Israele-Usa-Iran: guerra d’Intelligence.
L’ondata di ripetuti nonché mirati attacchi lanciati in questi ultimi giorni da Hezbollah contro Israele, come pure l’incresciosa fuga di notizie riservate e la loro improvvida fuoriuscita, con conseguente divulgazione dei relativi documenti originariamente in possesso dei Servizi di Intelligence statunitensi –il tutto in palese violazione del Patto di Segretezza tra Israele e gli USA– documenti datati 15 e 16 Ottobre 2024 che hanno iniziato a circolare online nella giornata di venerdì scorso su diversi siti (in particolare sul canale Telegram Middle East Spectator, ritenuto vicino ai Pasdaran), rappresentano i temi maggiormente caratterizzanti l’ultima settimana per ciò che riguarda il Medio Oriente.
In particolare, il fatto che i documenti diffusi riguardino i piani di un ipotetico attacco ovvero, secondo altre fonti, i preparativi veri e propri di un attacco israeliano contro i siti nucleari iraniani sulla base dei report dell’Agenzia Nazionale d’Intelligence Geospaziale ( piani contemplanti, tra l’altro, pure con espliciti riferimenti al trasferimento di armi e munizioni), fa sì che il tutto meriti non poco una attenta, nonché tempestiva, riflessione per le molteplici implicazioni e conseguenze che tutto ciò può o potrebbe ulteriormente avere qualora la lettura dei fatti testé menzionati dovesse risultare inadeguata.
La divulgazione di notizie segrete
Per somma, poi, a rendere la cosa alquanto preoccupante è stata la notizia che uno dei documenti sottratti, contenente indicazioni su esercitazioni con missili terra-aria, sarebbe ‘uscito dai cassetti’ nientepopodimenoche della National Security Agency: una circostanza questa che pone significativi ulteriori interrogativi su cosa si celi dietro la summenzionata intensificazione degli attacchi degli Hezbollah, le cui attività in questo particolare frangente è oltremodo lecito ritenere siano frutto di una sovrapposizione non solo di varie e variegate esigenze, ma anche di pressioni che fanno riferimento tanto alla situazione politica interna dell’Iran, quanto a ben precise esigenze contingenti sia regionali che d’oltreoceano.
Un aspetto di questa singolare vicenda che nessuno ha colto è quello relativo al fatto che stranamente la fuga di notizie ha dato luogo alla loro oltremodo tempestiva divulgazione quando, come logico in un caso del genere, sarebbe stato molto più opportuno per i Servizi di Intelligence iraniani trattenere le informazioni per sé: in fondo la logica avrebbe imposto di attenersi a principio secondo il quale “se io conosco in anticipo le tue mosse posso approntare tutte le contromisure necessarie ed al momento opportuno contrastarti efficacemente senza scoprire le mie carte e, soprattutto, senza ‘bruciare’ la o le mie talpe, i miei infiltrati ovvero gli agenti passati a qualsivoglia titolo al mio servizio”.
Le “ipotesi di complotto”
Così stando le cose il primo quesito da porsi avrebbe dovuto riguardare il perché di questa strana diffusione con la consapevolezza che la risposta, eventualmente articolata, potrebbe fare riferimento come minimo a due possibili dinamiche delle quali la prima basata sull’ipotesi che la fuga di notizie sia stata l’imbarazzante conseguenza di un ben calibrato lavoro di intelligence dei servizi iraniani, ovvero che la “fuga” sia stata il risultato di una deliberata scelta dei Servizi statunitensi contemplando, in quest’ultimo caso due possibili condizioni aggiuntive della quali la prima configurata come frutto di una decisione unilaterale degli Stati Uniti (chiamiamola variante 1) e la seconda configurata come frutto di una decisione condivisa (chiamiamola per comodità variante 2). In questo senso si ha che:
Nel primo caso l’avere l’Iran consentito la diffusione dei documenti trafugati da agenti infiltrati (ovvero, come sembrerebbe in questo caso, trafugati da personale statunitense passato in qualche modo al servizio dell’Iran) in violazione di ogni principio logico rispondente alla più elementare regola riassunta mirabilmente dal motto del 185° RRAO “Videre nec videri”, potrebbe essere letto come una implicita ammissione di debolezza, in senso lato, da parte dell’Iran in quanto risponderebbe a diverse possibili precise esigenze contingenti delle quali:
- una strutturale delle FFAA iraniane: se non sono in grado di contrastare la tua azione militare cerco di renderla impraticabile attirando l’attenzione su di te additandoti, di fatto, al pubblico ludibrio anche a costo di bruciare le mie fonti informative
- una interna e relativa alle lotte di potere intestine all’Iran: come vedremo meglio più oltre il regime degli ayatollah è meno forte di quanto vuole far apparire sicché l’unica strada percorribile rimasta disponibile per non cedere il passo è quella di compattare il Paese facendo leva sul nazionalismo di fronte ad una minaccia esterna così, insomma, da far passare per ‘spia’ o ‘colluso con il nemico’ qualsiasi riformista ed oppositore del regime
