Il Mossad è a caccia dei terroristi di Hamas in tutto il mondo. O almeno ne è convinto il presidente turco Recep Tayyip Erdogan che, dopo le dichiarazioni del capo dello Shin Bet, Ronen Bar, ha minacciato Israele: “Se oseranno fare mosse del genere contro la Turchia e il popolo turco, finiranno per pagare un prezzo da cui non riusciranno a riprendersi”. Bar, alla tv pubblica israeliana Kan, ha spiegato che Israele “eliminerà gli alti dirigenti” di Hamas ovunque si trovino, anche in Libano, Qatar e in Turchia.
Una dichiarazione che, in realtà, non avrebbe dovuto suscitare tanta preoccupazione visto che un’azione del genere è nell’aria dal 7 ottobre. E tutti hanno subito pensato alla strage di Monaco e alla risposta messa in campo in quell’occasione. Lo stato ebraico, infatti, istituì un vero e proprio commando del Mossad con il compito di eliminare i membri di Settembre nero ovunque si trovassero. E molti furono uccisi, uno anche sul suolo italiano.
Adesso, quindi, si teme una reazione analoga. E nelle parole di Erdogan traspare tutta la pavidità della politica internazionale. Evidentemente, il presidente turco, così come altri capi di stato e di governo, sono a conoscenza di informazioni che noi comuni mortali ignoriamo. Quindi, si desume, che non solo gli esponenti di Hamas in giro per il mondo sentono il fiato sul collo del Mossad, ma anche molti leader internazionali se la stanno facendo nei pantaloni. Motivo? Come farebbero a giustificare davanti all’opinione pubblica omicidi commessi sul proprio territorio da agenti stranieri? E soprattutto, quali prove potrebbero mettere insieme per perseguire e eventualmente condannare presunti responsabili? Erdogan, ad esempio, ha già avuto la sua bella gatta da pelare quando nel Consolato dell’Arabia Saudita a Istanbul fu ucciso il giornalista Jamal Khashoggi. Omicidio dal quale l’Arabia Saudita si è sempre ben guardata dall’ammettere le proprie responsabilità, nonostante le prove.
Adesso, quindi, sotto la scure di possibili azioni del Mossad in giro per il mondo a caccia di terroristi di Hamas, Erdogan per primo si sente mancare il terreno sotto i piedi perché ben conosce la determinazione di Israele quando è sotto attacco. Gli errori del 7 ottobre hanno inferto una dura lezione che impone di non abbassare la guardia, mai.
Gli stessi timori assalgono tutti gli esponenti di Hamas ospiti di altri Paesi, come ad esempio il Qatar. Alcuni di loro, pare, siano preoccupati anche delle reali coperture che il Paese ospite potrà fornire. Si sussurra che proprio a Doha, dove vivono Ismail Haniyeh, a capo del gruppo terroristico, Khaled Meshal, suo predecessore, e altri personaggi tra i quali Sami Abu Zuhri, portavoce di Hamas nella Striscia di Gaza, stia iniziando a diffondersi un certo senso di inquietudine e malessere, come quello causato dalla colite. Pare non siano più tanto convinti che il Qatar, dopo la fine delle trattative per la liberazione degli ostaggi, garantirà la loro protezione. E se Doha chiudesse un occhio su una ipotetica azione del Mossad? Impossibile saperlo con certezza, neanche per i terroristi che adesso vivono sotto la protezione dell’Emiro. La vita riserva sempre sorprese e gli interessi economici e politici del Qatar potrebbero fare la differenza rispetto alla sorte di un gruppo di terroristi, che sta anche perdendo uomini e mezzi.
Le testate mainstream, nel frattempo, si dilettano in analisi a volte spericolate sui progetti di Israele. Alcuni sono addirittura convinti che dopo il 7 ottobre sia crollato il mito del Mossad e che quindi, anche per una serie di problemi interni, tra cui la mancanza di vertici anche politici in grado di progettare un certo tipo di azioni, poco o nulla delle glorie del passato sarà riproposto.
Forse è così come descrivono autorevoli penne, ma l’impressione, visti anche i silenzi di David Barnea (attuale capo del Mossad), lascerebbero presagire ben altro.