Sunniti e sciiti alleati contro il nemico comune: Israele.
La mimesi strategica del 7 ottobre 2023
È una storia che si ripete. Il proditorio attacco subito da Israele ad opera di Hamas altro non fa che ripercorrere canoni già vissuti e ben noti agli analisti di settore. L’utilizzo di tunnel sotterranei per convogliare miliziani, armi e merci di contrabbando era nota sia nel nord dello Stato ebraico che al sud, ai confini con la striscia di Gaza. Ma per meglio lumeggiare l’accaduto, è essenziale un excursus storico delle strategie poste in atto sia da Hezbollah al nord che ha Hamas al sud di Israele.
Il reticolo di gallerie che collega il sud del Libano ai confini d’Israele svolge funzioni essenzialmente militari. Attraverso i cunicoli vengono infatti convogliati militanti del partito di Dio destinati ad attacchi a sorpresa contro le unità israeliane, creati centri di comando e stipati razzi, tra cui i Katyusha i Grad e i Fajr 5, questi ultimi capaci di una gittata di circa 200 km. Dunque una pericolosa articolazione frutto del lavoro dei miliziani sciiti che, pur con difficoltà oggettive date dal terreno estremamente duro e pietroso, hanno comunque avuto dalla loro parte il fattore tempo per portare a termine numerosi scavi ed iniziarne di nuovi.
La strategia di Hezbollah nella zona non è nuova ma trae spunto dalla guerra del 2006 contro Israele iniziata con l’uccisione di militari dello Tsahal, l’esercito dello Stato ebraico, che presidiavano il confine da parte di militanti di spuntati proprio da tunnel scavati sotto le mura confinarie.
Proprio il partito di Dio è stato l’iniziatore della strategia di sfruttamento del sottosuolo per condurre operazioni a sorpresa contro Israele, ma non solo: Hezbollah ha ricoperto un ruolo primario nell’assistenza tecnica prestata ad Hamas per la costruzione dei tunnel anche nelle zone controllate dai palestinesi. La differenza consiste nella relativa facilità per Hezbollah di sfuggire ai controlli dell’esercito ebraico nel nord del Paese, mentre a sud di Israele la realizzazione da parte di Hamas dei tunnel che dalla striscia di Gaza conducono alla penisola del Sinai viene osteggiata anche con l’ausilio dell’esercito egiziano che da tempo, in pieno accordo con Israele provvede alla distruzione o all’allagamento delle gallerie.
Nel nord dello stato ebraico, i paesi di Metulla, Yuval e Ma’ayan Baruk, sono considerati seriamente a rischio e vivono in perenne stato di allerta proprio per il rischio di sporadici lanci di razzi, colpi di mortaio e per la minaccia di sequestri di civili da parte milizie sciite e da Hamas.
La tattica della costruzione dei tunnel da parte degli Hezbollah, così come l’idea di addestrare i quadri alla costruzione autonoma dei razzi, si deve ad Imad Mughniyeh, un terrorista libanese di lungo corso ucciso dagli israeliani dopo una caccia durata oltre 20 anni con un’autobomba a Damasco nel 2008. Due anni fa il giornale libanese “al Joumhouria”, citando non meglio specificate fonti di intelligence europee, ha reso noto che gli Hezbollah hanno costruito, esteso e rinforzato tutta una rete di tunnel sia nella valle della Beka’a (dove risiede la maggioranza della popolazione sciita del Libano), sia al confine con la Siria (questo per dare maggiore sicurezza al transito e sostegno militare a favore di Bashar al Assad, ma anche per contrabbandare armi verso il Libano), sia nel sud del Libano tra il fiume Litani ed il confine con Israele (meglio nota come “Linea Blu” da arbitrato ONU).
Se Hezbollah ha costruito una ragguardevole rete sotterranea con gli stessi scopi e finalità di quelle di Hamas, le milizie di Dio hanno sicuramente una capacità militare molto più avanzata rispetto ai “colleghi” palestinesi: dispongono di più ingenti armamenti, finanziamenti, maggior libertà operativa sul territorio libanese e, soprattutto, l’addestramento militare fornitogli dall’IRGC di Teheran. Agli occhi di Israele sono quindi doppiamente pericolosi per la sicurezza dello Stato ebraico.