- una strategica che merita una valutazione del tutto particolare sia sul fronte iraniano che su quello statunitense (che prenderemo in esame più oltre) a cominciare dal fatto che la diffusione dei summenzionati documenti ha riacceso i riflettori su un personaggio di cui si è già diffusamente parlato in tempi relativamente recenti sempre per una questione di spionaggio.Il riferimento è ad Ariane Tabatabai, un alto funzionario del Pentagono di origine iraniana assurta all’onore delle cronache diversi mesi fa per essere stata citata in alcune e-mail trapelate come parte di una campagna di influenza iraniana e che, nonostante questo, come ha riportato Mary Kay Linge in un suo lungo articolo a lei dedicato apparso su il New York Post in data 20 Ottobre 2023 con il titolo “Top Iranian Pentagon aide keeps security clearance despite ‘spying for Tehran’ accusation“, ha stranamente mantenuto il suo ruolo e il “relativo nulla osta segretezza”. Un cosa questa che ha destato la legittima nonché preoccupata riprovazione, tra gli altri, della Senatrice Repubblicana Marsha Blackburn. La Senatrice a tale proposito così si era espressa a suo tempo sulla sua pagina X “ Ariane Tabatabai, funzionario dell’amministrazione Biden-Harris e membro di una rete di influenza iraniana, avrebbe partecipato 8 volte a riunioni al Pentagono e alla Casa Bianca. A quali informazioni riservate ha avuto accesso? Perché Biden e Harris non vedono l’Iran come una minaccia?“ sollevando ampie critiche all’amministrazione Biden–Harris. In particolare nell’articolo della Mary Kay Linge si può leggere quanto segue : “Ariane Tabatabai sembrava essere una recluta volontaria nell’operazione di influenza segreta gestita dal Ministero degli Esteri di Teheran, secondo una serie di file trapelati e rivelati il mese scorso da Semafor”, la rivista che, in un articolo del 29 Settembre 2023, a firma di Jay Salomon e pubblicato con il titolo “Inside Iran’s influence operation”, ha diffusamente parlato del progetto denominato IEI-Iran Expert Initiative. Un’iniziativa avviata nella primavera del 2014 da alti funzionari del Ministero degli Esteri iraniano ed avente per obiettivo il rafforzamento dell’immagine e delle posizioni di Teheran sulle questioni di sicurezza globale, in particolare il suo programma nucleare, per mezzo della costruzione di legami con una rete di influenti accademici e ricercatori all’estero. La portata e l’entità dell’IEI sono emerse grazie ad una ampia cache di corrispondenza ed e-mail del Governo iraniano coinvolgenti funzionari strettamente collegati al moderato Presidente Hassan Rouhani che a più riprese hanno manifestato il proprio compiacimento per l’impatto dell’iniziativa. Dal report di Semafor si è appreso infatti che “almeno due delle persone presenti nell’elenco del Ministero degli Esteri erano, o sono diventati, i principali assistenti di Robert Malley, l’inviato speciale dell’amministrazione Biden per l’Iran, che è stato messo in congedo a giugno (n.d.r del 2023) in seguito alla sospensione del suo nulla osta di sicurezza” e che “un terzo è stato assunto dal think tank che Malley dirigeva proprio quando è partito per il Dipartimento di Stato”. Come ha giustamente sottolineato Jay Salomon “I documenti mostrano come l’Iran fosse in grado di condurre il tipo di operazioni di influenza che gli Stati Uniti e i loro alleati nella regione spesso conducono”: una osservazione che rafforza e conforta le perplessità che circondano la strana –ed è lecito supporre sospetta– recente pubblicazione dei documenti Top Secret di cui abbiamo trattato poc’anzi. Oltre a quello della Dr. Tabatabai Tabatabai che fino a poco tempo fa prestava servizio al Pentagono come capo dello staff del Segretario aggiunto della Difesa per le Operazioni Speciali, Christopher P. Maier, ed in precedenza aveva prestato servizio come diplomatica nel team di negoziazione nucleare iraniano di Malley dopo l’insediamento dell’amministrazione Biden nel 2021, troviamo pure il nome di Dina Esfandiary, un consulente senior per il Medio Oriente e il Nord Africa presso l’International Crisis Group (il think tank diretto da Malley dal 2018 al 2021) che nel confermare la sua partecipazione all’iniziativa non ha perso l’occasione per affermare, palesemente mentendo, che “l’IEI era una rete informale di accademici e ricercatori che non era supervisionata dal Ministero degli Esteri iraniano e che riceveva finanziamenti da un governo e da alcune istituzioni europee, che hanno rifiutato di identificare”. A proposito della Tabatabai il 18 Ottobre 2023 il “The Washington Free Beacon” ha pubblicato un articolo a firma di Adam Kredo intitolato “Member of Iranian Influence Network To Keep Security Clearance After Pentagon Review” dal quale si apprende che, a fronte delle rimostranze fatte da diversi esponenti Repubblicani circa il mantenimento in essere della sua autorizzazione ad accedere alle informazioni Top Secret, le autorità competenti hanno risposto come segue per mezzo di Rheanne E. Wirkkala, assistente del Segretario alla Difesa, che in una lettera del 13 Ottobre 2023 indirizzata al Sen. Joni Ernst (R., Iowa) ha dichiarato:”Abbiamo confermato che i processi di assunzione e di autorizzazione della signora Tabatabai