“La nostra missione è costruire un nuovo mondo”. Così il Presidente della Federazione Russa, Vladimir Putin, durante la XX edizione della Conferenza annuale al Club Valdai di Sochi il 5 ottobre scorso, sottolineando che tale progetto è nato in risposta alla sua documentata –e rigettata dall’Occidente– proposta di adesione alla NATO. Un rigetto dovuto al fatto che l’Occidente, con ben poca lungimiranza, a suo tempo ha inteso costruire il post Guerra Fredda secondo le obsolete logiche che hanno caratterizzato i dopoguerra del passato, come a chiare lettere ha scritto la Tass, stando alla quale il leader del Cremlino, come può essere verificato da chiunque ascoltando la registrazione dell’intero discorso trasmesso in diretta da Sky.news, ha anche sottolineato che “la Russia non ha iniziato la cosiddetta ‘guerra’ in Ucraina, ma sta cercando di porvi fine” accusando l’Occidente di “arroganza eccessiva”.
Chiaro il riferimento, per altro esplicitato senza mezzi termini da Putin, alla Guerra nel Donbass iniziata ben prima del 2022 e trascurata sistematicamente da tutti ed in particolare dagli Stati Uniti e dai suoi alleati.
Oggi quel suo “proposi l’adesione alla Nato ma fui respinto” e così la missione di Mosca è diventata quella di “costruire un nuovo mondo”, può far sorridere (in primis alla luce dei nuovi sviluppi della politica di Pechino che, non meno imperialisticamente di Washington, sta cercando di legare a sé Mosca in una dinamica di dipendenza economica che non è dato capire come Mosca potrà alterare sul breve-medio periodo), ma al tempo stesso dovrebbe essere preso meno sottogamba se veramente si vuole capire ciò che è accaduto e sta ancora accadendo in Ucraina.
Tanto ritengo sia attualmente oltremodo doveroso in primo luogo alla luce degli ultimi accadimenti, tra i quali credo sia quantomai opportuno inserire l’avvertimento dell’Ammiraglio Rob Bauer, il più alto funzionario militare della Nato, espresso nel corso di un Forum per la sicurezza a tenutosi a Varsavia un paio di giorni fa, circa il fatto che le potenze militari Occidentali stanno esaurendo le munizioni per consentire all’Ucraina di difendersi dall’invasione su vasta scala della Russia.
Stando a quanto riportato dalla BBC le sue parole sarebbero state: “Il fondo del barile ora è visibile” e pertanto si rende necessario che i governi e i fornitori per la difesa adottino le misure necessarie ad “aumentare la produzione a un ritmo molto più elevato” in quanto decenni di investimenti insufficienti avrebbero fatto sì che i Paesi della Nato hanno iniziato a fornire armi all’Ucraina con i loro magazzini di munizioni mezzo pieni se non addirittura vuoti.
Alla luce di tale ammonimento credo che sarebbe più opportuno leggere il termine “arroganza” usato da Putin al Club Valdai, più che altro come la stigmatizzazione della dabbenaggine con cui Washington e la NATO hanno abboccato alla trappola preparata con dovizia di particolari dal Cremlino, che ha abilmente giocato la carta delle prevedibili sanzioni per tentare di mettere in crisi la NATO, ossia la fonte primaria della legittimazione della leadership globale statunitense, come ho a più riprese scritto da oltre un anno e mezzo a questa parte e, al di là di ogni ragionevole dubbio, dimostrato in un mio lungo articolo apparso un paio di mesi fa su INNER SANCTUM VECTOR con il titolo “Game of Sanctions” .
La riprova di questa dabbenaggine abilmente sfruttata da Mosca giunge anche dalle parole del ministro della Difesa Britannico, James Heappey, che ha fatto per l’occasione eco alle parole dell’Ammiraglio Bauer sottolineando come le scorte occidentali appaiono “un po’ scarse” e, come tali, necessitanti un impegno fattivo degli alleati che ha invitato a destinare effettivamente il 2% del PIL alla Difesa. Un auspicio ribadito anche dal ministro della Difesa svedese, Pol Jonson, per il quale è fondamentale che l’Europa riorganizzi la propria base industriale della difesa per sostenere l’Ucraina a lungo termine, anche se non è dato capire con quali soldi.