Una giornata, dove si incrociano i confini tra Israele, Egitto e Gaza, è sufficiente per capire quanto l’equilibrio sia fragile. La Striscia è lunga 45 chilometri, ha una larghezza tra i 5 e i 12, ed è delimitata a Ovest dal mar Mediterraneo. Vi abita oltre un milione e mezzo di persone. Le uniche vie di entrata e uscita sono il valico di Erez a Nord, usato ogni giorno da 1500 persone, e i due passaggi a Sud: Kerem Shalom, in Israele, aperto 12 ore al giorno, attraverso cui viaggiano cibo, materiali da costruzione, vestiti, aiuti umanitari e Rafah verso l’Egitto.
Ai confini tra l’Egitto e la Striscia di Gaza sono presenti innumerevoli gallerie sotterrane che vengono utilizzate per trasportare materiali, tra cui armi e medicinali, per aggirare i controlli delle autorità egiziane. I tunnel vengono anche utilizzati per far fuggire in Egitto terroristi e miliziani jihadisti provenienti dalla Striscia, presumibilmente con il beneplacito di guardie di frontiera egiziane reclutate ad hoc.
I camion contengono di tutto: generi alimentari, coperte, vestiti, materiali per la ricostruzione. Dopo la campagna militare israeliana Protective Edge dell’estate 2014, il numero degli automezzi è lievitato: nel 2014 sono entrati 69mila camion, nel 2015 153mila. “Una parte di questi mezzi viene fermata perché nei controlli sono stati trovati materiali sospetti come fertilizzanti o altre sostanze che possono essere utilizzate come carburante per i razzi di Hamas”
Dai monitor di Kerem Shalom si osservano i movimenti di mezzi che, secondo il personale del valico, sono impegnati a costruire nuovi tunnel per Hamas. È questo l’incubo più grande delle autorità israeliane e soprattutto degli abitanti dei villaggi appena fuori Gaza. “Quando Hamas scava i tunnel, lo fa 30 metri sottoterra”, dice una donna che vive con la sua famiglia a Netiv Haasara, moshav a poche centinaia dalla barriera di Gaza. “Nel tunnel più grande che hanno trovato qui sotto ci passavano le macchine, era dotato di elettricità e di un sistema di ventilazione. Mancava solo l’uscita. L’intelligence sapeva di questi tunnel da tre anni. Quando è iniziata l’operazione militare del 2014 sono andati direttamente a colpirli. Soltanto dopo abbiamo saputo qual era il piano di Hamas: uscire nella notte del capodanno ebraico, mentre festeggiavamo con le nostre famiglie, per uccidere quante più persone possibile e rapire i bambini. Volevano tenerli nei tunnel e utilizzarli come ostaggi”.
Dunque, un traffico d’armi e miliziani a volte dissimulati da aiuti umanitari e profughi. I temuti e ricercatissimi tunnel utilizzati da Hezbollah a nord ed Hamas nel sud di Israele che rappresentano una vera e propria spina nel fianco dello stato ebraico, pare presentino una grossa lacuna: sono rappresentati in alcune mappe cartacee in possesso dei vertici delle due organizzazioni, ma non solo. Le vanterie sull’organizzazione logistica e militare, pare abbiano ricevuto il plauso anche in Italia dove si trovano cellule operative ed alcuni centri logistici e di comando composti anche da italiani convertiti.
La strategia di Hizbollah non è nuova ma trae spunto dalla guerra del 2006 contro Israele iniziata con l’uccisione di alcuni militari dello Tsahal, l’esercito dello stato ebraico, che presidiavano il confine da parte di militanti di Hizbollah spuntati proprio da tunnel scavati sotto le mura confinarie.
Mentre a sud di Israele la realizzazione dei tunnel che dalla striscia di Gaza conducono alla penisola del Sinai, territorio diventato una provincia dell’ISIS, viene osteggiata anche con l’ausilio dell’esercito egiziano che da tempo, in pieno accordo con Israele provvede alla distruzione o all’allagamento delle gallerie, a nord del paese sono le sole unità dello stato ebraico che conducono una solitaria caccia al tesoro per individuare gli ingressi, ovviamente ben mimetizzati, delle gallerie di Hizbollah.
Una minaccia a lungo termine
L’intero dispositivo di Hezbollah, con il fondamentale apporto iraniano, è quindi articolato e posizionato a seconda della gittata dei razzi impiegati per colpire obiettivi in Israele: dai Katyusha (5-9 km) ai Grad (15-36 km), agli M-75 (80 km) e i Fajr 5 (190 km). Il dispositivo missilistico nel sud del Libano rimane gestito in modo accentrato dalle tre brigate che operano nell’area (la Nasser ed altre due di cui non si conosce il nominativo). Tuttavia, alle altre cellule operative sul terreno, che operano in nuclei al fine di non costituire un obiettivo significativo e nel contempo compromettere l’intero sistema di difesa, viene lasciata un’ampia discrezionalità. Queste impiegano tattiche di guerriglia mutuate dall’esperienza dei Vietcong contro gli americani.