sono stati eseguiti in conformità con tutte le leggi e le politiche appropriate“, senza tuttavia spiegare come il Pentagono avesse condotto l’indagine su Tabatabai, né tantomeno fornire le prove per dimostrare perché l’alto funzionario avesse ancora diritto a un’autorizzazione di sicurezza visto che nella lettera più oltre si poteva leggere che “L’Agenzia per il controspionaggio e la sicurezza della Difesa ha iscritto tutti i membri del Dipartimento della Difesa, i civili e gli appaltatori con un nulla osta di sicurezza nel suo programma di controllo continuo, che è un processo che prevede la revisione regolare del background di un individuo autorizzato per garantire che continui a soddisfare i requisiti del nulla osta di sicurezza e possa continuare a ricoprire posizioni di fiducia“. Una comunicazione che il Sen. Ernst, uno dei numerosi legislatori repubblicani che avevano chiesto risposte sul presunto ruolo di Tabatabai nell’operazione con base in Iran, ha commentato affermando che il Pentagono stava probabilmente aiutando il regime integralista di Teheran a ottenere “accesso a informazioni altamente sensibili“. Tanto in quanto a suo dire “L’amministrazione Biden è compromessa, ma continua a difendere senza vergogna il fatto che una spia iraniana si sia infiltrata e abbia lavorato al Pentagono, consentendo probabilmente al regime di accedere a informazioni altamente sensibili” per poi concludere dicendo che “Continuando a nascondere questo reato sotto il tappeto, invece di prendere sul serio questa minaccia alla sicurezza nazionale sospendendo l’autorizzazione di sicurezza di Tabatabai, l’amministrazione Biden raddoppia la sua strategia di appeasement che ha già rafforzato l’Iran e i suoi proxy terroristici“. Una affermazione lecita, in assenza di riprove, poiché stando a quanto riferito, la Tabatabai, nell’ambito della sua partecipazione all’Iran Experts Initiative, comunicava direttamente con alti funzionari iraniani, chiedendo loro persino di approvare i suoi viaggi a varie conferenze politiche. Con riferimento alle accuse mosse all’amministrazione Biden-Harris dagli esponenti politici Repubblicani, depurando il tutto dagli aspetti correlati alla lotta politica, va notato che la partecipazione della Dr. Tabatabai al progetto IEI è qualcosa che in qualche modo risulta in linea con un certo tipo di politica estera statunitense risalente ai tempi della presidenza Barack Obama. Si scrive a tale proposito che i partecipanti all’IEI erano prolifici scrittori di articoli di opinione e analisi e fornivano spunti in televisione e su Twitter, decantando regolarmente la necessità di un compromesso con Teheran sulla questione nucleare, una posizione in linea sia con le amministrazioni Obama che con quelle di Rouhani all’epoca. Le e-mail descrivono l’IEI come avviato dopo l’elezione di Rouhani nel 2013, quando stava cercando un accordo con l’Occidente sulla questione nucleare. Secondo le e-mail, il Ministero degli Esteri iraniano, tramite il suo think tank interno, l’Istituto per gli studi politici e internazionali, ha contattato dieci membri “principali” per il progetto, attraverso i quali intendeva collaborare nei successivi 18 mesi per promuovere in modo aggressivo i meriti di un accordo nucleare tra Teheran e Washington, finalizzato nel luglio 2015”. A tale proposito non possiamo dimenticare il tipo di politica di Obama con il suo supporto alla Fratellanza Musulmana di cui Hamas è la ben nota propaggine palestinese, come pure il collegamento attivo degli Stati Uniti all’Iran ai tempi della crisi dei Balcani (Presidenza Clinton) allorché all’Iran venne concesso di rifornire di armi le milizie islamiche separatiste, giungendo al punto di supervisionare i carichi provenienti dall’Iran per evitare l’ingresso nell’area di armamenti ‘non graditi’: tutte cose che non possono essere dimenticate in una analisi oggettiva. (A tale proposito si legga quanto emerso da un importante articolo del 16 Gennaio 1997, intitolato “Extended Bosnia Mission Endangers U.S. Troops: Clinton-Approved Iranian Arms Transfers Help Turn Bosnia into Militant Islamic Base”, facente riferimento al Report ufficiale preparato dal Committee on International Relations della U.S. House of Representatives datato 10 Ottobre 1996 ed intitolato “Final Report of the Select Subcommittee to Investigate the United State role in Iranian arms transfers to Croatia and Bosnia (“The Iranian Green Light Subcommittee”)“). Ora poiché le ragioni che hanno portato alla costruzione della summenzionata rete di contatti sono tutt’altro che decadute, è lecito supporre che la pubblicazione dei documenti segreti trafugati possa essere ritenuta come un abile tentativo di depistaggio realizzato dall’Iran sacrificando delle pedine oramai bruciate per dare copertura ad una rete parallela già predisposta ed operativa, oltre che per creare quello stato di tensione e sfiducia tra gli Stati Uniti ed Israele che non poco può non solo indebolire quest’ultimo, ma anche gettare una sinistra luce sulla affidabilità degli Stati Uniti in un momento storico cruciale per l’Occidente tutto.
