È un’onda carsica di antisemitismo quella che si sta abbattendo come un terremoto negli atenei italiani. Un sisma con scosse sempre più lunghe e violente che rischia di far crollare quei luoghi che dovrebbero essere la culla del sapere, del confronto e del dialogo.
Qualche giorno fa altre pagine tristi, le censure nei confronti di Maurizio Molinari e David Parenzo, colpevoli di essere ebrei e quindi “sionisti”, termine che in questo momento è diventato per una fascia di popolazione nel nostro paese l’insulto peggiore da rivolgere al prossimo.
Siamo probabilmente al punto più basso della storia delle università italiane dal 1938 ad oggi.
Il fenomeno in atto, una vera e propria isteria collettiva che sta coinvolgendo una parte di quella che sarà la futura classe dirigente del nostro paese, è qualcosa che amareggia e infonde preoccupazione per l’ideologia e il fanatismo del quale è imbevuta.
Quel “Free Palestine” scandito ossessivamente, abbinato a quel “siamo tutti antisionisti”, indica la volontà di sopprimere Israele, cancellarla dalle mappe geografiche e “liberarla” fisicamente dai sionisti, gli ebrei che ci risiedono da secoli e hanno rifondato nel 1948 un proprio Stato. Cacciarli da lì, oppure magari sopprimerli come ha fatto Hamas il 7 ottobre.
Un movimento, Hamas, nazional socialista e fondamentalista islamista fanatico, terrorista e nichilista trasformatosi nella mente di questi giovani universitari nostrani in un esempio di “resistenza”, con un errore di valutazione drammatico e del tutto insensibile agli stupri, alle decapitazioni, alle dilaniazioni del 7 ottobre, considerati da loro, evidentemente, arma legittima di lotta partigiana. Una follia. Dal fiume al mare è quel progetto di sterminio tanto caro ad Adolf Hitler, quando la Germania prima e l’Europa poi dovevano diventare “juden frei”, libere dalla presenza ebraica.
Quando gli studenti di Torino definiscono e citano Israele “entità sionista”, utilizzano lo stesso appellativo degli ayatollah di Teheran, i despota dell’Iran che ne predicano la distruzione e la progettano da decenni, dalla rivoluzione khomeneista del 1979.
È vero, questi collettivi studenteschi rappresentano una minoranza della popolazione studentesca rumorosa, violenta e imbevuta di un brodo di cultura fortemente ideologizzato, ma che non propone una elaborazione di pensiero e tantomeno dimostra conoscenza della Storia e dei pensieri politici e filosofici che hanno ispirato il sionismo.
Quel sionismo cresciuto e sviluppatosi tra la fine dell’800 e i primi decenni del ‘900 in forma laica e socialista attraverso le comunità agricole dei kibbutzim e che gli studenti dei gruppi propal evidentemente dimostrano di non conoscere minimamente.
Allo stesso tempo esiste una maggioranza silenziosa di studenti negli atenei che molto probabilmente non è allineato con questi gruppuscoli e ne subisce lo stato di coercizione e di aggressività fisica e mentale, al quale assistiamo ormai quotidianamente.
Leggere di rettori, presidi di facoltà, docenti disponibili ad ascoltare le istanze di questi collettivi, proposte non in maniera civile e di dibattito democratico ma in maniera squadrista, lascia perplessi. Ammettere che da parte loro si inneggi alla distruzione di Israele non è normale dialettica e confronto di idee.
Assecondare le loro istanze di boicottaggio verso Israele significa piegarsi alla loro logica antisemita, come antisemita è urlare quel “fuori i sionisti dalle università “ che maschera in maniera subdola e vigliacca la volontà di far fuori gli ebrei dalle università, come il fascismo e il nazismo nel 1938.
Doveroso il ringraziamento ai 400 docenti che hanno firmato la lettera di appello al Ministro Bernini e alla premier Meloni, proposta dall’associazione ‘SETTEOTTOBRE’ e da altre associazioni, perché la collaborazione dei nostri atenei con gli atenei israeliani prosegua e si incrementi sempre di più, così come ha fatto chi ha civilmente e civicamente manifestato ieri pomeriggio a Torino contro la volontà boicottatrice dell’università piemontese. Uno scambio culturale dal quale a trarne vantaggio saranno soprattutto gli atenei italiani che potranno avvalersi dell’eccellenze di quelli di Israele.