L’Iran rinnega l’aiuto ad Hamas nella preparazione dell’attacco verso Israele. Strategia o paura? Sul supporto ad Hamas per l’attacco a Israele del 7 ottobre scorso, l’Iran mente pubblicamente sapendo di mentire. Ieri, nel giorno di tensione nel Paese per i funerali di Armita Gharavand, la 16enne morta dopo un presunto malore in metropolitana dove era entrata senza velo, il ministro degli Esteri di Teheran Hossein Amirabdollahian ha definito “infondate” le affermazioni secondo cui l’Iran sarebbe direttamente collegato all’attacco di Hamas del 7 ottobre. Secondo Amirabdollahian, l’Iran ha “sempre avuto un sostegno politico mediatico e internazionale per la Palestina. Non lo abbiamo mai negato. Questa è la verità – ha aggiunto – Tuttavia, in relazione a questa operazione chiamata ‘Tempesta di Al Aqsa’, non c’è stato alcun collegamento a quei dati tra l’Iran e questa operazione di Hamas, né il mio governo né parte del mio Paese”. Un’affermazione evidentemente poco credibile, visto che il supporto con armi e addestramento da parte di Teheran al gruppo terroristico è evidenziato in analisi e report delle intelligence internazionali.
Inoltre, è difficile credere all’estraneità di Teheran che è forse l’attore della regione più interessato a sabotare Israele, anche per interrompere gli accordi di normalizzazione dei rapporti tra Arabia Saudita e Gerusalemme. Rapporti che, dopo le relazioni stabilite con Emirati Arabi e Bahrein, avrebbe portato ad un decisivo isolamento dell’Iran nella zona.
Dopo oltre 20 giorni di guerra e con il rischio di una escalation, l’Iran dunque, da mesi scosso da violente proteste interne dopo l’uccisione di Mahsa Amini, forse prova a fare un passo indietro rispetto a quello che sta accadendo tra Israele e la Striscia di Gaza. E se così fosse, perché? Le parole di Hossein Amirabdollahian sono passate sotto traccia, probabilmente per le evidenti bugie che esse contengono. Tuttavia, potrebbe valere la pena analizzare i motivi di queste affermazioni, soprattutto alla luce della propaganda che da più parti arriva in merito al conflitto in corso in Medio Oriente e alle responsabilità di altri paesi nel finanziamento ad Hamas.
Le parole del ministro degli Esteri iraniano potrebbero avere un fondamento nel timore di aumentare le tensioni e le rivolte dentro i propri confini nazionali. Non è un mistero, infatti, che il regime degli ayatollah ha fatto fatica a contenere le manifestazioni di protesta scoppiate dopo la morte della giovane uccisa dalla polizia morale. E adesso, l’ennesima donna deceduta perché si è ribellata alle regole del regime (per il megafono del regime ha avuto un calo di pressione in metropolitana), potrebbe tornare ad accendere di nuovo le piazze represse nei mesi scorsi con la violenza. “La morte di Armita Garavand è stata un nuovo omicidio di Stato”, ha detto ieri dopo i funerali Nasrin Sotoudeh, prigioniera politica e attivista per i diritti umani e delle donne. Dopo le esequie di Armita Gharavand, inoltre, alcune donne e almeno due parenti della giovane sarebbero sono stati arrestati.
Ma arresti e esecuzioni hanno insanguinato il Paese per mesi. La dura repressione del regime, però, non ha spento la fiamma della rivolta. E se l’Iran dovesse entrare in modo più plateale e diretto nel conflitto, la popolazione potrebbe non supportare (e sopportare) le decisioni degli ayatollah.
Le dichiarazioni del ministro degli Esteri iraniano potrebbero, invece, far parte anche di una strategia, forse anche dopo l’avvertimento arrivato degli Stati Uniti. Proprio ieri, infatti, Jake Sullivan, consigliere per la sicurezza nazionale, non ha usato mezzi termini: “Abbiamo detto che se le nostre truppe fossero state attaccate, avremmo risposto. Abbiamo risposto. Se saranno attaccate di nuovo, risponderemo di nuovo”, riferendosi ad eventuali attacchi alle forze Usa presenti in Medio Oriente.
L’allargamento del conflitto è temuto non solo dagli Stati Uniti, che nel frattempo hanno spostato due navi portaerei nel Golfo Persico.
Le parole del Ministro iraniano, dunque, potrebbero essere l’ennesimo bluff del regime che attraverso la Siria, altro alleato nella regione, rifornisce di armi anche Hezbollah in Libano.