- Mentre nel secondo caso –variante1 — quello che, come detto, ipotizza la diffusione dei documenti riservati come un qualcosa facente integralmente parte di un piano predisposto unilateralmente dall’Intelligence statunitense per precise esigenze di interesse nazionale, nonché politiche della White House, il tutto avrebbe un significativo decisamente differente facendo riferimento nell’immediato anche al fatto che al momento il duo Biden–Harris non può permettersi il lusso di avallare azioni militari di Israele che potrebbero avere negative ripercussioni su una campagna elettorale democratica già così ampiamente compromessa da non potersi permettere il lusso di perdere i voti della comunità ebraica così come di quella islamica. Insomma, a ragion veduta, non vi è un reale interesse effettivo degli Stati Uniti ad avere una regione mediorientale pacificata che di fatto, almeno in linea di principio, favorirebbe solo la Cina, vista per somma la sua specifica nonché consolidata politica estera che è stata in grado di attirare a sé l’Iran, l’Arabia Saudita, e fino ad un certo punto, Israele, gli Emirati Arabi con tutto quello che ciò già comporta e che si potrebbe ulteriormente complicare con l’entrata della Turchia nei BRICS. Il 23 Ottobre 2024 si è infatti aperto a Kazan, nella Federazione Russa, lo storico vertice dei BRICS che vede la, sicuramente poco gradita a Washington, partecipazione di uno dei membri più preziosi della Nato e, per lo meno sulla carta, ancora candidato all’ingresso nell’Unione europea: Ankara. Una Ankara, la cui candidatura pare caldeggiata oltremodo da Mosca, e che non aspira ad essere parte dei BRICS per quanto molti osservatori hanno sostenuto ed ancora si ostinano a sostenere, ovverosia perché frustrata da un’Unione Europea che l’ha di fatto esclusa dal processo di allargamento e per l’ostinato rifiuto di Bruxelles, dal 2016, di ampliare l’accordo di Unione doganale del 1996 nonché, forse, anche per il fatto che, da quando nel 2019 ha acquistato il sistema di difesa missilistico russo S-400, è tenuta a distanza da Washington. Ed infatti ciò che indirizza l’asse della politica estera turca sono ragioni profonde di visione e di convinzioni ideologiche e strategiche unite all’opportunità di integrare le relazioni con l’Occidente, anche nella speranza di superare le drammatiche difficoltà economiche in cui versa il Paese. Come ha scritto qualcuno di recente, Erdogan è convinto che è sempre meglio mangiare a entrambi i matrimoni, quando si ha la possibilità di parteciparvi. In questo senso la ‘fuga di notizie’ sarebbe stata volta ad impedire ad Israele di imporsi e costituirsi come potenza regionale autonoma in un contesto alquanto diverso da quello ereditato dai contenziosi della Cold War. In questo senso risultano piuttosto interessanti due titoli apparsi nella serata del 23 Ottobre: “As Israel Readies to Strike Iran, the Pentagon Spills Its Ally’s Secrets” e “Israele sta usando un drone segreto?” che ci parla di come la falla nell’intelligence USA abbia anche rivelato l’arma tenuta celata da Gerusalemme (pronta a sfidare l’Iran): un drone a quanto pare rubricato come RA01 di cui non si sa praticamente nulla tranne che sarebbe utilizzato per missioni segrete e facente parte di almeno una flotta tascabile di droni stealth a lungo raggio in grado di raccogliere informazioni e possibilmente condurre attacchi, frutto di un’industria aeronautica idonea a produrre velivoli pionieristici che si è ipotizzato sarebbero decisamente adatti a supportare una grande operazione israeliana per colpire gli obiettivi di Teheran, come peraltro già sperimentato con i ripetuti blitz seppur limitati su basi iraniane in Siria, Iraq e nello stesso Iran. Comunque sia il “The Guardian” il 20 Ottobre 2024 ha pubblicato un articolo di intitolato “US investigates leaked documents alleging Israel plans to attack Iran” nel quale si fa esplicito riferimento a funzionari statunitensi, che avrebbero parlato in condizione di anonimato in quanto non autorizzati a discutere pubblicamente della questione, dai quali si sarebbe appreso che “l’indagine stava anche esaminando come i documenti sono stati ottenuti, incluso se si è trattato di una fuga di notizie intenzionale da parte di un membro della comunità di intelligence statunitense o se sono stati ottenuti con un altro metodo, come un hack, e se altre informazioni di intelligence sono state compromesse” aggiungendo che “come parte di tale indagine, i funzionari stavano lavorando per stabilire chi aveva avuto accesso ai documenti prima che venissero pubblicati”. Ora che l’autenticità di questi documenti è stata confermata, vi è un dettaglio cruciale che richiede ulteriore attenzione e che riguarda il contenuto dei documenti resi di dominio pubblico laddove vi si legge che: “L’aeronautica militare israeliana (IAF) ha continuato le operazioni segrete di UAV dal 15 al 16 ottobre. Secondo l’analisi delle immagini, gli UAV segreti di Israele consentono una sorveglianza stealth a lungo raggio sull’Iran e sulla regione più ampia. (…) Il 16 ottobre, la National Geospatial-Intelligence Agency (NGA) ha osservato personale e attrezzature di terra preparare attivamente gli UAV nell’area delle operazioni RA-01 dalla base aerea di Ramon”. Tanto si pone in evidenza in quanto poiché da tutto ciò si evince pure che:
- Israele possiede una piattaforma ISR (Intelligence, Surveillance, Reconnaissance) senza pilota a lungo raggio altamente segreta che non è stata divulgata pubblicamente e che inoltre
- questi droni effettuano regolarmente voli di sorveglianza sull’Iran e in tutto il Medio Oriente, conferendo a Israele una capacità significativa e discreta di raccolta di informazioni di intelligence.
L’effetto sorpresa perduto da Israele?
Ed ecco che di fatto si azzera completamente l’effetto sorpresa inibendo per molto tempo la possibilità che Israele porti a termine il suo attacco.
