso l’istituto di Brookings, (Lieve Mostrey, chief executive officer della società Euroclear, Franco Passacantando, Scientific Advisor dello IAI, Lorenzo Bini Smaghi, professore onorario dell’University College di Londra e Paola Subacchi, Incoming Chairholder per la Sovereign Debt Chair di Sciences Po.
Depurando il dibattito dalla pretesa, a tratti demagogica, di ascrivere alla sola Federazione Russa la responsabilità di quanto avvenuto in Ucraina —una tesi, questa, che perfino personaggi del calibro di un Henry Kissinger hanno a più riprese rigettato—, e che per tale ragione la Federazione dovrebbe essere in qualche modo obbligata, a detta di molti esponenti Occidentali, a risarcire Kyiv, quando invece della cosa dovrebbero farsi carico anche coloro che in Occidente hanno sistematicamente soffiato sul fuoco invischiando l’Ucraina in una Proxy War tra la Federazione e gli Stati Uniti, è certo che la cosa dovrebbe essere affrontata in sede negoziale al termine del conflitto accettando il rischio che, come tutto lascia intendere stia per accadere, Mosca risulti vincitrice e come tale difficilmente disposta ad assumersi un tale onere.
Il problema, non secondario, qui prospettato è quello che, a conti fatti, sarebbe stato alla base della decisione adottata, ovverosia quella di trovare un meccanismo che aggirando i limiti imposti dal diritto internazionale di fatto consentisse di giungere al conseguimento dell’obiettivo perseguito: da qui la decisione di impiegare i frozen assets russi (Scott R. Anderson).
Una decisione gravata da rischi non di poco conto non solo politici, come già anticipato, derivanti dal fatto che i beni russi congelati al momento della decisione risultavano per lo più, come poc’anzi visto, custoditi dalla summenzionata società belga di servizi finanziari specializzata nel regolamento delle transazioni in titoli nonché nella custodia e nel servizio delle attività di tali titoli, l’Euroclear, che oltretutto svolge il ruolo di garante, sicché qualsiasi azione sui beni russi sotto il suo controllo potrebbe avere delle pesanti ricadute in futuro, creando un precedente spinoso (Lieve Mostrey).
Il primo di questi rischi di lungo termine, la prima di queste ricadute è quella direttamente correlata al processo di de–dollarizzazione che dall’essere in fieri potrebbe mutarsi in un processo in atto oltremodo pure conclamato come conseguenza della militarizzazione della valuta della zona Euro e dello USD che ha preso il via con il congelamento delle riserve valutarie della Federazione Russa ed ora sembra essere passato alla seconda fase, ovverosia a quella che prevede l’utilizzo delle stesse per sostenere l’Ucraina.
Ora, anche se nulla di quanto sta accadendo era stato previsto in quanto le del tutto errate letture ufficiali dell’attacco russo facevano prevedere un, decisamente disatteso, rapido ed oltretutto favorevole –per Kyiv– epilogo, l’essere giunti al punto in cui siamo é frutto di un a dir poco madornale errore cui i mercati e gli Stati hanno reagito con varie modalità tra le quali spicca l’impennata degli acquisti di oro da parte delle banche centrali che hanno raggiunto livelli mai visti negli ultimi 25 anni: tanto per non parlare dell’accelerazione nell’uso del renminbi al posto delle valute occidentali come mezzo di pagamento negli scambi commerciali anche se la valuta cinese non ha di fatto i requisiti necessari (per la verità nessuna delle valute in corso le ha) per sostituirsi allo USD.
Ciò nonostante, poiché la necessità si fa virtù, certi ostracismi protrattisi nel tempo (mi riferisco alle misure sanzionatorie introdotte dall’Occidente nei confronti di Mosca) hanno spinto gli interessati a cercare alternative che stanno prendendo sempre più piede a tutto svantaggio dell’Occidente e degli Stati Uniti in particolare.
Come ha giustamente osservato più di qualcuno, in aggiunta a questo si ha che “In futuro gli sviluppi del Fintech potrebbero ridurre la trasparenza della rete globale dei pagamenti e lo sviluppo di piattaforme di valute digitali delle banche centrali potrebbe offrire un’alternativa in valuta locale a un sistema di pagamenti basato sullo USD” e questo fa capire perché le misure adottate oggi in deroga sull’immunità sovrana delle riserve delle banche centrali potrebbero costituire “un importante precedente che avrà implicazioni per un futuro mondo multipolare” caratterizzato da un sistema monetario oltremodo frammentato e come tale, piaccia o non piaccia, meno trasparente.
Vale qui la pena osservare che se per un verso è vero che il predominio del dollaro USA ha rappresentato uno strumento con cui gli USA hanno sin qui imposto al mondo la loro politica e permesso agli Stati Uniti tassi di indebitamento spaventosi le cui conseguenze sono state per lo più scaricate sul resto del mondo, ‘alleati’ compresi (si veda a tale proposito quanto avvenne all’indomani della unilaterale dichiarazione di non convertibilità di quello USD la cui quotazione di mercato, poiché valuta di riferimento e come tale detenuta in quantità ingenti dalle banche centrali di mezzo mondo, dovette essere sostenuta con massicce campagne di acquisti per evitare che alla svalutazione del biglietto verde facesse seguito pure quella delle valute che ad esso si appoggiavano per garantire la propria quotazione), è altrettanto vero che il tutto è avvenuto alla luce del Sole –se non altro per coloro che hanno occhi per vedere ed orecchie per sentire. Per quella innegabile trasparenza del sistema monetario dell’epoca: un valore innegabile che si rischia di perdere per sempre gettando con una mendace politica monetaria globale che più che promuovere il multipolarismo rischia di tenere a battesimo il caos più totale.