Per dare un’idea della pericolosità del sistema missilistico in mano alle milizie sciite basti pensare che oggi si parla di una disponibilità intorno ai 60.000 razzi (dato diffuso dalle autorità israeliane nel 2013). Nella guerra del 2006 furono sparati appena 4000 razzi circa. Questa grande disponibilità di fuoco, forse tatticamente eccessiva, è probabilmente da riferirsi all’intenzione di voler lanciare tanti razzi contemporaneamente in modo da saturare la capacità di reazione dell’Iron Dome. Inoltre, a fronte di tanta disponibilità e dispersione sul terreno, eventuali bombardamenti aerei israeliani non avrebbero l’effetto di incidere oltre misura sulla capacità di fuoco degli Hezbollah.
In tutto ciò spunta anche un filone tutto nostro. Infatti, alcuni membri della comunità musulmana sciita italiana, dopo essersi ingraziati i favori della leadership di Hizbollah, dell’appoggio economico di Teheran, delle sue rappresentanze diplomatiche nella Penisola e dei suoi famigerati servizi segreti, il Vevak, sarebbero stati invitati, in passato, a visitare alcuni tunnel già ultimati che condurrebbero i miliziani, all’interno del territorio israeliano proprio a ridosso dei kibbutz individuati come obiettivi abbordabili per compiere blitz improvvisi contro i coloni stanziati nella zona. Gli invitati avrebbero successivamente ottenuto una sorta di mappatura dei tunnel da portare in Italia allo scopo di informare, come insospettabili corrieri, i rappresentanti di Hizbollah stanziati nel nostro Paese sulla situazione in Libano e le prospettive per un’eventuale loro futuro incarico.
Gli incontri con la rappresentanza formata da sciiti italiani sarebbero stati fortemente voluti dal partito guidato da Hassan Nasrallah che vede la presenza di una testa di ponte nel nostro paese in funzione di collegamento logistico da utilizzare sia per militanti in transito, ma anche per l’indottrinamento e l’adesione al programma filo iraniano che è alla base di Hizbollah.
L’Italia, base logistica per gli affari sporchi iraniani
Il filo rosso che lega lo sciismo italiano, Hezbollah e l’Iran trae spunto dalla volontà dei convertiti nostrani di dare visibilità alle varie associazioni rendendole realmente rappresentative sia a livello mediatico sia anche dal punto di vista architettonico, con i vari progetti di edificazione di nuovi luoghi di culto da portare avanti con i lauti finanziamenti provenienti dal medio oriente.
Al pari, gli iraniani possono giovarsi di una fitta rete spionistica appoggiata, pare, proprio da alcuni italiani dai trascorsi non propriamente puri nelle organizzazioni extraparlamentari di sinistra e destra che hanno trovato nell’Islam sciita nuovi ideali da perseguire. Il trait d’union non è poi così incomprensibile. Estremismo per estremismo, guerra non ortodossa, semiclandestinità ed un comune nemico: Israele.
Di pari passo alle azioni di puro spionaggio, vanno quelle dei traffici di armi e di materiali riconvertibili per usi militari e, soprattutto, per la proliferazione atomica iraniana.
Così, negli ultimi anni, abbiamo assistito, soprattutto nella zona di Roma, ad omicidi-suicidi dalle tinte fosche, ad arresti di giornalisti legati a doppio nodo al regime degli Ayatollah, espulsioni di cittadini iraniani non graditi e così via.
Le attenzioni degli investigatori e degli agenti dell’Intelligence si sono incentrate da sempre sui luoghi di raduno degli iraniani: moschee, associazioni e rappresentanze diplomatiche. Questo senza tenere in debito conto che oramai, da circa 10 anni, la galassia del terrorismo islamista e dei movimenti ad esso connessi, si muove agendo in maniera assai più complicata. Ovvero, gli incontri per lo scambio di materiali, per gli accordi o più semplicemente per la fornitura di informazioni avvengono in alloggi privati così come in luoghi di ristorazione insospettabili.