- Qualora invece il tutto ricadesse nel secondo caso–variante 2, – quello che, come detto, ipotizza la diffusione dei documenti riservati come un qualcosa facente integralmente parte di un piano concordato e noto solo ad altissimo livello dagli Stati Uniti ed Israele– di fatto le informazioni contenute nei documenti che sono stati trafugati e successivamente diffusi sarebbero per certo oltremodo parziali, ovvero contraffatte ed alterate, ma certamente nel contempo utili a far sì che le FFAA iraniane, o chi per loro, si mettessero nella condizione di predisporre tutte le contromisure necessarie atte a prevenire, prima ancora che a contrastare, qualsiasi mossa dell’IDF e dell’Aeronautica militare israeliana mettendo Gerusalemme non solo nella condizione di capire le reali intenzioni di Teheran, ma anche e soprattutto le reali capacità e modalità e tempi di reazione dell’Iran che a quanto pare ha affidato la sua, tutto sommato tempestiva, ‘risposta’ ad Hezbollah che ha proceduto ad effettuare lanci di droni verso, e molto presumibilmente, località ritenute sedi di installazioni israeliane potenzialmente rientranti nell’eventuale piano di attacco, consentendo di valutare l’estensione e la correttezza delle informazioni possedute da Teheran. Nel frangente, Gerusalemme aveva, e non a caso, provveduto all’occultamento di personale e mezzi dalle basi prese di mira, in ciò riducendo alquanto gli effetti dei bombardamenti iraniani, ma inducendo Teheran a gioire per la riuscita dei piani.
A conti fatti non ci sono state particolari dichiarazioni da parte di Teheran in merito alla eventualità di un attacco preventivo israeliano. Le più interessanti riguardano la smentita, affidata all’ambasciatore iraniano presso l’ONU, di qualsiasi coinvolgimento nel lancio del drone che pochi giorni fa ha colpito la casa di Benjamin Netanyahu a Cesarea –e quella di Ali Bahreini nel quadro della Conferenza sul Disarmo a Ginevra la cui presidenza è stata affidata all’Iran. Uomo-simbolo nonché diplomatico dall’aria tranquilla e rappresentante permanente all’Onu nella città svizzera, ha colto l’occasione per riaffermare che il suo “é un Paese amante della pace, contrario alla guerra e alla violenza”, ponendo in essere un tentativo di riscrivere la storia dimenticando le proprie colpe che è tipico delle autocrazie, ma che in questo frangente caratterizzato dalla appartenenza dell’Iran ai BRICS merita una attenzione del tutto particolare in quanto mai va dimenticato che dietro molte delle dinamiche in corso è lecito supporre la presenza di Beijing che non vuole certamente che l’area si trasformi in un campo di battaglia contrario ai suoi interessi economici. Ascoltando questo portavoce degli ayatollah, ex consigliere per gli affari politici al ministero degli Esteri, già ambasciatore in Etiopia e responsabile in patria di un dipartimento ‘diritti umani’, si rimane colpiti dalla logica delle sue tesi che sono state esposte come se il programma nucleare iraniano fosse un’invenzione della propaganda occidentale. “Il pericolo di una guerra nucleare è molto alto e la continua esistenza di armi nucleari aggrava le tensioni nel contesto della sicurezza internazionale, rappresentando una grave minaccia per l’umanità” queste le parole da lui pronunciate. Retorica o fiuto nel cogliere il mutare dei venti?
Nello specifico del contesto iraniano il tutto (in riferimento anche alle ultime considerazioni proposte) trova, a nostro avviso, la propria ragion d’essere nel fatto che il Governo e la nuova Presidenza iraniani sembrerebbero alquanto decisi a voler puntare (quanto realmente, quanto camaleonticamente ovvero quanto pragmaticamente non è dato al momento sapere con certezza, non potendo per certo al momento l’Iran vincere un confronto militare diretto con Israele) ad un profondo rinnovamento tanto della politica interna quanto di quella estera che il Presidente Masoud Pezeshkian, stando alle sue dichiarazioni, sembrerebbe voler promuovere allo scopo precipuo di ottenere l’abolizione delle sanzioni economiche che colpiscono il Paese, come pure per poter stabilire relazioni più distese nell’area.
Ovviamente stiamo parlando di qualcosa che per ovvie ragioni ben poco incontra il favore dei Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica, meglio noto come Pasdaran (il ben noto, vale la pena ribadirlo, corpo paramilitare impegnato anche all’estero per curare gli interessi iraniani) e degli ultraconservatori iraniani, ovverosia di coloro che sono stati pesantemente sconfitti nelle ultime elezioni presidenziali nonostante la politica repressiva da loro posta in essere in tutti questi anni contro dissidenti e riformisti. In questo un ruolo fondamentale è dato dalla posizione di elementi preminenti del Vevak, il servizio di intelligence delegato all’estero di Teheran, profondamente infiltrato in Occidente e con solide basi dalla Germania alla Francia ed all’Italia ma anche, e forse soprattutto, nel sud America ove il Servizio opera sotto bieche coperture di regimi consenzienti o semplicemente palesemente schierati (Colombia, Venezuela, Bolivia, Paraguay).
L’Iran e la crescita dell’opposizione interna
L’apparente forza mostrata ed ostentata a più riprese dai vertici iraniani negli ultimi anni, attualmente è di fatto più che altro un residuale atteggiamento che deve fare i conti con una crescente opposizione interna.