E la domanda relativa alle risorse economiche necessarie non è oziosa visto che proprio il 3 ottobre 2023 il portavoce del Consiglio per la Sicurezza Nazionale statunitense, John Kirby, in un briefing con la stampa ha dichiarato che se è vero che “il sostegno a Kiev rafforza anche la nostra sicurezza nazionale” è parimenti vero che “abbiamo fondi per sostenere i bisogni dell’Ucraina ancora per un po’ ma il Congresso deve agire” avendo ben presente come il fattore tempo non giochi a favore dell’Occidente, nonostante il Presidente Biden abbia insistito nel ribadire, a quanto pare contro ogni logica politica interna, il proprio essere “fiducioso che continueremo ad avere un sostegno bipartisan e bicamerale” per gli aiuti a Kiev.
Alla fine la strategia del Cremlino, che fin dall’inizio ha puntato ad una guerra di lunga durata, si sta rivelando la strategia vincente in quanto è stato fin da subito facilmente prevedibile che, nonostante i grandi piani che i Paesi NATO e della UE hanno concordato per condividere competenze, stipulare contratti congiunti con i produttori della difesa e sovvenzionare la produzione quanto più possibile, alla fine il tutto si sarebbe rivelato insufficiente visto che l’Ucraina sta utilizzando da mesi e mesi le munizioni ricevute più velocemente di quanto le potenze occidentali riescano a sostituirle, a differenza di quanto accade per la Russia che, stando a quanto stimato dagli analisti, sembra molto più in grado di attrezzare la propria economia in tempo di guerra per ricostituire le proprie scorte.
Sempre al Club Valdai Putin ha dichiarato, come è ovvio che sia vista la vastità dei territori della Federazione Russa e l’immenso potenziale delle sue riserve energetiche e di commodities in generale, che la Russia non cerca nuovi territori specificando che “la crisi ucraina non è un conflitto territoriale” ed aggiungendo che “una pace globale duratura si stabilirà solo quando tutti si sentiranno al sicuro e sapranno che la loro opinione è rispettata”.
Ma il colpo gobbo è arrivato allorché Putin ha trattato l’aspetto meramente militare annunciando che la Russia ha recentemente effettuato con successo il test di una nuova generazione di missili da crociera a propulsione nucleare: “In questo momento abbiamo effettivamente completato il lavoro sulle armi strategiche avanzate di cui avevo parlato e annunciato diversi anni fa. Abbiamo condotto con successo l’ultimo test del missile da crociera a raggio globale Burevestnik a propulsione nucleare”.
Il perché di tanto entusiasmo è presto detto.
Il missile Burevestnik, stando a quanto si sa, dovrebbe essere un un missile stealth a bassa quota in grado di trasportare una testata nucleare, con portata quasi illimitata, traiettoria imprevedibile e capacità di oltrepassare i confini dell’intercettazione. E poco importa che gli analisti occidentali affermino che il programma previsto per la sua realizzazione sia stato caratterizzato da tutta una serie di test falliti. Il fatto rilevante è che la principale caratteristica di questo missile è il suo essere un’arma di ritorsione, in altri termini un’arma che la Russia utilizzerebbe dopo i missili balistici intercontinentali per finire le infrastrutture militari e civili del nemico, deprivandolo di qualsivoglia possibilità di sopravvivenza in virtù della sua capacità di rimanere in volo anche dopo un eventuale olocausto nucleare a seguito di uno scontro tra le superpotenze. Una peculiarità, questa, che rende il Burevestnik (Skyfall, secondo il codice NATO) una sorta di missile dell’Armageddon, la minaccia finale contro i nemici in quanto, anche se questi potessero sperare di distruggere completamente la Russia con un attacco massiccio, l’eventuale arsenale di Burevestnik accumulato da Mosca rimarrebbe in volo andando a colpire automaticamente le città dell’avversario anche dopo la totale sconfitta.
Vero? Falso? Una boutade? Poco importa in quanto credo che a nessuno, nella partita a poker geopolitica attuale possa venire in mente di andare “a vedere” se tutto quanto detto a proposito del Burevestnik è per caso un bluff.
L’effetto deterrenza è, direi, a questo punto assicurato sia per quello che riguarda Washington e la NATO, ma pure per quanto riguarda, per certi aspetti, Pechino. C’è da dire che questo missile rappresenta un ulteriore spunto di riflessione circa la pretestuosità della minaccia rappresentata dall’Ucraina nella NATO, quale causa dell’avvio dell’Operazione Speciale russa nel febbraio del 2022.
Stando così le cose una domanda sorge spontanea: vi è per caso una qualche relazione tra lo sviluppo di questo innovativo sistema d’arma e quanto recentemente emerso a proposito dei surrettizi rapporti collaborativi tra l’NIH statunitense e il laboratorio di Wuhan?
Ma di questo mi occuperò in un lavoro di prossima pubblicazione.