I livelli della gerarchia dello spionaggio iraniano sono per lo più composti da semplici informatori, agenti, funzionari di regime appartenenti alle Guardie della rivoluzione, sino a giungere alle guide spirituali utilizzate per mere coperture o comunicazioni dai contenuti sensibili che, attraverso una fitta rete di complici, giungono sino a Teheran.
Tutto ciò con la complicità di alcuni italiani, alcuni convertiti all’Islam sciita, altri semplicemente interessati, tra i quali alcuni industriali e politici allineati, agli affari loschi assai remunerativi che intercorrono, a tutt’oggi, con l’Iran.
Le recenti iniziative delle milizie sciite di Hezbollah hanno riscosso un notevole plauso da parte della comunità sciita italiana. Hezbollah, infatti, negli anni scorsi, ha inviato i suoi migliori uomini in appoggio al regime di Bashar Al Assad in chiave anti ISIS, ed Israele teme il ritorno dei miliziani che faranno rientro ebbri di gloria e di esperienze da mettere al servizio delle reclute ovviamente in funzione anti ebraica.
Ma veniamo al fronte opposto. Se Hezbollah a nord si è prodigato nella costruzione di numerosi condotti sotterranei verso Israele, Hamas è stata la fazione iniziatrice di tali progettualità. Il flebile confine della striscia di Gaza con l’Egitto, quindi con il Sinai, è costellato per quasi tutti i suoi 45 chilometri, da una miriade di ingressi clandestini per le gallerie sotterranee scavate anche a trenta metri nel sottosuolo. A differenza di quelle al nord di Israele, le infrastrutture di Hamas presentano caratteristiche assai diverse; infatti, in alcune delle grotte scavate dai volontari, tra cui diverse munite di condotti di ventilazione e di elettricità, vi è spazio per il transito di autoveicoli, oltre che enormi magazzini utilizzati sia per stipare aiuti alimentari e medicinali, sia anche come rifugio per jihadisti in transito verso la Striscia o, ultimamente, diretti nel Sinai per aderire al gruppo Ansar Bayt Al Maqdis, da tempo affiliatosi all’ISIS.
I controlli si susseguono ininterrottamente da parte dello Tshahal e dell’esercito egiziano. Quest’ultimo, individuati gli imbocchi alle gallerie, procede all’allagamento dei cunicoli con enormi pompe alimentate da acqua marina.
L’asse del male in assemblea
Dopo i funerali di Raisi e Abdullahian, a Teheran si è tenuta una riunione alla quale hanno partecipato il comando supremo dell’IRGC e alti funzionari di tutte le organizzazioni terroristiche della resistenza. Hanno discusso diverse questioni, tra le quali gli iraniani hanno chiesto di esaminare la possibilità di effettuare attacchi contro obiettivi importanti in Europa e altri obiettivi occidentali.
A tale proposito, avrebbero già provveduto a contattare i gruppi organizzati locali e i propri miliziani per fornire loro piani e materiali di armamento.
Hezbollah, d’altro canto, agendo sotto l’egida iraniana, ha accettato da tempo di collaborare con Hamas, pur mantenendo ognuno la propria autonomia operativa.
L’intenzione è diretta a creare una nuova ondata di terrore per esercitare maggiore pressione sul mondo occidentale. Alcuni dei vecchi contatti di Hezbollah sono cruciali per questo progetto. Naim Kassem, religioso e politico sciita libanese, comandante in seconda di Hezbollah con il titolo di vice segretario generale, avrebbe accettato l’incarico sottoponendolo al consiglio direttivo per l’esecuzione.
Un’altra questione riguarda la richiesta inviata da Ismail Haniyeh al Sudan che, rassicurando l’Iran a tale proposito, ha confermato che le “attrezzature” sono in attesa del via libera per essere trasportate nella regione del Sinai, al momento opportuno.
Tutto ciò configura un quadro inquietante per Israele.
Come già espresso su queste pagine in diversi articoli, l’incubo per le Forze di difesa dello Stato ebraico è rappresentato da un surplus di minacce ed attacchi su più fronti.
Gli stessi sistema di difesa anti-missile, in primis l’Iron Dome, potrebbero risultare subissati dai lanci contemporanei dal sud del Libano e dalla Striscia di Gaza, con conseguenze devastanti.
In aggiunta, il rischio che le milizie terroristiche gazane perpetuino gli attacchi contro il territorio ebraico di oltre confine ripetendo il modus operandi già tragicamente vissuto il 7 ottobre scorso.