Non è infatti un caso che, come ha ampiamente sottolineato Farnaz Fassihi in un suo articolo apparso il 3 Agosto 2024 sul The New York Times con il titolo “ Iran arrests dozens in search of suspects in Hamas leader’s killing”, in Iran, a seguito dell’uccisione del Presidente dell’Ufficio politico di Hamas ( già Capo di Hamas nella Striscia di Gaza dal 2014 al 2017, Primo ministro della Palestina a Gaza dal 2007 al 2014, Primo Ministro dell’Autorità Nazionale Palestinese dal 2006 al 2007), Ismail Haniyeh, sono state arrestate più di due dozzine di persone, tra cui alti ufficiali dei servizi segreti, funzionari militari e personale della pensione gestita dall’esercito a Teheran in cui il 31 Luglio 2024 Haniyeh è stati ucciso: tanto in risposta all’enorme e umiliante violazione della sicurezza che ne ha permesso l’omicidio.
Come si ricorderà la morte di Haniyeh è avvenuta alquanto significativamente durante la visita dello stesso a Teheran per l’insediamento del nuovo presidente iraniano.
Gli arresti di alto livello sono avvenuti dopo l’uccisione, in un’esplosione decorsa mercoledì all’inizio del mese, di Ismail Haniyeh, che aveva guidato l’ufficio politico di Hamas in Qatar e che era in visita a Teheran per l’insediamento del nuovo presidente iraniano ed alloggiava nella pensione nel nord di Teheran, la capitale dell’Iran.
Il fervore della reazione all’uccisione di Haniyeh sottolinea quanto sia stato devastante il fallimento della sicurezza per la leadership iraniana, con l’assassinio avvenuto in un complesso pesantemente sorvegliato nella capitale del Paese a poche ore dalla cerimonia di giuramento del nuovo Presidente, nonché mediante l’impiego di una bomba piazzata nella stanza di Haniyeh già due mesi prima del suo arrivo, come confermato dagli stessi funzionari iraniani, ma funzionale unicamente allo scopo a fungere da “piano B” a fronte di un’eventuale fallimento del preciso lancio di un missile teleguidato direttamente dalla sede dell’Unità 8200 di Israele.
A tutti gli effetti, la “scoperta dell’ordigno” ha da subito messo in allarme l’intero Establishment iraniano tanto da indurlo al subitaneo arresto di centinaia di membri dell’IRGC e dello stesso Vevak.
Di rito l’attribuzione, da parte di Hamas e di diversi funzionari iraniani, della responsabilità ad Israele, magari in combutta con gli USA che si sono prontamente smarcati dichiarando la propria estraneità: un po’ sospetta la condivisione di questa ipotesi della responsabilità israeliana da parte di diversi funzionari statunitensi, una ipotesi rigettata da Israele: voglia di gettare benzina sul fuoco, convinzioni personali espresse con poca prudenza, informazioni riservate diffuse artatamente, voglia di allentare la pressione interna all’Iran sui propri infiltrati, mania di protagonismo …? Molti i quesiti, poche le risposte ed ancor di più i dubbi, a maggior ragione dopo la lezione appresa dall’affaire Nord Stream, la gestione tutta della questione Ucraina e la sedicente recente fuga di notizie top secret di cui sopra.
Comunque sia la dinamica, il momento, il luogo, sono tutti elementi che hanno indotto Ali Vaez, Direttore per l’Iran dell’International Crisis Group, a dichiarare che “La percezione che l’Iran non sia in grado di proteggere la sua patria né i suoi alleati chiave potrebbe essere fatale per il regime iraniano, perché in pratica segnala ai suoi nemici che se non possono rovesciare la Repubblica islamica, possono decapitarla“.
Una qualche risposta in più è giunta per certi versi a Settembre allorché il 28 è stata confermata la morte del leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, l’uomo più potente del Libano e l’unico nel piccolo Paese mediterraneo con il potere di condurre una guerra, eliminato all’età di 64 anni durante un’ondata di attacchi israeliani venerdì 27 Settembre 2024 contro il principale bastione di Hezbollah a sud di Beirut nel quartiere di Dahiyeh.
Poiché si ritiene che pochissime persone fossero a conoscenza del luogo in cui Nasrallah viveva, fatto salvo per Ismail Qaani, capo dell’IRGC , e la maggior parte dei suoi discorsi negli ultimi vent’anni erano stati preregistrati e trasmessi da una località segreta, è evidente che, data l’importanza sin qui riconosciuta di Hezbollah per l’Iran, i forti legami da sempre avuti con i Pasdaran, il pronto appoggio dato ad Hamas all’indomani del feroce attacco del 7 Ottobre 2023 (un appoggio concretizzatosi con il costante quotidiano lancio di razzi contro Israele), ma pure il rifiuto da parte iraniana di qualsiasi aiuto qualora le continue provocazioni ed attacchi degli Hezbollah ad Israele avessero condotto ad un confronto diretto con l’IDF, sono tutte cose che lasciano ipotizzare, se non proprio supporre, che vi possa essere stato un coinvolgimento di quella Teheran che non vuole assolutamente la guerra con Israele, a differenza dei Pasdaran che in Iran sono un po’ una sorta di Stato nello Stato.
