Tanto tuonò che piovve. Perché la vittoria di Alessandra Todde, grillina a capo della coalizione giallorossa in Sardegna, non è stata certo un fulmine a ciel sereno caduto nel bel mezzo della compagine di centrodestra. Perché nonostante media e giornaloni continuino a raccontarci che da quelle parti va tutto bene madama la marchesa, tutto bene non va. E non potrebbe essere altrimenti quando certe candidature piovono dall’alto con prepotenza. Perché a voler essere donna sola al comando poi si rischia di perderlo quel comando, se si fa parte di una coalizione. Coalizione dove contano i numeri certo, ma anche i “numeretti”.
E quel 26 per cento di Fratelli d’Italia, perché quello era e di 30 per cento, che è pur sempre lontano dai numeri raggiunti da Renzi o da Berlusconi, parlano finora solo i sondaggi, che appunto sono sondaggi, non avrebbe portato da solo Giorgia Meloni a Palazzo Chigi. Perché come diceva il saggio e mai dimenticato Totò “è la somma che fa il totale”. E nella somma che ha aperto il portone di Palazzo Chigi all’attuale Presidente del Consiglio c’è anche quel 16 per cento che arriva dal raccolto elettorale di Lega e Forza Italia. Guardato con troppa sufficienza dai primi della classe, ma è un raccolto che va rispettato. Con un po’ di umiltà, dote che dalle parti dei Fratelli d’Italia latita spesso e volentieri e non da ora. Come non ricordare il flop romano di Michetti, altra candidatura imposta con prepotenza, anche se lì ci fu forse la volontà da parte di Fdi di perdere Roma, che pur essendo la Capitale, era e resta città ingovernabile, per non compromettere l’esito delle successive elezioni politiche, che furono vinte dal partito della Meloni anche a suon di promesse di barricate, facili da rivendicare quando si è all’opposizione, poi prontamente smontate una volta arrivati al governo, perché erano evidentemente promesse inattuabili. Come fu per il tanto sbandierato “blocco navale” sparito repentinamente dai radar. E non sarebbe potuto essere altrimenti. Perché il blocco navale è un azione di guerra. E lo sapevano benissimo anche dalle parti di via della Scrofa. Anche se facevano finta di no. E la Lega, che invece entrò nel governo Draghi, un po’ per far da sentinella ai provvedimenti che avrebbero sfornato dai banchi del Pd e del Movimento Cinque Stelle, un po’ perché in quel momento era la cosa più coerente da fare per sostenere il Paese alle prese con la pandemia Covid, pagò il prezzo più alto in termini di risultato elettorale. Lega che ora in Sardegna viene additata come traditrice.
E il primo a finire sul banco degli imputati è Salvini, al quale ormai, come diceva Andreotti, tranne le guerre puniche viene attribuita la colpa di tutto. Ma siamo sicuri che dalle parti della presidenza del Consiglio possano fischiettare su questa che è la prima vera sconfitta dopo la vittoria delle elezioni politiche del 2022? Nessun mea culpa?
L’arte della mediazione, che dovrebbe avere il leader di un partito e ancor più il capo, o in questo caso “la capa” della coalizione, c’è stata? Quella mediazione che fu il capolavoro del Cavaliere che permise la nascita, la crescita e la tenuta della sua creatura. Quel centrodestra che orfano di Silvio Berlusconi rischia ora di inciampare rovinosamente negli egoismi di partito, in quel vociare sguaiato e prepotente che alla lunga non porta da nessuna parte. E che dopo la sua morte si fa sempre più insistente e non si può certo chiedere uno scatto di reni al suo successore in Forza Italia, il buon Tajani, per abbassare i toni nella coalizione. Perché Silvio era altro e sapeva bene che in politica il dare e avere è alla base delle alleanze. E certo il niet al terzo mandato di Fdi che ha stoppato la ricandidatura di Zaia, che molto probabilmente avrebbe garantito la vittoria al centrodestra alle prossime regionali in Veneto non ha aiutato. Così come la candidatura di Truzzu, che si narra sia amico fraterno di Giorgia Meloni, già sindaco di Cagliari con risultati burrascosi, 85esimo nella classifica nazionale dei primi cittadini, imposta con arroganza dai Fratelli d’Italia che non perdono il vezzo di comportarsi da figli unici umiliando gli alleati.
Ora, oltre al Veneto, l’anno prossimo ci aspettano gli appuntamenti con le elezioni regionali in Basilicata, Umbria, Abruzzo e Piemonte quest’anno. E se il centrodestra non vorrà veder, stavolta sì, “arrivare la Schlein”, che insieme a Conte, si è, giustamente, precipitata in Sardegna per festeggiare la vittoria di Alessandra Todde, dovrà evitare di continuare con le faide armate sui territori.
Michetti docet. E ora anche Truzzu.