Ed infatti ciò che occorre tenere in debito conto è che la poco opportunamente assunta decisione di Biden e del G7 in relazione a sanzioni ed asset russi a guerra finita finirà nel dimenticatoio e tutto tornerà come prima, tutto tranne una cosa: il sistema monetario e questo, continuando a puntare sull’improbabile vittoria dell’Ucraina, farà registrare, se si andrà avanti per questa via ancora un po’, una delle peggiori sconfitte dell’Occidente.
Purtroppo nonostante il grido di allarme lanciato da più parti tocca prendere atto del fatto che la zona Euro ha finito per incamminarsi poco opportunamente sulla via della militarizzazione della propria valuta in un conflitto globale che potrebbe in ultima analisi minarla ed a nostro avviso l’ha già minata anche solo lasciando trasparire che per mesi i funzionari europei hanno valutato a più riprese la possibilità di confiscare i beni statali russi congelati, comprese le riserve della Banca Centrale.
(The Dollar has dominated Global Financial Transactions. Pre–War geographic distribution of payments across SWIFT currency)
Il concetto è stato espresso alquanto chiaramente pure dal Governatore della Banca d’Italia, Fabio Panetta, nel corso di un discorso dallo stesso pronunciato il 26 Gennaio 2024 a Riga dal titolo “Beyond money: the Euro’s role in Europe’s strategic future” allorché ha detto: “La militarizzazione di una valuta riduce inevitabilmente la sua attrattiva e incoraggia l’emergere di alternative” con un chiaro implicito riferimento alla Russia.”Questo potere deve però essere usato con saggezza, perché le relazioni internazionali fanno parte di un ‘gioco ripetuto‘”.
In linea con queste considerazioni si ha che il conflitto russo–ucraino ha portato ad un aumento del ruolo dell’RMB cinese (più correttamente CNY) a scapito di altre valute dal momento che gran parte degli scambi commerciali della Russia sono ora effettuati nella valuta cinese: tanto per effetto dell’esplicita promozione del suo ruolo sulla scena globale e per il correlato incoraggiamento al suo utilizzo in altri Paesi, compresi quelli sanzionati dalla comunità internazionale dopo l’invasione dell’Ucraina.
(Share of currency transactions facilitated by SWIFT, % of total)
Palesemente più persone usano un certo sistema, più esso è attrattivo. E questa, come ha detto il summenzionato prof. Lorenzo Bini Smaghi, è una regola, una regola che vale anche per il sistema basato sullo USD, un sistema che al momento potrebbe essere affiancato, se non proprio soppiantato, al più –a detta di più di qualcuno– dall’EUR: una evenienza che tuttavia non ha, a nostro avviso, margini per realizzarsi per tutta una serie di ragioni tra le quali non secondarie sono: l’assenza di una politica comune sia estera che interna, la mancanza di un esercito comune efficiente e ben armato nonché ben posizionato nelle aree strategiche di interesse; il drammatico inquinamento da derivati del sistema bancario europeo a causa, in primis, di quelli francese e tedesco come per la mancata corretta lettura di come si è arrivati al sistema–USD (Bretton Woods), in quale contesto storico e, soprattutto, del fatto che l’Euro è una moneta voluta da Washington sfruttando gli egoismi divisivi presenti da sempre in Europa a fare da sfondo a tutto il processo di integrazione: ma questa è tutta un’altra storia che deve pure tener conto dei non facili rapporti degli Stati Uniti con, in primo luogo, la Germania e la Francia.
Quello che qui urge capire —e ciò prima di fare ulteriori passi falsi che vadano in qualche modo a promuovere il rafforzamento ulteriore della PRC (ma per certi versi pure della Federazione Russa) a tutto detrimento dell’Europa e dell’intero Occidente, un Occidente del quale occorrerebbe evitare l’appesantimento ulteriore del già gravoso disagio economico che di fatto avvantaggia il proprio antagonista per antonomasia, ovverosia quella Beijing che da tutto questo potrebbe trovarsi a beneficiare in qualche modo di immissioni di quel danaro fresco da inserire nel proprio sistema economico e monetario che al momento non gode di tutta quella buona salute di cui a tratti qui si parla— è quindi l’illogicità di tale modus operandi come pure dell’ingenuità di proposte operative di contrasto che, come quella tedesca, si fondano sulla scelta di basare l’emissione degli Euro sulla base della domanda.
(China is moving to RMB and CIPS. RMB payments via CIPS – Cross-Border Interbank Payment System – and number of transactions (currency CNY trillions; millions transactions, RHS. Il CIPS è il sistema di pagamento che offre servizi di compensazione e regolamento per i suoi partecipanti nei pagamenti e negli scambi transfrontalieri in RMB )
Tanto anche avendo ben chiaro che il tempo stringe visto che l’infrastruttura finanziaria cinese, come asserito da Paola Subacchi, non è pronta a sostituirsi a quella statunitense. Infatti se è vero che il CNY ha fatto un bel passo in avanti negli ultimi anni, ancora non è in grado di sostituirsi a quella valuta americana da cui sta cercando di rendersi il più indipendente possibile.
Esemplificativo ed oltremodo indicativo di questo processo è lo Yuan digitale, che è già una realtà, è ampiamente utilizzato in Cina, nonché sponsorizzato dalla banca centrale: il che non poco è indicativo di come la Cina si stia abbondantemente avvantaggiando rispetto agli Usa in questo settore, con tutto quello che ciò potrebbe a breve comportare.
La riprova
Bisognerebbe pensare prima di agire!
La guerra è guerra, ma gli affari sono affari!