Il ruolo strategico di Hezbolla all’interno dell’Asse del male
A tale proposito si consideri che tra compositi attori che fanno parte del cosiddetto Asse della Resistenza, Hezbollah è stato ed è sicuramente ancora il più rilevante a livello strategico per l’Iran, o almeno per quella parte dell’establishment iraniano che si è avvalsa non poco della crescita e dell’evoluzione che il Partito di Dio (Hezbollah) ha avuto negli ultimi quarant’anni, da milizia confessionale durante la guerra civile libanese fino a diventare uno degli attori non statuali più importanti del Medio Oriente, giungendo a rappresentare ad oggi il principale successo di politica estera raggiunto da Teheran nella regione se non altro fino al momento in cui Teheran non ha iniziato a seguire con diverso interesse le vicende mediorientali grazie ai buoni uffici di una onnipresente Beijing che ha accolto ben volentieri l’Iran tra quei BRICS la cui logica poco si sposa con le filosofie antisemite ed anti israeliane di Hezbollah.
In questo senso andrebbe tenuto in debito conto che la fortuna di Hezbollah risale ai tempi della Guerra Civile Libanese (1975–1990), guerra tra le cui cause non possiamo non menzionare la presenza delle milizie palestinesi oltremodo destabilizzanti per l’ordine pubblico e la civile convivenza nel Paese dei cedri, che offrí ad una Teheran più che altro desiderosa di dotarsi di una “cintura di sicurezza” regionale che allontanasse la prima linea di difesa dai propri confini, l’opportunità di sfruttare la forte instabilità interna al Libano per crearvi una vera e propria quinta colonna al solo scopo di aumentare la propria influenza nella regione mediorientale.
Quello che deve essere chiaro è che la questione palestinese in tutto questo è del tutto irrilevante visto che qualora i vertici iraniani di quegli anni avessero trovato un terreno a loro più favorevole nel Bahrein governato dall’emiro Isa bin Salman al-Khalifa o in Iraq dove cercarono di creare una rete di contatti con gruppi sciiti locali per destabilizzare il governo di Saddam Hussein probabilmente non avrebbero preso in considerazione quel Libano in cui il menzionato conflitto e la forte politicizzazione della comunità sciita libanese crearono il terreno fertile per la nascita di Hezbollah.
Paradossalmente un supporto, indiretto ovviamente, alla sua affermazione giunse da Israele allorché lo stesso invase il Sud del Libano nel 1982 in quanto il crescente sentimento popolare di opposizione all’invasione creò i presupposti per l’invio di centinaia di consiglieri militari iraniani nella valle della Beka’a, sotto occupazione siriana, con l’intento di formare alcuni miliziani per combattere contro Tel Aviv veicolando nel contempo la dottrina del Governo del Giurisperito (velâyat-e-faqih) instaurata dall’ayatollah Ruhollah Khomeini nella Repubblica islamica dopo la rivoluzione del 1979.
Tanto per non parlare del supporto ricevuto da un alleato di eccezione dell’Iran, quella Siria che non pochi aiuti diede ai Pasdaran per la creazione dei primi nuclei della nuova milizia che grazie all’allora ambasciatore iraniano in Siria Ali Akbar Mohtashamipur, al comandante del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica (IRGC) Ahmad Motevasselian e all’ex guardia del corpo di Ruhollah Khomeini, Mohsen Rafighdoust, cominciò a prendere forma per diventare poi quell’Hezbollah del cui legame con la Repubblica islamica, nonché dell’adesione alla dottrina del velāyat-e faqih, venne riaffermata l’importanza anche nella lettera aperta firmata da Hezbollah nel 1985 che ne sancì ufficialmente la nascita.
Ora poiché da tutto quanto sin qui esposto emerge chiaramente che quantunque tanto i Pasdaran quanto gli ultraconservatori iraniani siano oltremodo determinati ad ostacolare qualsivoglia cambiamento politico interno in senso riformista, è parimenti evidente l’impossibilità che il fondamentalismo da essi promosso possa opporsi sine die al lento, ma inesorabile, declino di un regime nato nel 1979 a meno che non si realizzino le condizioni favorevoli ad un ricompattamento del tessuto sociale di fronte ad una minaccia esterna reale o provocata che sia.
Alla luce di queste considerazioni vi è che è in questo senso che dovrebbero essere riguardati i sistematici, reiterati, ma al tempo stesso –da un certo punto in poi… volutamente(?)– inutili attacchi degli Hezbollah: un abile, ma al tempo stesso disperato modo per cercare di spingere Gerusalemme ad agire direttamente contro l’Iran, o anche solo a minacciarlo come è recentemente avvenuto non tanto con la sottrazione, quanto piuttosto con la divulgazione dei documenti Top Secret di cui si è detto in apertura.
Una divulgazione che finisce per configurarsi come l’escamotage per imporre a Teheran la necessità di fornire una doverosa, oltre che legittima, risposta in difesa degli interessi e del popolo iraniani di fronte a quella che un certo mondo islamico, ma non solo, vuole ancora che sia qualificata come la concreta minaccia imperialista di matrice giudaico–statunitense al solo scopo di scatenare le piazze, ovvero una parte di esse.
