Finalmente a casa! Con una operazione in stile Fauda, la famosa serie in onda su Netflix che racconta le imprese dei soldati e dei servizi israeliani protagonisti di operazioni antiterrorismo nei territori palestinesi, Shlomo Ziv, Almog Meir, Andrey Kozlov e la ragazza simbolo di quel terribile 7 ottobre, Noa Argamani, 4 ostaggi israeliani sono stati liberati dalle forze speciali di Israele.
Il paese attendeva da 8 mesi esatti un intervento del genere da parte di Tsahal e finalmente è arrivato, costando purtroppo la vita all’ufficiale in comando Arnon Zamora, 36 anni, che lascia una moglie e due figli.
Come sempre nella storia di Israele e del popolo ebraico, la gioia per la liberazione dei rapiti e il dolore per la perdita di un valoroso figlio si mischiano e le lacrime di commozione e amarezza si mescolano con un sapore agrodolce.
Mentre permane la pena per i circa 120 ostaggi rimasti nelle mani degli aguzzini islamisti, la notizia che fa riflettere é che Noa Argamani non si trovava in prigionia in un tunnel dei terroristi o in qualche anfratto da loro creato, ma era nelle mani di una famiglia gazawa, di cosiddetti “civili”, nella località di Nuseirat, nel centro della Striscia di Gaza.
Si dovrebbe discutere dei civili palestinesi coinvolti e conniventi con i terroristi, partecipi nelle loro azioni e che di innocente non mantengono più nulla. Avevamo già amaramente constatato il 7 ottobre, con le scene di giubilo all’arrivo degli ostaggi rapiti a Gaza da parte di folle scalmanate, così come accaduto per anni dopo ogni sanguinoso attentato in Israele, quale fosse la simbiosi tra popolazione e miliziani.
Lo abbiamo visto nei video con le ragazze israeliane, tante di loro catturate nel rave come Noa, fatte scendere con la forza dai pick-up e attorniate da nugoli di depravati che le palpavano dappertutto, prendendole per i capelli con forza e arroganza e picchiandole, così come accaduto agli uomini.
Lo stesso filmato nei primi giorni dopo la razzia di quel bambino israeliano torturato con un frustino e attorniato da altri bambini palestinesi che lo bullizzavano, schernendolo e chiamandolo “yahud”,ebreo, in senso dispregiativo, mentre l’adulto chiedeva crudelmente al povero bimbo dove fossero i suoi imma e abba, mamma e papà, che erano stati trucidati in uno dei kibbutz israeliani di frontiera, in quella mattanza infernale era stata testimonianza di una società palestinese fortemente fomentata dell’odio antiebraico.
In serata la notizia che il leader dell’Autorità Nazionale Palestinese, Abu Mazen, ha chiesto una riunione urgente dell’Onu per i morti palestinesi causati dall’operazione di salvataggio di Tsahal e Shin Bet, lascia esterrefatti. Hamas e ANP denunciano Israele per le vittime lamentate a seguito della sua azione.
Se non fosse reale questa richiesta penseremmo a uno scherzo, una ridicola boutade da teatro dell’assurdo, ma è tutto vero. La sfrontatezza del vecchio leader di una autorità nazionale notoriamente corrotta e opulenta, Abu Mazen noto negazionista della Shoah, che chiede al mondo di piangere i terroristi di Hamas e i “civili innocenti” loro entusiasti complici, è senza limiti.
E ci sarà pure chi, nelle ridicole Nazioni Unite, asseconderà questa richiesta e condannerà Israele per “uso sproporzionato della forza” nell’operazione che ha permesso di riportare a casa la propria gente. Ormai dall’Onu possiamo aspettarci di tutto.
Intanto, ripensando alle immagini di Noa che urla disperata il 7 ottobre, incastrata sulla moto tra i due animali dalle sembianze umane che la portano verso Gaza, non si può non gioire pensandola libera tra le braccia affettuose del papà Yakov e di quelle della mamma Liora, malata oncologica, che commosse il mondo con il suo appello per rivederla prima di lasciare questo mondo divorata dal male.
Come a Entebbe nel 1976, altra eroica missione di salvataggio delle forze israeliane che liberarono gli ostaggi di un volo Air France dirottato in Uganda, anche oggi il pensiero va al comandante morto. In quel caso a cadere sul campo fu Yonatan Netanyahu, fratello del Premier Benjamin. Oggi Arnon Zamora. Che il suo sacrificio sia di benedizione per gli ostaggi, che anche loro tornino presto a casa sani e salvi. Tra loro Kfir Bibas di appena un anno e il suo fratellino poco più grande.
È l’auspicio di un intero popolo e di chi ha a cuore la libertà.