È in questo senso che, repetita iuvant, riteniamo la divulgazione dei documenti Top Secret summenzionati non rappresentino solo un assist a tutti coloro che in Iran ostacolano da anni ogni progetto riformista, ma pure una mano tesa a beneficio di tutti coloro che non vogliono la reale pacificazione del Medio Oriente nel senso auspicato, ad esempio, da Beijing e dai Paesi che con la Cina condividono gli obiettivi dei BRICS, o parte di essi, a cominciare dalla progressiva messa in disparte –ché la cassazione definitiva è al momento impossibile per contingenti ragioni– degli Accordi di Bretton Woods (e loro successive modificazioni) nonché del NWO da essi tenuto a battesimo nel 1944.
In questa visione la fuga di notizie potrebbe essere una “non fuga”, bensì il frutto di un deliberato gioco delle parti in una partita a scacchi di dubbio gusto giocata dall’amministrazione Biden-Harris che si sarebbe resa oltremodo responsabile di una gestione dell’apparato di sicurezza ed intelligence statunitense tutta all’insegna di una per nulla inconsapevole superficialità e leggerezza gestita da chi effettivamente ha guidato la politica di una Casa Bianca il cui inquilino attuale ha dato ampiamente mostra di non essere al meglio di sé, coadiuvato da una Vicepresidente del tutto incapace di assolvere i suoi doveri istituzionali.
Una versione che confermerebbe che la fuga di notizie dagli uffici dell’Intelligence degli Stati Uniti e/o del Pentagono non sarebbe avvenuta per caso anche da un altro punto di vista in quanto potenzialmente utile per un altro motivo che dovrebbe essere doverosamente indagato e valutato alla luce del fatto che poiché né Israele né l’Iran sono in condizioni tali da prevalere in modo definitivo l’uno sull’altro nel caso di un vero e proprio conflitto, qualora Israele e l’Iran (che non va dimenticato è sì un Paese islamico MA NON È UN PAESE ARABO) dovessero tacitamente cooperare e costruire una governance bipolare nell’area (rimossa che sia la questione palestinese), l’importanza e l’influenza di ‘molti’ nella regione potrebbe diminuire drasticamente minando interessi che in questo momento nessuno sembra intenzionato a rivedere, a cominciare da quelli delle multinazionali angloamericane, nonché ridimensionando aspirazioni e progettualità sopite al momento, ma affatto accantonate.
Quindi, ciò considerato, non è da escludere che in tutte queste vicende vi sia anche lo zampino dell’Arabia Saudita, altro Paese che ovviamente da una pacificazione dei rapporti tra Israele e l’Iran non potrebbe trarre alcun vantaggio ora che, oltretutto, la guerra in corso sta portando in qualche modo alla risoluzione del problema palestinese: quel problema che tutti dimostrano con i fatti di voler risolvere nel senso portato avanti da Netanyahu in quanto rappresenta una spada di Damocle che poco favorisce la stabilizzazione di rapporti utili all’instaurazione di tutta una serie di relazioni commerciali, ma che al tempo stesso rimuoverebbe il pretesto adottato da molti Stati arabi, per giustificare il proprio tentativo di assumere la leadership nello scacchiere mediorientale.
Se poi a tutto questo aggiungiamo i fermenti presenti nell’aria che portano a parlare in sordina perfino di un ritorno dello Scià alla guida dell’Iran, un ritorno che sarebbe certamente sponsorizzato dagli Stati Uniti che in questo senso poco o nulla possono guardare con favore ad una guerra di Israele con l’Iran che devasterebbe a tal segno il Paese da rendere impossibile anche solo pensare ad un reintegro della monarchia (un reintegro che per certi versi sfavorirebbe uno Stato ebraico che in qualche modo potrebbe perdere il suo ruolo di partner privilegiato per Washington), è evidente che sarebbe auspicabile da parte dell’attuale establishment israeliano una pausa di riflessione per evitare di cadere in una nuova trappola, così come è accaduto dopo quell’attacco del 7 Ottobre 2023 che aveva come unico obiettivo esattamente il provocare la durissima reazione dell’IDF: un aspetto che palesemente non è stato colto da alcuni al momento in quanto nessuno sembra essersi posto il problema di chi avesse armato la mano di Hamas e per quali reali ragioni, aveva predisposto per tempo un apparato mediatico tale da provocare l’ondata attuale di antisemitismo globale.
Israele si trova ad oggi ad un bivio, ossia la strada di un attacco diretto alle infrastrutture iraniane, siano esse identificabili nei vari siti nucleari (obiettivi pragmatici) ovvero in insediamenti militari e palazzi governativi (obiettivi simbolici). In linea con il pensiero di Gerusalemme si potrebbe propendere per una terza via, ovvero quella di una campagna di attacchi fantasma agli impianti nucleari e petroliferi condotta con commando infiltrati e con i già descritti “droni fantasma” accompagnata da un massiccio attacco ancorché volutamente “sterile” sul territorio iraniano tale da essere pubblicizzato mediatamente allo scopo di sedare le ire funeste di parte dell’Establishment di Israele. Tale strategia indurrebbe comunque Teheran a più miti consigli, anche in considerazione della perfetta riuscita dei piani elaborati dallo Stato maggiore in collaborazione con Shin Bet (o Shabak), Mossad e Aman, in merito alla distruzione degli apparati bellici di Hamas ed Hezbollah, una pianificazione ed un’attuazione che hanno di fatto reso improponibile la continuità, sinora concessa, di fruire di Proxy nel conflitto indotto da Teheran contro il “nemico sionista”.
di Davide Racca e Silverio Allocca